Ha scritto il meteorologo Luca Mercalli in “Questa nuova siccità calda” pubblicato sul periodico mensile “Millennium” del mese di maggio 2023: Dai Pirenei alle Dolomiti la carta della siccità Europea del servizio satellitare Copernicus mostra una fascia di colori giallo-rossi. È dalla fine del 2021 che su questa regione piove pochissimo. Il polo del secco in Italia è il Piemonte.
A Torino, dove disponiamo di una delle più lunghe serie nazionali di misura
delle precipitazioni iniziata nel 1802, sono caduti nei 17 mesi da dicembre
2021 ad 'aprile 2023 solo 367 millimetri, il 32 per cento della media per lo
stesso periodo che dovrebbe essere di 1150. È la siccità peggiore in duecentovent'anni,
e spazza via il record precedente sullo stesso intervallo di 17 mesi, pari a
542 millimetri nel 1816-18, causa della "carestia che aveva ridotto a
miserevole stato il Piemonte", come narra don Giovanni Bosco nelle sue
Memorie biografiche. Ma allora si trattava di siccità fredde, quelle di oggi
sono siccità calde. Sempre a Torino, ma è così pure in tutta Europa occidentale,
la temperatura media del 2022 è stata la più elevata di sempre generando il
record assoluto di annata caldo-secca. Il 1817 ebbe invece una temperatura
media di 2,4 gradi inferiore al 2022. Più fa caldo più l'acqua evapora in
fretta dai suoli e dalla vegetazione e meno dura la neve in montagna. Quindi lo
stress idrico per l'agricoltura e le attività umane a parità di pioggia
peggiora con l'aumento della temperatura. Di neve sulle Alpi ne è caduta
pochissima sia nell'inverno 2021-22 sia nel 2022-23, con il risultato che la
riserva idrica disponibile per i mesi estivi è stata minima; a metà aprile 2023
il deficit sulle Alpi era del 66 per cento e solo sulle Alpi Giulie nevicate di
primavera hanno portato il manto nevoso a superare i tre metri. Ed è così che
il Po ha visto già nel luglio 2022 la sua portata minima storica di 104 metri
cubi al secondo, circa un decimo del normale, il che ha permesso alle acque
salate dell'Adriatico di penetrare nelle terre del delta fino a 40 chilometri,
il cosiddetto "cuneo salino" che ha reso salmastri pozzi e canali,
disturbando agricoltura e acquedotti tra Rovigo e Ravenna. Ci sono dunque tutti
i presupposti per una seconda estate di carenza idrica su Alpi e pianura
padana, mentre al contrario il centro-sud Italia è stato interessato da piogge
invernali e primaverili che hanno riempito gli invasi e rimpinguato le falde. L'attribuzione
di questa situazione meteorologica anomala ai cambiamenti climatici generati
dalle attività umane è complessa. Da un lato l'aumento della temperatura è un
sintomo inequivocabile del riscaldamento globale e rende pertanto inedita la
situazione combinata di "siccità calda" a scala plurimillenaria.
Invece dal punto di vista della durata del periodo senza piogge significative è
più difficile avere un riferimento certo precedente alle misure pluviometriche.
Esistono numerose cronache qualitative, ma si sa che la descrizione soggettiva
in mancanza di strumenti di osservazione può risultare ambigua. Prendiamo di
nuovo la siccità del 1816 per la quale abbiamo sia i dati pluviometrici sia la
cronaca del don Bosco nelle contrade astigiane: "I raccolti dell'annata
andarono falliti per il gelo sopravvenuto fuori di stagione e per una terribile
ed ostinata siccità. I campi, ove erano state seminate le biade, i prati, gli
alberi di frutta, presentavano al riguardante uno spettacolo di desolazione. [...].
Si trovarono persone morte nei prati colla bocca piena di erba, con cui avevano
tentato di acquetare la rabbiosa fame". Ebbene, pur essendo la siccità
2022-23 ancora più drastica sul piano meteorologico, gli effetti economici e
sociali sono stati immensamente meno drammatici rispetto a due secoli prima,
grazie alla tecnologia e all'energia fossile: potenti pompe elettriche e
trattori a gasolio hanno sostituito i pozzi con i secchi sollevati a mano,
dighe e canali hanno portato l'acqua dove era scarsa, i mulini e i magli vanno
ora a elettricità e non più a forza idraulica, i commerci a vasto raggio hanno
sopperito alla diminuzione locale di raccolti, così non c'è stata ombra di
carestia, soltanto flessioni economiche nei comparti agricoli. Andiamo alla
siccità più lunga ancora del 1733-34, una delle più citate in Italia
nord-occidentale. Padre Arcangelo da San Giorgio, guardiano al convento di San
Francesco del Sacro Bosco di Ozegna, tra Torino e Ivrea, riferisce: "Abbiamo
passato nove mesi e mezzo senza mai vedere pioggia, e cioè dal principio di
agosto del 1733 sino al dodici di maggio 1734 [...]. Ridotti in stato di
estrema penuria erano questi miseri popoli, non sapendo più ove dare del capo
per provvedersi da vivere, per non morirsene di fame. Alcuni facevano bollire
il fieno secco, e di questo, non altrimenti che bestie, si alimentavano ...
". Padre Arcangelo specifica che l'autunno del 1733 fu "sereno, secco
e freddo", e fu seguito da un inverno "lungo e ancora più rigido,
senza pioggia o neve", così che "si camminava sempre per
polvere". Difficile stabilire se siano stati nove mesi completamente privi
di precipitazioni o se la descrizione abbia sorvolato su episodi modesti che
oggi non sfuggirebbero agli strumenti. (…). Di seguito, “Ma a cosa servono gli alberi?”,
racconto di Luca Tortolini pubblicato sul settimanale “Robinson” del quotidiano
“la Repubblica” del 10 di giugno ultimo: A che cosa serve un albero? Mi è stato
chiesto qualche tempo fa. Nel rispondere non avevo dubbi. Un albero non serve a
nulla. Spero di non essere frainteso: non possiamo vivere senza alberi. Era
posta male la domanda. L'albero non dovrebbe essere al servizio di niente e
nessuno. L'albero è. Vive attivamente, e nel suo vivere e vegetare tutti noi ne
riceviamo beneficio. Dico albero ma intendo gli alberi. Oltre al beneficio
(assorbono anidride carbonica e producono ossigeno, regolano il clima
abbassando la temperatura) dall'albero riceviamo altre cose: il materiale da
costruzione, una fonte di energia, la cellulosa per farci la carta. Sembra che
non si possa vivere senza un qualche tipo di sfruttamento (vegetale, animale e
minerale). Allora forse bisognerebbe pensare a uno sfruttamento sostenibile, se
questo voglia dire qualcosa, nel senso che sia veramente fattibile. Qualche
anno fa, eravamo di ritorno dal Festival Europeo del Libro per Ragazzi di
Saarbriicken in Germania, e abbiamo fatto scalo a Monaco. Per qualche ora,
siamo andati a visitare la città, io e una amica illustratrice. Abbiamo girato
tutto velocemente con una persona del posto che ci diceva questo e quello (lì
Hitler ha fatto la sua prima conferenza, da quella finestra Michael Jackson ha
mostrato il suo bambino alla folla), avevo un mal di testa incredibile, facevo
fatica a camminare. Ci ha portati poi in un giardino, allo Hofgarten, e fin da
subito ho avvertito un sollievo. La schiera di alberi, con il loro gioco di
luce e ombra, gli odori, i rumori mi hanno immediatamente fatto sentire meglio.
Effetto Brufengarden l'ho chiamato. Rettifico la mia risposta. A che cosa serve
un albero? A curare il mal di testa. Ho vissuto a Roma per tanti anni. E ho
cambiato diverse abitazioni. In una mi affacciavo su un altro palazzo. Uscivo
sul terrazzo e vedevo un palazzo a destra e uno a sinistra. Cercavo di scorgere
non solo la vita dietro ai vetri delle abitazioni, ma anche le piante e i
fiori. Ce n'erano pochi. Di alberi nemmeno l'ombra. Qualche piantina da
davanzale e da terrazzino. Be', mi sentivo soffocare. Dovevo uscire e andare a
Villa Pamphilj o a Villa Borghese. Ritrovavo l'energia. A che cosa serve un
albero? A farti respirare e ritrovare energia. A Villa Borghese ci andavo anche
in compagnia. Oppure ci davamo appuntamento lì. C’erano due posti, sopra al
galoppatoio e vicino al laghetto, dove sotto la chioma di un grande pino
domestico e di un altro albero di cui non saprei indicare il nome mi son
baciato con più di una ragazza. A che cosa serve un albero? Serve per baciarti
con chi vuoi. Ora vivo a Macerata. Vado spesso alla vicina Abbadia di Fiastra.
È un edificio monastico completato nel 1200 dai monaci cistercensi. Tutto
intorno si estende la riserva naturale. Ci sono alcuni dei miei alberi
preferiti sotto i quali mi siedo per lavorare o leggere. A che cosa serve un
albero? Serve per lavorare meglio e leggere un libro. C'è una scena nel romanzo
Il soccombente di Thomas Bernhard dove Glenn Gould, il genio del pianoforte,
esce di casa, prende un'ascia e una sega e abbatte un frassino di mezzo metro
di diametro, da solo. Lo sega a piccoli pezzi e lo accatasta contro il muro
della casa. Perché lo fa? Perché dice che gli impedisce di suonare. Più tardi,
tornato al pianoforte, comunica ai suoi due coinquilini che poteva fare a meno
di abbatterlo, bastava tirare le tende e abbassare la serranda. Il genio, fa
dire Bernhard al narratore del romanzo, elimina immediatamente l'ostacolo che
ha davanti, con forza e risolutezza. Non viene detto perché l'albero impediva a
Glenn Gould di suonare. Ho provato a spiegarmelo: perché un albero, il frassino
di Glenn Gould, è di una bellezza e perfezione difficilmente raggiungibile. La
presenza di un albero può creare disagio. La sua vita lenta e apparentemente
eterna non è toccata dalle inquietudini del nostro vivere quotidiano: il
problema dei rapporti umani, le complicazioni dell'amore e del lavoro, della
malattia e della morte. La presenza di un gigante vegetale può farti provare la
precarietà della propria condizione umana. L'inutilità di ogni faticosa
ambizione artistica o il raggiungimento di qualsiasi posizione di potere. Ci
dicono che siamo brutti e belli. Ci dicono che siamo fragili e passeggeri. E
nel dirlo ci riposizionano. Per questo, quando facciamo una passeggiata tra gli
alberi il nostro cuore si calma, le preoccupazioni si alleviano, i livelli di
serotonina si alzano. Ritorniamo in pace con gli altri e il mondo. Per lo meno
fino a quando siamo tra gli alberi. Ma vivere in città è un altro discorso. Gli
alberi dobbiamo proteggerli, dobbiamo prendercene cura e recuperare un rapporto
con la natura. A che cosa serve un albero? A nulla, un albero non serve a
nulla.
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