"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 11 giugno 2023

ItalianGothic. 57 Luigi Manconi: «I quasi ottant'anni trascorsi dalla fine della Seconda guerra mondiale sono stati effettivamente all'insegna dell'antifascismo. E come poteva essere altrimenti?».


Ha scritto Dario Vergassola in «Se va in onda "ballando col gerarca''» pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 9 di giugno 2023: (…). I comunisti si rassegnino: con buona pace di Gramsci, l'intellettuale organico è finito nell'organico. L'avevamo promesso: "Spezzeremo le reni all'Annunziata". Ed ecco fatto.

Sarà un nuovo Ventennio, diciamo un Ventennio in versione remix. Il fisico Rovelli si sbagliava quando diceva che la freccia temporale non torna indietro: torna, professore, e come se torna... Ancora ci chiedono perché non ci liberiamo della Fiamma, che è un simbolo post-fascista. Non lo facciamo per molti motivi: il più importante dei quali è che è un simbolo post-fascista. E io farò la mia parte: se c'è da condurre Miss Salò o da sgambettare a "Ballando col gerarca", io ci sono. Riporteremo in auge, magari con un piccolo ritocco, i programmi che fecero grande la Radiotelevisione Italiana: vi faremo ridere con "Quelli della notte dei cristalli". Per fortuna Benigni e Berlinguer non sono che un lontano ricordo. Questa volta non scherzo: se serve, io prendo in braccio pure Crosetto. Di seguito, “Quale egemonia culturale” di Luigi Manconi pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi, domenica 10 di giugno 2023: Quale sarebbe il rapporto, se mai ce ne fosse uno, tra il pensatore comunista Antonio Gramsci e il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano? Lo spazio che li separa è tanto profondo da risultare vertiginoso, ma le chiacchiere politico-mondane sulla categoria di egemonia culturale (ideata dal primo e distrattamente sbocconcellata dal secondo) sembrano accostarli. È un'illusione ottica. Per Gramsci, che elabora concetti già presenti in Karl Marx, la borghesia, grazie al controllo sulle grandi agenzie di formazione dell'opinione pubblica e della cultura di massa, esercita il suo dominio e perpetua la proprietà privata dei mezzi di produzione. Le classi subalterne, per affermarsi, devono a loro volta costruire una egemonia culturale alternativa, capace di diffondere mentalità collettiva e credenze condivise. Dunque, la posta in gioco del conflitto per l'egemonia culturale è il potere politico. Se ne dovrebbe dedurre che oggi, e da almeno tre decenni, a prevalere sia il punto di vista della destra e la sua lettura della realtà. I risultati elettorali, fino al 25 settembre scorso, ne sono la prova provata. In altre parole, in Italia, il senso comune maggioritario sembra saldamente orientato a destra: sul piano delle pulsioni profonde (xenofobia, concezione securitaria della giustizia, familismo) così come su quello delle scelte più direttamente politiche (fisco, lavoro, relazioni internazionali). Insomma, la cultura di sinistra non è in grado di offrire, e da tempo, visioni del mondo e schemi interpretativi del presente ispirati da una concezione progressista e liberal-democratica. Ora, quest'ultima è appannaggio di una minoranza per certi versi ancora vivace e, tuttavia, ripiegata in una posizione di resistenza. Si prenda il caso delle politiche migratorie: i provvedimenti del governo Meloni sono la manifestazione del primato di un sentimento "di destra", che risale a prima ancora della legge Bossi-Fini (2002). Tanto è vero che da allora essa è rimasta pressoché intatta. Da cosa nasce allora l'ossessione della destra italiana per la presunta egemonia della sinistra? C'è, sì, anche un dato di realtà: i quasi ottant'anni trascorsi dalla fine della Seconda guerra mondiale sono stati effettivamente, e per una lunga fase, all'insegna dell'antifascismo. E come poteva essere altrimenti? I fascisti e gli a-fascisti faticavano a inserirsi nella temperie culturale e nel sistema di potere dell'Italia repubblicana, perché ne venivano respinti, sì, ma anche perché incapaci di elaborare una propria, anche striminzita, proposta ideale. Questa condizione di debolezza era ulteriormente aggravata da uno spirito revanscista che si riproduceva tra rivalsa e acrimonia, determinando un inconfessato complesso di inferiorità. D'altra parte, accadeva che la cultura di destra risultava incapace di produrre significativi talenti - perché così andava la storia - inducendola a stringersi intorno a rare grandi personalità come Giuseppe Prezzolini (nato nel 1882), Giuseppe Berto e Uto Ughi, e cercando spasmodicamente tracce "di destra" in personaggi controversi e, dalla stessa destra, spesso perseguitati (da Pier Paolo Pasolini a Lorenzo Milani); e, ancora, in autori orgogliosamente estranei a qualunque etichetta politica (da Tommaso Landolfi a Goffredo Parise). Lungo tutta questa complicata fase, la sinistra andava perdendo la propria egemonia. La crisi delle grandi organizzazioni di massa e l'erosione della loro funzione pedagogica, vittime a loro volta della polverizzazione del mercato del lavoro, hanno prodotto la frammentazione della mentalità collettiva, fondata sulla solidarietà di classe e su aspettative condivise. A ciò si deve aggiungere la perdita di senso della scuola pubblica come grande soggetto formatore; dunque, anche a sinistra, l'acuta crisi creativa, di talenti e di autorevolezza morale (Norberto Bobbio moriva quasi centenario vent'anni fa) ne è solo un'estrema conseguenza. I voti delle cinture operaie delle città del Nord, indirizzati verso la Democrazia Cristiana, costituiscono un fenomeno che risale già alla seconda metà degli anni '80 e che si rinnova un decennio dopo nei flussi elettorali a favore di Lega e Forza Italia. Nel corso di questo sommovimento la sinistra intellettuale era rimasta lì, a presidiare le "casematte" (ancora un termine gramsciano), ovvero quelle istituzioni della società civile dove si amministra cultura. Da queste, la destra è rimasta sostanzialmente esclusa, meno perché estromessa e più in ragione di una drammatica mediocrità. Ma anche questa rischia di essere una verità parziale: in ambiti fondamentali per la formazione delle idee collettive, come le università e le case editrici, la destra è da mezzo secolo presente e attiva. L'equivoco nasce dal fatto che, sul piano delle opzioni morali e degli stili di vita, si è diffuso un senso comune che non è "di sinistra", bensì semplicemente post-politico, consumistico e "fluido" (in tutte le accezioni possibili). È il paradigma-Amadeus, trasformato da Fratelli d'Italia in una icona guevarista, mentre è - palesemente - un simulacro della contemporaneità. Dopodiché, esiste tuttora una minoranza culturale di sinistra, vitale e appassionata. Per rafforzarla e, magari, renderla competitiva con la destra, non servono posti in Rai o la direzione di un museo, ma una paziente e tenace battaglia delle idee.

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