"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 3 giugno 2023

Dell’essere. 86 Filippo Ceccarelli: «L’arte del complotto, della macchinazione, della congiura, della trama, della cospirazione, dell’intrigo, del maneggio è una cosa tutta nostra».


Complottisti&Visionari”. “Melodrammi, gialli e stragi: la congiura è tutta nostra” di Filippo Ceccarelli pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” di ieri, venerdì 2 di giugno 2023: Siamo italiani, che ci vuoi fare: e quindi non solo crediamo ai complotti, ma ce li inventiamo anche, sia quando sono delle bufale, sia quando già esistono per conto loro, comunque in gran numero.  Ogni volta i cattivi dei complotti sono esemplari puri di malvagità contro cui i disvelatori ostentano la più virtuosa indignazione. Il tutto va in scena fra luci e ombre, aure tenebrose, passioni, baratti, vendette, giuramenti, tradimenti, sempre sull’orlo di una crisi di nervi mentre in lontananza pare di cogliere l’eco di violini, ottoni e un rullio di tamburi.

L’Italia insomma, quando non c’è da ridere. Tutto questo, sia detto con temeraria risolutezza, perché l’arte del complotto, della macchinazione, della congiura, della trama, della cospirazione, dell’intrigo, del maneggio – si noti la sintomatica varietà lessicale – è una cosa tutta nostra. Ci si cresce e ci si invecchia, dai golpe tentati e dai servizi deviati fino ai microchip inoculati con i vaccini e al piano Kalergi per la sostituzione etnica. Nel frattempo l’età adulta di un attempato giornalista se n’è andata appresso ai misteri del delitto Pasolini, al grande Vecchio e alla seduta spiritica dell’affaire Moro, alle Br telecomandate, alla P2 seguitando con i massoni infiltrati, Ali Agca, la bulgarian connection, la banda della Magliana, Emanuela Orlandi, Mirella Gregori, e siamo solo agli anni 80. Ora, va detto che fin dai tempi del Risorgimento sui palchi dei più bei teatri lirici del Belpaese musicisti e librettisti illuminavano con gran diletto narrativo e di pubblico i tratti più o meno latenti della vita pubblica italiana restituendo al gentile pubblico lo specchio segreto delle sue ossessioni. Ma poiché la tesi che si vorrebbe ipotizzare mette perigliosamente insieme due cose molto diverse quali il cospirazionismo diffuso e l’opera lirica fondante, ecco che prima di azzardarla sia consentito di proseguire la sommaria crociera autobiografica nel gran mare delle congiure “all’italiana”, così dette per ragioni di fantasia, colore, frenesia e dismisura. E allora, mentre da qualche secolo l’orchestra accorda gli strumenti e dentro i camerini tenori, soprano, bassi e baritoni non cessano di schiarirsi la voce, vale la pena di ricordare come all’inizio degli anni 90, esauritosi il filone boccaccesco di Lady Golpe, sul panfilo Britannia i British Invisibles si papparono per poche lire l’industria di Stato. D’altra parte se per taluni Mani Pulite fu un complotto ordito dalle forze della desovranizzazione, per altri fu egualmente una oscura e inconfessabile saldatura di interessi a generare non solo la nascita dell’impero berlusconiano, ma anche le stragi di Capaci e di via D’Amelio, più altre bombe a Roma e a Milano. Nulla però ha mai distolto lo stesso Berlusconi dal presentarsi come la vittima di un complotto ordito dalle “toghe rosse”; e tutto ciò senza che nessuno abbia mai censito il numero di complotti evocati da Umberto Bossi, a sua volta sospettato di essere in combutta con varie entità. Dopo di che, sul finire del secolo, ecco un altro ciclo di credenze alimentate da rivelazioni e inchieste parlamentari su complottini e complottoni, dalla mancata irruzione nel covo di Totò Riina al lavorio delle spie russe a parte l’intricata trama che portò l’ex stuntman Igor Marini a inguaiare esponenti del centrosinistra.Venne quindi il turno dell’ennesima cospirazione, quella islamica, fiorita attorno a pseudo-moschee e terroristi sui barconi; per imbattersi, confusi e trafelati, nelle scie degli aerei, gli speculatori delle criptovalute, i terrapiattisti, putinisti e supposti seguaci di Soros, concludendo in gloria con il complotto dell’ultimissima settimana, secondo cui l’alluvione è stata programmata - e qui si metterebbe finalmente punto. Per chiarire che, come è ovvio, non si vuole fare di tutt’erba un fascio, e che anzi un certo grado di segreto è implicito in ogni azione strategica. Ma diamine: l’impressione è che tale profluvio di sospetti, più che con la realtà, la finzione e un pizzico di follia paranoide abbia a che fare con il carattere e la particolarissima espressività degli italiani; la quale trova il suo più esemplare sfogo e la sua più degna rappresentazione nel genere artistico del melodramma. Dall’Otello al Ballo in maschera, dal Simon Boccanegra al Rigoletto e alla Tosca, l’opera lirica, dono mirabile che i nostri antenati hanno offerto al mondo, è piena zeppa di congiurati malvagi e di vittime innocenti in un pieno di maschere, inganni e raggiri che culminano in qualche misfatto, dal regicidio in giù. Fu Antonio Gramsci a teorizzare la “malattia melodrammatica” nazionale. Ma il problema, a questo punto, non riguarda tanto la veridicità delle congiure quanto la regolarità, l’attitudine e il gusto che portano l’emozione pubblica, senza distinzioni ad accreditare l’idea che pochi esseri perfidi e potenti si mettano d’accordo in segreto per conseguire i loro torvi obiettivi a discapito dei “buoni”. Ebbene: è questo il paesaggio ordinario dell’opera lirica, dei suoi personaggi e delle sue atmosfere tenebrose. O almeno: il potere, in Italia, ha sempre qualcosa di oscuro, una specie di governo dietro il governo, «una macabra parodia dello Stato – secondo Hans Magnus Enzensberger a proposito del caso Montesi – che non è altro che l’organo esecutivo di persone che restano nell’ombra». Per cui al dunque la storia stessa coincide con un unico incessante, ma irresolubile complotto. E così, ancora una volta, l’unica consolazione sembra quella di chiedere aiuto all’altro genere artistico che più italiano non potrebbe essere, la commedia, sorellina allegra del melodramma; e quindi riderci su, come già ampiamente accaduto con il “gomblotto” evocato in tv da Aldo Biscardi ed entrato nel linguaggio corrente. (…). Di seguito, “Chi vede solo complotti è il primo a complottare”, intervista di Marco Cicala al professor Pierre-André Taguieff - Parigi, 4 di agosto dell’anno 1946, sociologo, filosofo e storico delle idee - pubblicata sullo stesso numero del settimanale “il Venerdì di Repubblica”: (…). In realtà, se non proprio un "pensiero", il complottismo è una visione del mondo, della Storia, del potere, della società, che ha radici remotissime. L'avvento del digitale l'ha aggiornata, aggiungendo al bagaglio degli spauracchi atavici (ebrei, massoni, finanzieri cosmopoliti...) bersagli apparentemente nuovi (mondializzazione, Big Pharma, magnati hitech, padroni di Big Data...) però presi di petto con circonvenzioni retoriche tutto sommato fedeli agli stereotipi della tradizione. Per quanto si modernizzi nelle tecniche, il discorso complottista rivela un'inesorabile coazione a ripetersi, un'incapacità di reinventarsi. È indubbio, tuttavia, che l'evo-internet abbia impresso alle teorie cospirative non solo un rinnovato slancio, ma soprattutto uno spettacolare incremento quantitativo, estendendone il bacino di utenza, aumentandone la velocità di diffusione, la capacità di persuasione e arruolamento.

Professor Taguieff, (…), è intorno alla metà dell'Ottocento che la retorica complottista sembra fissarsi una volta per tutte. Ma nel XXI secolo quali sono le sue peculiarità? «Su un piano generale, la recente ondata complottista non può essere letta che come una reazione alla mondializzazione. Una mondializzazione che sconvolge i punti di riferimento, che relativizza, dissolve le certezze, e perciò è vissuta come un processo fortemente ansiogeno. Nell'ansia sociale viene meno la fiducia verso le spiegazioni ufficiali e si banalizza la cultura del sospetto, la diffidenza nei confronti delle autorità tradizionali, politiche e intellettuali. Su internet ci si nutre di narrazioni, credenze, spiegazioni alternative circa gli avvenimenti che più preoccupano, sui social regna un iper-relativismo cognitivo. In questo senso il complottismo contemporaneo può essere considerato una patologia della democrazia comunicativa senza più frontiere».

Nell'ultimo ventennio, comunque, l'ossessione complottista ha assunto connotati che solo in parte possono essere ricondotti alla diffusione delle reti sociali. «Il discorso complottista si diversifica seguendo le nuove mode politiche o culturali. Assistiamo, insieme, a un'accelerazione e a una differenziazione del fenomeno. Le narrazioni complottiste classiche erano caratterizzate da una la struttura deduttiva, quelle contemporanee procedono invece con modalità induttiva».

Cioè? «Il complottismo tradizionale applicava alla realtà uno schema interpretativo basato su credenze sociali spesso di origine religiosa, per esempio vedendo la mano invisibile di Satana dietro il corso della Storia. Il neo-complottismo costruisce invece spiegazioni alternative, generalmente false, partendo da un atteggiamento ipercritico nei confronti delle "versioni ufficiali" degli accadimenti. Nella sfera del complottismo contemporaneo, l'elemento psicosociale decisivo è la distorsione che si produce tra il desiderio di trasparenza esacerbato da una cultura democratica che predica la prossimità, l'immediatezza, la chiarezza... e la percezione di una logica oscura che governerebbe gli avvenimenti sfuggendo a una lettura razionale. Il pensiero cospirazionista alligna nello scarto tra una domanda di trasparenza e una realtà percepita come opaca, irrazionale».

Il complottismo è una critica dei Poteri che ormai pare aver conquistato il Potere. Non solo in regimi autoritari e/o illiberali - il filotto Putin-Erdogan-Orbàn... - ma anche in democrazie che credevamo solide, vedi il caso Trump."Populismo" è una parola da usare con cautela, causa abuso. Ma tra politiche diciamo populiste e complottismi esistono affinità elettive? «Entrambi gli "ismi" - populismo e complottismo - partono da un'opposizione manichea tra il Popolo - buono, onesto, ma offeso - e potentati intrinsecamente malvagi, cinici, bugiardi, più o meno invisibili, che tramano contro il Popolo, lo dominano, lo manipolano, lo ingannano, lo sfruttano. Nella Turchia del demagogo Erdogan, l'illusione democratica è tenuta in piedi inscenando un rapporto diretto tra leader e Popolo. Il leader non perde un'occasione per ricordare le proprie origini popolari e sottolineare come l'obiettivo prioritario della sua politica sia quello di aiutare i poveri. Per delegittimare gli oppositori, per lanciare cacce alle streghe o giustificare le epurazioni nelle istituzioni, il leader non esita a utilizzare narrazioni complottiste contro l'Occidente o il "giudeo-sionismo". L'immaginario e la retorica politica dei cosiddetti populismi alimentano il complottismo con una miscela di antielitarismo e di risentimento verso le utopie del "democratismo"».

Ecco: il cospirazionismo è anche disillusione, reazione iperscettica alle promesse non mantenute della Modernità democratica. Promesse di emancipazione, eguaglianza, giustizia sociale... Per questo le teorie del complotto fanno adepti pure a sinistra? «Agli occhi di quanti sono diventati diffidenti verso le grandi narrazioni di liberazione, l'andamento della Storia appare sempre meno intellegibile. Il complottismo permette di sfuggire, in modo immaginario, a questa frustrazione, a questo senso di tradimento, e dà voce al rancore che ne scaturisce».

Il complottista è un anti-elitario, ma di una specie assai curiosa. Contro le verità ufficiali date in pasto al "popolo bue", si ritiene depositario di un sapere quasi iniziatico, esoterico, che gli permette di vedere dietro le apparenze... «Le narrazioni complottiste muovono dal bisogno di trovare un ordine dietro gli eventi. Questo per sfuggire all'ansia provocata da un mondo percepito come caotico. La delusione o l'ostilità verso le spiegazioni ufficiali determinano un'insoddisfazione cognitiva e producono un dubbio sistematico. Tale dubbio iscrive colui che se ne fa portatore in una sorta di aristocrazia spirituale che ne rafforza o ne ripristina l'autostima. Il complottista conferisce così a se stesso un marchio di distinzione cognitiva, quello dell'esperto alternativo».

Una specie di eletto. «Il sentirsi unici sembra costituire un fattore importante nell'adesione alle visioni cospirazioniste. Compiacendosi di sapere ciò che gli altri non sanno, il complottista si smarca dal gregge dei creduloni che accettano supinamente le spiegazioni ufficiali».

Il cospirazionista allerta, accusa, condanna. Ma vuole davvero sgominare i complotti che denuncia o preferisce invece mantenerli nell'opacità, tra il lusco e il brusco, così da perpetuarne il mistero? «In effetti è possibile pensare che, a dispetto delle pretese di demistificazione, i complottisti restino attaccati più di tutto al proprio credo. È una fede che dà senso alle loro esistenze».

Il complottismo è un modo di re-incantare il mondo, un prolungamento del pensiero mitico, vuoi magico? «In parte sì, ma è anche il riflesso di una realtà storica e sociale dove il funzionamento ordinario della politica è quello dei rapporti di forza e della lotta per il potere. Lotta che implica azioni più meno segrete per la fabbricazione del consenso, per screditare o manipolare gli avversari».

È una novità? «No. Però i falsi complotti non dovrebbero farci dimenticare che ne esistono anche di veri. E la faccenda si complica ulteriormente se pensiamo che spesso, nelle vere cospirazioni, i congiurati utilizzano i complotti fittizi come arma. Il complottismo può insomma diventare uno strumento nelle mani di veri cospiratori». ~

(…). …il metodo più efficace per contrastare il cospirazionismo «è la fredda critica demistiflcatrice, che consiste nel rifiutare le tesi complottiste senza accanirsi contro i loro sostenitori». Ma c'è modo di dialogare con il complottista della porta accanto oppure è tempo perso? «Molti complottisti possono essere considerati effettivamente come degli psicopatici o dei sociopatici, persone con le quali è impossibile intavolare un dialogo fondato su argomenti razionali e dati oggettivi. Aggiungiamoci che, stando a diversi studi, chi crede a una data teoria del complotto tende a credere anche a molte altre teorie dello stesso tipo. Non solo. Le ricerche ci dicono pure che alle teorie del complotto credono soprattutto soggetti inclini essi stessi a complottare o a far parte di cospirazioni. Soggetti che sembrano dunque proiettare sugli altri il proprio desiderio cospirativo. Insomma, quando un individuo pensa "stanno cospirando", si dice pure "al posto loro farei lo stesso"».

È quella che la psicoanalisi chiamò "identificazione con l'aggressore"? «Il complottista immagina di far parte di un'élite cognitiva, ma così si inserisce in una comunità di credenti che, aderendo alle stesse teorie, sono caratterizzati da un forte conformismo ideologico di gruppo. Questo settarismo, questo dogmatismo rendono il dialogo impervio».

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