“Il
Cavaliere e la volpe”,
favoletta politicamente scorretta di Andrea Camilleri: Nel paese chiamato Iliata c’era
un Cavaliere il quale ce l’aveva a morte con la Volpe. Non passava giorno che
il Cavaliere, attraverso i suoi banditori che erano tanti e ben pagati, non
raccontasse le malvagità della Volpe, ladra, invidiosa dei beni del Cavaliere e
sempre pronta a portarglieli via, ricettacolo d’odio, spergiura, mentitrice,
inaffidabile. E tutto questo perché? Solo perché il pelame della Volpe era
rosso e il Cavaliere, assai più di un toro nell’arena, inferociva appena vedeva
quel colore. Un giorno il Cavaliere, nascosto, vide che la Volpe voleva
mangiarsi un grosso grappolo d’uva alta sopra un pergolato. La Volpe saltava e
saltava con tutte le sue forze, ma, per quanto si impegnasse allo spasimo
spiccando balzi sempre più alti, a un tratto si fece persuasa che quel grappolo
era, per lei, irraggiungibile. «Perché sto qui a sprecare energia?», si
domandò. «Oltretutto sicuramente quell’uva è troppo agra». E se ne andò. Il
Cavaliere, nel suo nascondiglio, immediatamente si convinse che quell’uva era
buonissima e che la Volpe aveva detto che era agra solo perché non era riuscita
a prenderla. Così, avvicinatosi alla pergola, senza manco scendere da cavallo,
agguantò il grappolo e ne fece un solo boccone. S’attossicò. L’uva era
veramente agra.
Di seguito, «Marta nel Metaverso:
una Muta d’acciaio e la pepita “Succession”» di
Pino Corrias pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri, 12 di giugno della “dipartita”
inattesa: Marta Antonia Fascina e il suo mistero sono stati fabbricati a Taiwan.
O almeno sembra. Marta guarda senza guardare. Parla senza parlare. Si sposa
senza sposarsi. Ha la lucentezza del poliuretano. I capelli placcati platino.
Nessuno spigolo. Colletti sigillati. Eppure respira, mangia, beve il Crodino, e
come niente si prende il partito, meglio di Tajani. Da tre anni abita nel
metaverso di Arcore, un altrove ben temperato, dove un tempo passavano femmine
replicabili in serie, igieniste dentali, stallieri mafiosi, patate bollenti. La
sua orbita è transitata dalla Calabria di Melito alla Campania di Portici,
provincia di Napoli, dove un tempo brillavano i compleanni di Noemi Letizia,
altro mistero biochimico della recente storia arcoriana che è sempre ormonale
prima che politica. Dal nulla, l’ombra silente di Marta si è addensata prima
negli uffici del Milan, epoca Adriano Galliani & Barbara B., poi in quelli
di Montecitorio. Infine direttamente nel cuore di Silvio, che di lì a un paio
di anni di fidanzamento conclamato, avrebbe voluto regalarle niente meno che il
Quirinale e arredarlo con i suoi enigmatici silenzi, ma ha dovuto ripiegare su
villa Gernetto, Lesmo, provincia di Monza Brianza, con sobria cerimonia, tipo Prima
Comunione o Ultimo Capodanno, con una autentica torta a tre piani, una fontana
costruita con stampante 3D, 60 amici vestiti a festa, a fare finta di nulla,
Gigi D’Alessio nei panni di Mariano Apicella, mentre Silvio sembrava felice
come un bimbo di 86 anni. Che lei da quel giorno chiama effettivamente Bimbo,
“il mio Bimbo”, avendogli offerto per intero il giocattolo dei suoi 33 anni,
ricambiata con un diamante a forma di cuore, che da quel 19 marzo 2022, le
arreda l’anulare sinistro e che le signorine cuorinfranti di Forza Italia
stimano di 12 carati. Entrando nel cuore del Capo, nel partito del Capo, nel villone
del Capo, Marta si è messa spalla a spalla con l’altra muta di casa, Marina, la
primogenita del Capo. Da lì ha ripulito il campo da gioco con il
decespugliatore. Ha scelto alleati fior da fiore, estirpando nemico per nemico.
A cominciare dalla più nemica di tutte, Licia Ronzulli, ex infermiera del
Galeazzi di Milano, poi onorevole plenipotenziaria che si era messa a fare il
bello e il cattivo tempo in villa e nel partito, filtrando le telefonate di
tutti, comprese quelle di due vecchi compari come Fedele Confalonieri e Gianni
Letta che la detestano, con pose e pratiche da autentico mercenario Wagner:
“Sono un soldato nelle mani del presidente. Quando lui chiama io rispondo:
presente!”. E poi agli alleati: “Si vince uniti. Io coordino. Obiezioni?”. Nessuna,
fino a Marta. Che imbracciò due inciampi di Licia – l’umiliazione del Bimbo per
la mancata conquista del Quirinale e l’urticante elezione di Ignazio La Russa
al Senato – per farla sparire da un giorno all’altro, proprio come la Ronzulli,
a suo tempo, aveva sgomberato Francesca Pascale e Mariarosaria Rossi dai divani
del sovrano. Cancellata anche nelle fotografie, come a Mosca negli Anni Trenta.
Mai più ammessa a Arcore. Mai al San Raffaele, con Silvio degente per 45
giorni, “nemmeno al reparto solventi l’hanno fatta salire, ben je sta!”, fanno
sapere con sollievo le colleghe più care. Sollevata dall’incarico di
Coordinatrice di Forza Italia in Lombardia. Sostituita da due fedelissimi di
Marta, Alessandro Sorte e Stefano Benigni, appena entrati nella saga, chissà
quanto consapevoli. Battezzata da Silvio come “dono di Dio”, Marta Fascina ha
storia misteriosa quanto i suoi eloqui. Nasce il 9 gennaio del 1990. Il babbo
Orazio faceva il cancelliere al Tribunale di Salerno. La mamma l’insegnante.
Studia a Napoli, si laurea in Lettere alla Sapienza di Roma, tesi sulla musica
napoletana, piccola passione per la politica, enorme passione per Silvio B. al
quale scrive decine di lettere senza risposta. Nel 2013 si candida per il
Popolo delle libertà a Portici, raccoglie la bellezza di 58 preferenze. Le
bastano per inoltrare un messaggio a voce a Emilio Fede, famoso scopritore di
talenti e di guai, per finire tra le segnalate a Arcore. Entra nell’elenco
delle candidabili tra una Deborah, una Katia e una ex miss Molise, anno 2018.
Al giro successivo, in qualità di favorita, riceve in dote il collegio blindato
di Marsala, anno 2022, dove non mette piede, non fa comizi, “ma ci ha fatto una
vacanza da piccola”, fa sapere l’ufficio stampa che nel frattempo le ha
ripulito foto e social. Con la qualifica di deputata, più qualche spicciolo a
fine mese, può dedicarsi alle cure del Bimbo. Di fianco al quale compare sempre
vestita castigatissima, “da badante ucraina”, “da nonna Speranza”, suggeriscono
le solite amiche, nonostante si vanti di usare lo stesso stilista di Kate
Middleton, poverina. Durante il Covid si eclissa con Silvio in Costa Azzurra. A
fine pandemia riappare qualche volta a San Siro, d’estate in Sardegna, a Natale
di fianco all’albero. Avendo altro a cui pensare nei quattro anni della sua prima
legislatura ha presentato due smilze proposte di legge, purtroppo senza
relatore, tre emendamenti, una interrogazione, tasso record di assenteismo al
72 per cento. Per questo le sue rare apparizioni suscitano l’entusiasmo dei
peones: “Arriva Marta!”, “Ecco Marta!”, che ringrazia spalancando gli occhi,
come fanno i timidi. In compenso ha dimostrato un presenzialismo d’acciaio
durante l’ultimo ricovero di Silvio, 45 giorni filati senza mai uscire dal San
Raffaele: “Come avrà fatto per la ricrescita dei capelli?” si sono chieste le
solite colleghe benevolenti. Ha chiamato il parrucchiere? Forse. Di sicuro ha
convocato il padre e la madre, che in realtà sono separati da venticinque anni.
Circostanza ben misteriosa che a molti ha fatto drizzare le antenne. Anche
perché, dalla guarigione in poi, i comunicati ufficiali di casa Arcore, non
parlano più di compagna, ma di moglie. Si sono sposati davvero e questa volta
in segreto? Persino il Confa, interrogato, è caduto dalle nuvole e quasi dalle
scale: “Non ne so niente”. Almeno stavolta non si tratterebbe di un mistero
fabbricato a Taiwan, ma direttamente nel piccolo teatro di privacy familiare
con implicazioni sull’asse ereditario e turbolenze legali prossime venture.
Fatti loro. E nostri solo se diventeranno l’inchiostro televisivo per il
prossimo “Succession”. A Marta, La Muta, toccherà sovrintendere i titoli di
coda.
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