A lato. "Santuario di Capo d'Orlando" (2022), acquerello di Anna Fiore.
“Sivoltipagina”. Se oggigiorno, con la Sicilia ha battuto qualsivoglia record nell’astensionismo elettorale (ben oltre il 50%), si volesse conoscere un po’ della astensionista regione, quel po’ che fuoriesca però dai patinati depliant turistici, farebbe bene, se ancora in possesso, rileggere la brevissima “cronaca” che di seguito si riporta - “A Milazzo c’è un fantasma” - scritta da quel viaggiatore professionale ed incallito che risponde al nome e cognome di Bernardo Valli, pubblicata sul settimanale “L’espresso” del 13 di agosto dell’anno 2017.
Fatti i calcoli, un quinquennio o lustro - che dir si voglia - addietro. Da
quel tredici di agosto cosa mai sarà cambiato? Le “cronache” incendiarie e non di
questa ultima torrida stagione non lasciano speranza alcuna. In tutte le estati
della gattopardesca terra roghi e quant’altro hanno fatto da degna cornice ad
una terra imperturbabile nelle sue genti ed immobile. Ha scritto Bernardo
Valli: Appena arrivi in Sicilia, superata Messina, capiti in una stazione
fantasma. Vale a dire deserta. Disertata. Non un’anima viva. Persino le voci
degli altoparlanti sembrano registrate. Suonano meccaniche. Sono di origine
misteriosa, poiché nulla si muove nell’edificio massiccio e accecato, un tempo
forse animato da capistazione, vice capistazione, ferrovieri e impiegati. Tutti
fuggiti, licenziati, dispersi. La loro sorte mi è sconosciuta. Una volta c’era anche
un bar, nel quale sostavano i passeggeri discesi dai treni in arrivo da Roma,
da Napoli, con l’obiettivo di raggiungere le spiagge siciliane o le Eolie. Da
Milazzo, dove è la stazione fantasma, partono gli aliscafi diretti
nell’arcipelago delle sette isole: Vulcano, Lipari, Panarea, Alicudi...
Promosse dall’Unesco patrimonio dell’umanità, ma private di una normale, civile
stazione ferroviaria nell’attigua isola madre, che è la loro terra ferma. Impossibile
dissetarsi. Sulle porte chiuse dello spaccio ci sono ancora, un po’ ingiallite,
le pubblicità dei gelati un tempo in vendita. Non un giornale. Non un
francobollo. All’arrivo come alla partenza non c’è un portabagagli che ti aiuti
a salire e a scendere le scalinate ripide del sottopassaggio. Non c’è un
autoctono o un immigrato in buona salute che abbia bisogno di un’occupazione, e
che potrebbe essere di dignitoso e grande aiuto agli anziani e a chi ne ha
bisogno. Le valigie diventano le croci di un incruento calvario. La provincia
conosce dunque il pieno impiego, nonostante le statistiche e i giovani che
tendono la mano nel vicino centro di Milazzo. Un’autorità misteriosa vieta
qualsiasi attività nella stazione. La discesa nel sottopassaggio e poi la
risalita assomigliano a una penitenza per villeggianti provenienti da un altro
mondo, dove le stazioni hanno ascensori e scale mobili. La stazione degli
spettri annuncia da Milazzo una Sicilia deserta che non esiste. È il residuo
della scena di un thriller. È un frammento di Sicilia abbandonato anche dalla polizia.
Non un agente in vista. Anche se un altoparlante risuona puntuale, notte e
giorno, avvertendo i viaggiatori che un’invisibile polizia ferroviaria veglia
sulla loro sicurezza. Il “grande fratello” annidato in chissà quale ufficio,
distante chilometri da Milazzo, è generoso in consigli: non perdete di vista i
bagagli. Quando prendi un treno per il Nord o per Palermo a tarda sera guardi
il buio vuoto in cui sei immerso con una certa preoccupazione. Le lontane luci
di una raffineria diventano sinistri segnali. Potrebbero essere fuochi fatui.
Mi dicono che in giornata la stazione sia terreno di caccia per una fauna
abituale e spesso molesta, soprattutto con le ragazze non accompagnate e con i
turisti stranieri. Avevano promesso di fare il ponte sullo Stretto di Messina.
L’avevano già disegnato. E avevano assunto un certo numero di personale
tecnico. L’avanguardia di una grandiosa realizzazione. L’ennesimo progetto si è
sgonfiato. È invece prevalso un altro programma. Più semplice, meno costoso e
meno faticoso. Hanno svuotato una stazione a qualche chilometro, sulla sponda
siciliana. Ne hanno fatto un desolato ingresso nell’isola in cui rassegnazione
e indignazione convivono. Il megaponte, in competizione per lunghezza con
quello di Nanchino, è finito tra le fandonie della politica nazionale. La
realtà è la stazione fantasma. Nell’attesa di un treno, a Milazzo, mi capita di
pensare a Guido Morselli, autore di “Roma senza papa”, uno scrittore che
abbiamo amato quando era ormai morto. Da vivo non aveva trovato un editore
disposto a pubblicare i suoi romanzi. Morselli racconta che nell’Italia in cui
il pontefice ha abbandonato il Vaticano per rifugiarsi a Zagarolo, si pensa che
per sviluppare il Meridione bisogna affidarsi ai gesuiti. I quali, per creare
l’atmosfera favorevole a una crescita economica, piantano pinete, campi di
tulipani, e tanti altri prodotti della flora nordica nelle contrade del Sud. E
riescono nell’impresa. I gesuiti di Morselli avrebbero importato nella stazione
di Milazzo capistazione, ascensori, scale mobili e agenti della polizia
ferroviaria. Orbene, tornando alla Sicilia “immobile” il giorno
appresso allo sfoglio delle elezioni regionali, con quel po’ po’ di
astensionismo registrato, salta evidente all’attenzione dei più quel titolo che
appare in alto, sulla prima pagina di oggi de’ “il Fatto Quotidiano”, che
stentoreamente proclama: «In Sicilia le urne riportano indietro le
lancette a 30 anni fa. Schifani è “il nuovo” (che avanza n.d.r.) presidente
e ringrazia i vecchi amici: B., Saverio Romano, Cuffaro e Lombardo». Ci
sarebbe da obiettare al valido titolista del quotidiano di Marco Travaglio che
la Sicilia non si è mai mossa, stante alla “cronaca” dianzi proposta di
Bernardo Valli che risale solamente ad un lustro addietro. La Sicilia è “immobile”,
ma proprio “immobile” (basterebbe percorrere le sue fatiscenti autostrade,
senza menzionare, per umana pietà, le condizioni delle sue strade statali e di quant’altro
di suo attiene al decoro del cosiddetto bene comune) lo sarà “ab aeterno”
per volontà propria dei sedicenti politici e per l’elettorato in generale. Ha scritto a Michele Serra il lettore S. G. - del
settimanale “il Venerdì di Repubblica”, sul numero del 23 di settembre ultimo -
in “Perché la Sicilia è devota al
cavaliere”: “Caro Serra, ho letto con grande sconcerto e senso cli vergogna, in
quanto siciliano, la notizia che il signor Berlusconi ha candidato Marta
Fascina a Marsala. E perché non in Lombardia? Evidentemente Berlusconi ha
individuato nei marsalesi la comunità più servile e prona per fare eleggere la
sua badante. Ma la cosa più sconcertante è che non ho letto né sentito reazioni
indignate da parte dei marsalesi: evidentemente Berlusconi ha visto
giusto”. Ha così risposto a quel
lettore Michele Serra: Caro G**, sì, Berlusconi ha visto giusto.
Ma non se la prenda solo con i poveri marsalesi. La Sicilia nel suo complesso,
in buona maggioranza, è devota al Cavaliere e alla destra in genere. C'è, nel
nostro Mezzogiorno, una tradizione poco dignitosa, e anche molto dolorosa, di
vassallaggio e di infeudamento, l'uomo ricco e potente piace perché dispensa
favori e solleva dalla fatica di sentirsi una comunità di uguali, con pari
diritti e pari doveri. Ma pensi, a proposito di dignità, anche a quanti
meridionali hanno votato per la Lega, dopo tutti gli insulti e i "Forza
Etna"... Ignoro quale sia il nesso tra la signorina Fascina e il collegio
che, sicuramente, la eleggerà senza fare una piega. Ai siciliani come lei,
amareggiati da una così insulsa e assurda candidatura, non resta che continuare
a essere una minoranza orgogliosa. È da quella minoranza che sono usciti i Pio
La Torre, i Peppino Impastato, i Pippo Fava, i Piersanti Mattarella, tutti nomi
che la candidata di Marsala probabilmente ignora. Il collegio elettorale di
Marsala ha approvato a pieni voti ed ha eletto parlamentare tale “signorina
Fascina”. Brevissimamente, “cronaca elettorale” riportata sul quotidiano
“la Repubblica” di oggi – nella edizione di Palermo – a firma di Marco Patucchi
– “Il tracollo e la traversata del
deserto” -: Cè un vincitore indiscusso di questa tornata elettorale nell'Isola, con
percentuale stratosferica superiore anche alla media nazionale: 51,18%. È il
partito dell'astensione, vale a dire quasi 2 milioni e 360mila siciliani. Alle
precedenti Regionali avevano disertato i seggi ancora più persone (53,25%), ma
nel 2017 non c'era il traino delle elezioni politiche nazionali che, per dire,
c'era invece nell' election day del 2008 quando, infatti, l'astensione si fermò
al 33%. Nessuno potrà far finta di niente di fronte a questo dato, a cominciare
da Renato Schifani, ovvero uno dei campioni di quel centrodestra che, dai posti
di comando, decennio dopo decennio ha prodotto l'astensionismo siciliano.
Stesso discorso per l'outsider De Luca e per i 5Stelle che, numeri alla mano,
non hanno intercettato per intero il voto di protesta di un territorio messo in
ginocchio dalla crisi sociale ed economica. Ma è soprattutto il centrosinistra
a trazione Pd a dover fare i conti con il convitato di pietra
dell'astensionismo, oltre che ovviamente con la tregenda di un risultato
elettorale prossimo all'estinzione. La maggior parte di quei 2,3 milioni di
siciliani sono gli "ultimi", le famiglie in difficoltà, i dimenticati
che non hanno neanche più il tempo e la forza di interrogarsi sul perché
nessuna politica li rappresenti. Un non-voto di rassegnazione più che di
protesta. Ecco, sta alla sinistra rigenerare questa comunità e, dunque, rigenerare
se stessa come punto di riferimento per il riscatto. Magari affrancandosi dalla
postura, diventata ormai mania, di cercare consensi nell'araba fenice del centro.
Ai dem si prospetta una lunga traversata del deserto, ed è ora di mettersi in cammino
per costruire, a dirla con Ken Loach, «una società migliore in cui tutti
possano vivere in sicurezza e dignità, con un buon lavoro, un salario equo e
buoni servizi pubblici». Niente di più e niente di meno. “Sivoltipagina”. Impossibile!
Poiché non piace ai siciliani di quel 50% e più.
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