“Storiedelieriedeldomani”. “Letta o non letta” di Marco Travaglio,
pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 10 di settembre 2022: (…). I
giornaloni – che scambiano sempre i loro padroni, cioè tutti i poteri interni e
internazionali, per il popolo italiano – raccontavano che il governo Draghi
doveva durare per sempre perché così voleva la gente, e pazienza per quel
piccolo inciampo delle elezioni: non si accorgevano che quel governo così amato
ingrassava la Meloni, unica opposizione, e decimava i soci di maggioranza.
Siccome Conte faceva notare che a settembre sarebbe arrivato lo tsunami e
bisognava fare qualcosa, tutti dissero che quel disturbatore della quiete
pubblica andava espulso dal consesso civile per creare i “veri 5Stelle” al
seguito di Di Maio, lui sì ben sintonizzato con l’opinione pubblica, che
draghianamente non pensa a cazzate tipo caro bollette, aziende che chiudono,
gente che perde il lavoro o lavora in schiavitù. Il popolo – basta entrare in
un bar o salire su un autobus e tendere l’orecchio – vuole nell’ordine: Draghi
per sempre, qualunque cosa non faccia; Agenda Draghi; Metodo Draghi; atlantismo
senza se e senza ma; sanzioni a Putin che sanzionano noi; 10 o 20 anni di
guerra fino alla riconquista della Crimea; 2% di spesa militare; Grande Centro
con Calenda. E teme sopra ogni cosa: populismo, sovranismo, pacifismo, reddito
di cittadinanza, salario minimo, Superbonus, taglio dei parlamentari. Fu così
che, dietro la promessa di collegi sicuri da parte di Letta, con la benedizione
di Draghi e dei giornaloni, Di Maio si scisse dal M5S per svuotarlo, rafforzare
il governo e fondare i “veri 5Stelle”: ciò che restava era il “partito di
Conte”, votato all’estinzione perché notoriamente sta sulle palle a tutti
gl’italiani (anche se curiosamente nei sondaggi è sempre il leader più
gradito). Così rafforzato, Draghi cadde: Lega e FI non volevano più governare
col M5S; il M5S voleva che facesse qualcosa per lo tsunami di settembre; e
Draghi non voleva più governare con nessuno perché non sapeva che fare contro
lo tsunami di settembre. In campagna elettorale, i giornaloni spiegarono subito
che Conte, avendo osato far sanguinare il Sacro Cuore di Mario, era morto:
stavano arrivando Grillo, Raggi e Di Battista a rimuoverne il cadavere. Letta,
come sempre, ci credette e si alleò con Calenda, facendosi pure baciare, avendo
letto che gl’italiani morivano dalla voglia di un Grande Centro, anzi un Terzo
Polo, dato almeno al 15%. Bastava evocare il Sacro Draag e il gioco era fatto:
Meloni avrebbe pagato l’opposizione al Santo, oltre alla simpatia per Orbán
(altro tema in cima ai pensieri della gente). Conte, Salvini e FI sarebbero
stati puniti per averGli negato la fiducia. Di Maio, con i “veri 5Stelle”
contro l’estinto “partito di Conte”, li avrebbe riportati ai fasti dei bei
tempi. Insomma, la maggioranza assoluta al governo CaLetta atlantista, armato
fino ai denti, antipopulista e antisovranista era un gioco da ragazzi. Poi,
purtroppo, la realtà s’è permessa di smentire i giornaloni. Forse perché gli
italiani non li leggono, o li leggono per fare l’opposto. Calenda ha mollato
Letta e sta al 5-6%, sebbene stia con Renzi o forse proprio per questo. Si
rimangia l’abolizione del Rdc e invoca lo scostamento di bilancio, che quando
lo chiedeva Conte era “populismo” sfascia-conti, mentre ora che lo chiede lui è
un dispetto ai “populisti filo-Putin”. Letta&C. chiedono agli italiani di
votare Pd e non M5S per difendere le leggi volute dal M5S e osteggiate dal Pd
(Rdc, salario minimo) e cancellare quelle volute dal Pd e osteggiate dal M5S
(Jobs Act, Rosatellum). E accusano Conte d’incoerenza per aver governato con la
Lega e col Pd, mentre rimpiangono il governo Draghi in cui governavano (anzi
governano) con la Lega e FI. Anche B. difende il Reddito e Salvini ha smesso di
dire che lo abolirà. Di Maio con i “veri 5Stelle”, detti prima Insieme per il
Futuro e poi Impegno Civico, veleggi intorno allo zero virgola qualcosa. E i falsi 5Stelle dell’estinto Conte? Per
esser morti e rimorti diverse volte, hanno una discreta cera: i sondaggi li
danno in rimonta, al 14% o chissà; tutti invocano i loro punti programmatici,
ambientalismo compreso, fingendosi grillini fuori tempo massimo; il famigerato
Giuseppi, detto anche “sotto la pochette niente”, quello che – stando ai
giornaloni – riusciva a essere contemporaneamente servo di Putin, di Trump e di
Xi Jinping – è sempre il primo leader di partito per consensi. E La Stampa,
dopo averlo massacrato e seppellito, riconosce che “la sua strategia paga” per
quello che gli esperti (quelli veri) chiamano “effetto Churchill”: “Vince chi
si distanzia dal governo uscente”. Non da Churchill, che almeno aveva vinto la
guerra mondiale, ma da Draghi, che ha fatto pochino, infatti porta sfiga a chi
lo ama e lo nomina. L’unico che non l’ha ancora capito è il povero Letta,
ultimo giapponese che, non bastando i disastri fin qui collezionati, continua a
ripetere il mantra: “Noi gli unici con Draghi” e si fa fotografare con la
Bonino, altra sfolla-urne scambiata per idolo delle masse. Quando smetterà di
leggere i giornaloni, o almeno di crederci, sarà sempre troppo tardi. Di
seguito, “Anche sua eccellenza Meloni
farà cose buone” di Antonio Padellaro pubblicato sul mensile “Millennium”
del mese di settembre: Fu venerdì 30 settembre 2022 che Giorgia
Meloni salì al Quirinale per ricevere l'incarico di formare il nuovo governo.
Dal punto di vista formale per Sergio Mattarella fu tutto abbastanza semplice
poiché la maggioranza assoluta, conquistata nel nuovo parlamento dal blocco di
centro-destra, consentì un rapido giro di consultazioni. Al termine del quale
il segretario generale della Presidenza, Ugo Zampetti, poté annunciare che, per
la prima volta nella storia repubblicana, una donna veniva chiamata alla guida
del Paese. Era anche la prima volta che stava per prendere possesso di Palazzo
Chigi la leader di un partito, Fratelli d'Italia, erede diretto (la Fiamma
tricolore nel simbolo) di quel Movimento Sociale Italiano fondato dai reduci
del fascismo e della Repubblica di Salò. Per festeggiare lo storico evento
circa un migliaio di persone aveva gremito la piazza del Quirinale:
inneggiavano a “Giorgia, Giorgia” (qua e là qualche saluto romano e qualche
“Duce, Duce", subito però azzittito). Fedele a uno stile giovanile ed
energico la nuova premier già il lunedì successivo si presentava davanti alle
Camere, festanti, alla testa di un governo che definì "di unità
patriottica e ispirato ai valori cristiani e occidentali". Punta di lancia
dell'esecutivo il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Interni Matteo
Salvini. Il quale, ottenuta la trionfale fiducia, volò a Lampedusa per guidare
"personalmente e senza indugio alcuno" (come da comunicato a reti
unificate) lo "sgombero dell'indecente rifugio dell'illegalità
clandestina, tollerata dalla sinistra sconfitta favorevole alla sostituzione
etnica degli italiani". Dopodiché, dalla tolda di un caccia-torpediniere
(simpaticamente ribattezzato dai leghisti "Ruspa del mare") diede
ordine di pattugliare le acque territoriali, da Trapani a Otranto, onde
scoraggiare l'avvicinamento di qualsiasi imbarcazione sospetta. Nel frattempo,
a Roma, il capo del governo avviava "sollecitamente" la riforma costituzionale
del presidenzialismo che avrebbe portato alle inevitabili dimissioni di
Mattarella, sostituito nelle funzioni di Capo dello Stato da Silvio Berlusconi,
eletto direttamente dal popolo. Intanto, Enrico Letta, processato dal Pd per
aver agevolato il successo della destra, dopo il no al patto elettorale con i 5Stelle,
ritornava alla Sorbona per approfondire gli amati studi di diritto
fallimentare. Negli stessi giorni la coppia del terzo polo, Calenda&Renzi
firmava a quattro mani il manifesto della "pacificazione nazionale"
le cui prime parole saranno: "Anche sua eccellenza Giorgia Meloni farà
cose buone".
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