A lato. Ambrogio Lorenzetti, particolare dell'affresco del "Buon governo" ("La Sicurezza", 1338-1339).
“Aspettandolacometa”. Tutti con il naso all’insù,
come per aspettare la buona cometa che ci porti il risultato della “bagarre”
elettorale. Ha scritto Dario Vergassola in “Il
voto utile e dilettevole su TIKTOK” pubblicato sul settimanale “il Venerdì
di Repubblica” del 16 di settembre 2022: "Ha da venì Buffone". È la nuova
simpatia al potere, il Politico Burlone, l'Italia come "Repubblica fondata
sul lavoro di influencer''. Lo richiede la follower-crazia, cioè il governo dei
post-millennial attraverso l'esercizio del diritto di clic, per mandare in
Parlamento boomer antiquati come un algoRitmo Diesel. Vecchi potentati
imbalsamati, disposti a tutto, persino a essere onesti (sto scherzando, non
proprio a tutto), pur di acchiappare qualche like. Come quel tycoon destrorso
con strani capelli, un'idea della donna tutta sua, e problemi di frode fiscale
per cui accusa i giudici di persecuzione politica (aiutino: non è Trump). È
apparso su TikTok cercando di sembrare giovane, vicino ai giovani. Fosse stato
per lui si sarebbe presentato pure con le sneaker senza lacci, i pantaloni con
le chiappe di fuori come Damiano dei Maneskin e intento a praticare binge
drinking, cyberbullismo e selfie sui binari, ma il suo social media manager ha
minacciato di andare a lavorare per Travaglio. Pazienza, l'impagliato allegrone
è riuscito comunque a inaugurare una moderna variante del voto utile: quello
dilettevole. Di seguito, “Un
popolo bambino” di Concita De Gregorio, pubblicato sul quotidiano “la
Repubblica di oggi, 25 di settembre 2022: (…). Un popolo bambino, al luna park. In
fondo è solo un altro giro di giostra. Avete presente la frenesia dei figli al
parco divertimenti, quando ancora a metà del calcinculo già indicano col
braccio teso il castello degli orrori, e dentro il castello degli orrori
chiedono ma dopo andiamo sulle macchinine a scontro, vero, e dopo andiamo anche
alla ruota? Quell'ansia lì, quella noia subito. (…). Si stancano subito, del
giocattolo nuovo, gli italiani. Creduloni e cinici, sentimentali e scettici.
Pronti a dire non ce la contate giusta, ah-ah, ci state gabbando in favore
delle multinazionali e poi incapaci di ricordare cos'è successo ieri, chi era
chi, chi ha fatto cosa. Basta una giacca bianca, una manica di camicia
arrotolata al posto della pochette, e via: si va, l'illusione è compiuta. Berlusconi,
che tra gli illusionisti è stato il campione olimpico, lo diceva nei suoi anni
d'oro, vent'anni e rotti fa, prima di tornare ad avere i denti e i capelli di
prima: bisogna trattare gli italiani come se fossero tutti in quinta
elementare. Come se avessero dieci anni. È desolante, ma aveva ragione. I
bambini sono irresponsabili, sono gli unici autorizzati ad esserlo: vanno per
mano ai genitori, che difatti in caso di danno pagano per loro. Ma qui di
adulti non se ne vedono, e quelli che si vedono non hanno appeal, non mordono.
Sono grigi, già usati. Morde la maschera, l'illusione del nuovo, la giostra più
in là - quella da provare ancora. Pazienza se è vecchia anche la giostra nuova,
chi se lo ricorda. Chi ha voglia di fare memoria degli anni Ottanta e Novanta e
Duemila, che fatica. La campagna elettorale più efficace - è opinione corrente
e condivisa - l'hanno fatta quelli che hanno detto una cosa sola, ripetuta
all'infinito. (…). Un'Italia divisa in due, un Sud che vuole il reddito di
cittadinanza e un Nord che chiama il merito, non l'elemosina e poi la
corruzione, come ai tempi della Cassa del Mezzogiorno e del Meridione
parassitario, il Nord produttivo, vi ricordate la Dc? Ma poi il Nord che fino a
ieri inneggiava alla gogna di Roma Ladrona oggi è pronto a mettersi nelle mani
di una romana verace, una popolana della Garbatella perché dice che vince, è
meglio sempre stare con chi vince, no? Roma ladrona, Roma padrona. Il
voltafaccia, la grande tradizione italica. Lo scenario possibile di un governo
neofascista e di un'opposizione populista racconta la fine della politica del
Novecento, la fine delle radici ideali della politica. Si potrebbe dire, in
sintesi: la fine della politica. È una battaglia navale, questa. È un risiko:
qualunque cosa può succedere, dopo i gialloverdi e i giallorossi magari i
rossoneri, chissà, altri tecnici se ce ne sono disponibili, altri maghi e
giocolieri, altri profeti buoni per un quarto d'ora. Le grandi scuole di
pensiero non c'entrano niente, non più. È un gioco diverso, questo, difatti chi
gioca al gioco vecchio è fuori gioco. Il popolo bambino è disilluso,
capriccioso, irresponsabile. Vuole un'emozione nuova, un capopopolo diverso.
Vuole qualcuno che risolva i suoi problemi al posto suo, e se non funzionerà
poi lo manderemo a casa presto come abbiamo fatto sempre. Però, però. Non
sempre la Storia la capisci mentre accade, questo ci insegnano i vecchi che
restano. Non sempre il consenso di popolo equivale al bene, avere memoria della
Storia suggerirebbe di fare attenzione. A ricordarlo, il passato. Che - ci
dicevano a scuola - è importante: è maestro di futuro. La scuola, accidenti. La
scuola. La conoscenza, fatica e sorella perduta, amica volentieri smarrita.
Meglio TikTok, un video, no? Dieci secondi al massimo. (…), comunque: siamo
nelle nostre mani, come sempre. Non sarà la fortuna a decidere, saremo noi.
Occhio. Forse tardivo quell’allarmistico “occhio” di Concita De Gregorio: a questa ora, ventiduesima
del 25 di settembre, come suol dirsi, “les jeux sont faits”. Ha scritto
Tomaso Montanari in “Per chi vola la
Sicurezza” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 16 di
settembre ultimo: Sarebbe un errore leggere il Buon governo di Ambrogio Lorenzetti come
un'idea platonica del governo buono, un manifesto senza tempo, senza contesto,
senza committenti. Il committente dell'affresco era il governo dei Nove:
medioborghese, antitirannico e relativamente sollecito del bene comune. E gli
affreschi di Ambrogio sono il capolavoro della sua geniale propaganda. Il brano
che qui ci interessa è la parete che rappresenta gli effetti del governo dei
Nove nelle campagne. Dalle porte di Siena, su cui campeggia la lupa (simbolo
chiave del nesso genetico Roma-Siena), si libra in volo la Securitas, una delle
prime allegorie nude nella pittura italiana, una statua lisippea trasfigurata. Il
senso del messaggio è ben restituito dall'ecfrasis contenuta in una celebre predica
del sanguigno franscano Bernardino da Siena posteriore di alcuni decenni: «Io ò
considerato quando so' stato fuore di Siena, e ò predicato de la pace e dela
guerra che voi avete dipenta, che per certo fu bellissima inventiva. Voltandomi
a la pace, vego le mercanzie andare atorno; vego balli, vego racconciare le
case; vego lavorare vigne e terre, seminare, andare a bagni, a cavallo (...). E
vego impicato l'uomo per mantenere la santa giustizia. E per queste cose,
ognuno sta in santa pace e concordia». Nessun dubbio, per san Bernardino, sulla
necessità di impiccare l'uomo: e di vederlo, di ostentarlo impiccato, per
mantenere la «santa giustizia». Il suo sguardo, tuttavia, è selettivo. Quella
Sicurezza sanguinaria veglia su una campagna in cui l'ordine da mantenere è
anche quello sociale: i poveri lavorano duramente, e i ricchi - proprio sotto
l'impiccato - escono a caccia col falcone. La garanzia di quel lusso, di quel
dominio di classe, è la sicurezza fondata sulla paura e sulla repressione. I
Nove avevano fatto impiccare anche il figlio sedizioso di un loro pari, ma non
c'è dubbio che la forca - proprio come oggi il carcere - toccasse soprattutto,
anzi quasi esclusivamente, ai poveri. Lo ricorda un'altra santa senese,
Caterina, qui decisamente più cristiana di Bernardino: «Onde spesse volte vediamo
(…) «che questi cotali mantengono la giustizia solo ne' poverelli, la quale
spesse volte è ingiustizia: ma né grandi no, cioè di quelli che possono alcuna
cosa. Non è giusto, e però non tiene la santa e la vera giustizia». Anche oggi,
del resto, chi costruisce la propria fortuna politica sulla retorica della
sicurezza fa leva sulla paura, e non ha certo a cuore la giustizia: nulla di
nuovo, sotto il sole italiano.
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