“Promemoriaelettorale”. A proposito di un Letta&Letta di
antica memoria e conoscenza nostra Marco Travaglio ne scriveva in “Letta a due piazze” pubblicato su “il
Fatto Quotidiano” del 26 di aprile dell’anno 2013: (…). Intanto dichiara che nel Pdl
(il “Partito della libertà” dell’uomo venuto da Arcore n.d.r.) c’è
“gente in gamba” come “zio Gianni e Tremonti”: lui li vorrebbe tanto nel Pd, ma
siccome non vengono (mica scemi), lui pensa bene di imitarli. Gentiloni,
ministro delle Comunicazioni, gli scrive: devi cambiare le regole d’ingaggio
all’Avvocatura dello Stato perché smetta di difendere la legge Gasparri alla
Corte di Lussemburgo contro i diritti di Europa7. Scendiletta che fa? Nulla,
così l’Avvocatura seguita a difendere la Gasparri. Mediaset ringrazia e torna
al governo. Nel 2009 B. ha il solito problema: sistemare i suoi processi col
“legittimo impedimento”. Lettino dà subito il via libera sul Corriere: “Il Pd
non opporrà obiezioni al ricorso al legittimo impedimento: consideriamo
legittimo che, come ogni imputato, Berlusconi si difenda nel processo e dal
processo”. Dimentica di precisare quale “ogni imputato”, a parte B., possa
difendersi dal processo. Il 28 gennaio 2010 il Pd presenta una mozione alla
Camera per le dimissioni del sottosegretario Cosentino indagato per camorra. I
banchi del Pdl sono mezzi vuoti, sembra fatta. Ma ecco puntuale il soccorso
rosso, o rosé: il gruppo Pd fa mancare 97 voti, fra deputati assenti ingiustificati,
astenuti, contrari e usciti dall’aula proprio al momento del voto e rientrati
subito dopo. Fra questi ultimi, Letta jr. Mozione respinta con 236 No (Pdl più
Lega), 138 Sì, 33 astenuti e Cosentino salvo. Nel 2012, dopo anni di
berlusconismo latente, Lettino si libera col più classico dei coming out:
“Preferisco che i voti vadano al Pdl piuttosto che disperdersi verso Grillo…
Non vorrei che si tornasse alla logica dell’antiberlusconismo e delle
ammucchiate contro il Cavaliere”. Ecco: le ammucchiate contro il Cavaliere no,
invece quelle col Cavaliere sì. Ha scritto Marco Travaglio di Letta&Letta
ai giorni nostri in “Faccio schifo:
votatemi” pubblicato, sempre su “il Fatto Quotidiano”, ma del 7 di
settembre 2022: “La peggior legge elettorale che ha visto il nostro Paese potrebbe dare
uno scenario da incubo: col 43% dei voti la destra potrebbe arrivare al 70% dei
seggi in Parlamento. Quindi un 4% di voti in più a noi consentirebbe di tenere
la destra sotto il 55%”. (…). …l’ha detta Enrico Letta, cioè il leader del
partito che la impose per non far vincere i 5Stelle. E l’ha detta per chiedere
di votare il Pd che la volle anziché i 5Stelle che non la vollero, per non far
vincere Meloni che non la volle. Il che dà un tocco di dadaismo alle lezioni di
coerenza che Letta impartisce agli altri, lui che caccia dal centrosinistra i 5
Stelle perché non hanno votato 2 fiducie su 55 a Draghi e imbarca Fratoianni
che ha votato zero fiducie e 55 sfiducie. Lui che provò fino all’ultimo ad
allearsi con Calenda, il quale prima si fece eleggere eurodeputato dal Pd, poi
tentò di distruggerlo con la scissione di Azione, poi si oppose al Conte-2
5Stelle-Pd, infine alle Regionali e alle Comunali presentò candidati senza
speranze di vittoria solo per far perdere quelli del Pd. Lui che rimprovera a
Conte di aver governato prima con la Lega e poi col Pd, dimenticando che il Pd
ha governato prima coi 5Stelle e poi con la Lega, FI e i 5Stelle. Lui che
annuncia: “Il programma del Pd supera finalmente il Jobs Act”, ma il programma
del Pd non cita mai il Jobs Act e i suoi contenuti più importanti. Senza
contare che il Jobs Act lo volle il Pd, prima col governo Letta (lui, non lo
zio), poi col governo Renzi, e lo difese a spada tratta votando contro il dl
Dignità dei 5Stelle nel 2018. Lui che esalta il Reddito di cittadinanza, contro
cui il Pd votò con FI e FdI nel 2019, sostenendo poi le controriforme Draghi
per svuotarlo e promettendone la “revisione” nel programma siglato ad agosto
con Calenda. Lui che promette il salario minimo di 9 euro, proposto dai 5Stelle
e bloccato in commissione Lavoro dai mancati pareri del ministro del Pd
Orlando. Ricapitolando: il leader del Pd chiede agli italiani di non votare
5Stelle ma Pd per difendere le leggi dei 5Stelle (Rdc, salario minimo, dl
Dignità) osteggiate dal Pd e per abolire le leggi del Pd (Rosatellum e Jobs
Act) osteggiate dai 5Stelle. Se non è tutto uno scherzo, il Pd ha trovato
finalmente lo slogan vincente: “Facciamo schifo, votateci”. E Silvia
Truzzi a proposito del Letta&Letta e sempre su “il Fatto Quotidiano” – in «La “legge elettorale” peggiore di sempre
(all’insaputa di Letta)» - di oggi 8 di settembre (c’è stato un altro 8 di
settembre da ricordare, quello dell’anno 1943, con armistizio e guerra civile):
(…).
Breve riassunto: da qualche giorno la strategia del segretario dem Enrico Letta
è sparare a zero contro la legge elettorale. Non è che l’abbia detto una volta,
è recidivo da più giorni. Dice l’ex premier che “con il 43 per cento dei voti
la destra potrebbe arrivare al 70 per cento dei seggi in Parlamento”. E dunque
fare il bello e il cattivissimo tempo, potendo modificare la Costituzione in
beata solitudine. (…). Quel che non dice Letta è che è un caso limite,
possibile in astratto ma appunto limite. Che fare per evitare la tragedia? Dice
sempre Letta: “Questa non è una legge proporzionale, è molto maggioritaria (ma
va?). Quindi nei collegi uninominali, che è dove si decide, chi vota Terzo polo
e 5 Stelle sostanzialmente favorisce la destra. Perché là il Terzo polo e 5
Stelle non possono vincere. Se togliessero 3 o 5 punti percentuali al Pd
porterebbero a quel risultato”. E così è svelato il movente della campagna
contro uno “scenario da incubo”, provocato da una legge perversa, la peggiore
di sempre (Letta e altri esponenti Pd). Ma, come ha giustamente fatto notare
Giorgia Meloni, la peggior legge elettorale di sempre (affermazione ardita,
certamente dimentica del Porcellum) si deve al Pd (e a Lega, a Forza Italia e
agli Ala di Verdini. Contro votarono LeU, 5 Stelle e pure Fratelli d’Italia). Ieri
Letta (ai microfoni di Rtl) è tornato anche su questo non insignificante
dettaglio. Come andò, nel 2017? “Fu Renzi che lo impose, pensando a se stesso,
pensando di prendersi il 70% del Parlamento, poi è andata come è andata”. Ai
pochi coraggiosi che hanno fatto notare la contraddizione – ma come, la legge
l’avete fatta voi – il segretario ha risposto che lui nel 2017 non era in
Parlamento, essendo stato eletto alle suppletive dell’ottobre scorso nel
collegio di Siena, dopo essere diventato segretario del Pd a marzo. E tutti gli
altri che la votarono? E ancora: non si sarà accorto, poi, di essere stato
eletto con la peggior legge elettorale di sempre? Comunque c’era, com’è
evidente, tutto il tempo di scrivere in Parlamento la legge elettorale. Senza
voler dire che Camera e Senato oltre a dare la fiducia a Mario Draghi hanno
fatto ben poco, una legge elettorale decente è diventata un’urgenza dopo la
riforma costituzionale che ha ridotto il numero dei parlamentari, votata dal
Parlamento (Pd incluso) e successivamente approvata dal referendum popolare.
Era da fare – su questo giornale l’abbiamo scritto e chiesto così spesso da
diventare monotoni – un anno fa, anche perché – secondo le raccomandazioni del
Consiglio d’Europa – è più igienico pensare alle regole del voto prima che le
elezioni siano alle porte. La ragione è evidente: scrivere una legge elettorale
migliore per il sistema delle istituzioni e per i cittadini. Non c’è stato
tempo, non c’è stato modo? Il segretario del Pd non può cavarsela con un “è
andata come è andata” e questo varrebbe anche se lui fosse stato fuori dal
Parlamento. Anche se con questo disperato grido d’allarme contro il pericolo
per la democrazia riuscisse a convincere qualche elettore, potrebbe dissuaderne
altri. Quelli che magari non pretendono la coerenza, ma non riescono proprio a
passare sopra la malafede.
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