“Elezioni&Guerra”. Ha scritto Marco
Travaglio in “Ai confini della realtà”
pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 13 di settembre 2022: (…). Nei
primi sei mesi e mezzo di guerra le truppe di Putin hanno occupato un quarto
dell’Ucraina: un territorio vasto quanto metà dell’Italia. E se, per
riconquistarne un fazzoletto, quelle di Zelensky hanno impiegato oltre mezzo
anno, forse ha ragione l’intelligence Usa a ritenere lievemente prematuro
vendere la pelle dell’orso prima di averlo cacciato. Come ha detto il generale Mini
(…), è in queste fasi di stallo che la politica – ove mai esistesse – dovrebbe
forzare la mano per un negoziato. Possibilmente prima che Putin, per uscire
dall’impasse, valuti l’opzione nucleare tattica o solo l’uso massiccio
dell’aeronautica (finora pressoché assente) per spianare le aree che non riesce
a conquistare o tenere con le truppe di terra e i mezzi obsoleti impiegati fin
qui. L’iniziativa potrebbe prenderla l’Italia, decidendosi a rispettare la
nostra Costituzione, che diversamente da altre vieta l’invio di armi ai non
alleati, e proponendosi come mediatrice. Invece i nostri “esperti”, che fino al
24 febbraio pensavano che il Donbass fosse un prete nano, già parlano di
“disfatta russa”, “ritirata”, “crollo”, “rotta”, “Caporetto”, “fine di Putin” e
altre fesserie, fomentando gli opposti estremismi di Kiev e Mosca (“Niente
dialogo: guerra fino alla vittoria”). Rep annuncia in prima pagina: “Ucraini
alle porte della Russia. La controffensiva raggiunge il confine”. La Stampa:
“Ucraini al confine russo”. Il Messaggero: “Russi ingannati e in rotta: gli
ucraini sono al confine”. E Libero: “Ucraini al confine con la Russia”. Non
vorremmo deludere nessuno, ma gli ucraini sono al confine russo da quando
esiste l’Ucraina, che confina da sempre con la Russia. E lo erano anche prima
della controffensiva, perché le truppe russe non avevano mai occupato l’intero
confine, ma solo la parte Sud (di cui ora han perso un pezzo). L’Italia ha ai
confini Francia, Svizzera, Austria e Slovenia, però non si sognerebbe mai di
sentirsi sconfitta per così poco: càpita a tutti gli Stati del mondo, isole
escluse. (…). Non certamente nella campagna elettorale più brutta della
Storia ci si sarebbe aspettato che sull’affare “Guerra di Ucraina” si alzassero
alte e forti le voci dei contendenti per un confronto chiaro e senza
infingimenti. Ché tutto sia in questa campagna elettorale di bassissimo livello
lo conferma l’assordante silenzio su di una questione Guerra/Pace che avrebbe dovuto
accendere gli animi stante il suo dirimente significato. Nulla di tutto ciò. Scrive
nel merito Alessandro Orsini – sempre su “il Fatto Quotidiano” del 13 di
settembre ultimo in “Gli italiani e la
crisi in Ucraina. L’idea di guerra è molto simile al tifo da stadio” – che (…) l’atteggiamento
prevalente in Italia verso la guerra in Ucraina è identico all’atteggiamento
dei tifosi allo stadio. Del tifo calcistico presenta due caratteristiche
fondamentali. La prima è l’idea che una guerra duri novanta minuti. La
possibilità che la Russia, subita questa sconfitta, possa tornare alla carica
con violenza inusitata, è assente tra i tifosi. Riflettere sulle contromosse
del nemico non ha senso. Che la Russia possa impiegare seriamente l’aviazione,
cosa che finora non ha fatto, o ricorrere alla mobilitazione generale o magari
alle armi nucleari, non è contemplato. Ha senso soltanto esultare. La seconda
caratteristica è l’idea che il mondo sia diviso in due sole fazioni: i tifosi
della Russia e quelli dell’Ucraina. Basta che l’Ucraina avanzi a Kharkiv e i
problemi sono risolti. La Prima guerra mondiale e la Seconda guerra mondiale
dovrebbero avere insegnato agli italiani due cose. La prima è che la pace in
Europa non è possibile in presenza di una grande potenza revanscista. La
seconda è che “vittoria” non significa automaticamente “pace”. Infine, manca un
metodo. Una valutazione corretta ed emotivamente distaccata di ciò che sta
accadendo in Ucraina richiederebbe di condurre prima un’analisi separata delle
operazioni militari su ognuno dei fronti di guerra e poi una sintesi. Kharkiv è
soltanto uno dei tre fronti. Che cosa accade sugli altri due? Chi scrive non ha
mai previsto che la Russia non avrebbe subito nemmeno una sconfitta o che
avrebbe vinto in pochi giorni. Al contrario, ha sempre temuto la
sirianizzazione della guerra. Una guerra esistenziale è fatta di vittorie e di
rovesci. Il tipico andamento altalenante delle guerre, soprattutto nelle fasi
iniziali, sfugge anche a Zelensky, il quale, anziché aprire subito una trattativa,
si è profuso in commenti iper-radicali contro la Russia sprecando un’occasione.
Nessuno può rimproverarlo troppo: i falchi da cui è consigliato – Draghi,
Biden, Stoltenberg, Truss – lo inducono a tanto contro gli interessi del suo
popolo, dell’Italia e dell’Europa tutta. Viviamo in un tempo di falchi. La
guerra apre gli occhi a chi la subisce e non a chi la guarda dal divano. Il
nostro augurio è che tanti italiani continuino a vagare senza vista. Di
seguito, “Il patto del silenzio sulla
guerra” di Domenico Gallo pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 28 di
agosto ultimo scorso: (…). tutta questa levata di scudi contro
l'ingerenza della Russia nelle elezioni italiane è una barriera di fumo
destinata a occultare il vero problema: il patto del silenzio fra tutti i
partiti sulla gestione della guerra e delle sue conseguenze. Più che dolerci
dell'ingerenza russa nelle elezioni italiane, realizzata attraverso un tweet,
forse dovremmo dolerci dell'ingerenza Usa sulla formazione dei governi e sulle
scelte politiche conseguenti, fondata su elementi molto più robusti. Ingerenza
che, a volte, si è manifestata in modo particolarmente violento, basti pensare
alle minacce di morte che il Segretario di Stato americano dell'epoca rivolse
ad Aldo Moro, il 25 settembre 1974, per farlo desistere dal suo progetto di
aprire le porte del governo ai "comunisti". Ingerenza che non è mai
cessata se, il giorno dopo il discorso al Senato di Conte che, esponendo il
programma del suo primo governo il 5 giugno 2018, aveva manifestato dei dubbi
sul mantenimento delle sanzioni alla Russia, decretate a causa dell'annessione
della Crimea, il Segretario Generale della Nato Jens Stoltenberg è intervenuto
a gamba tesa, dichiarando che le sanzioni non potevano essere rimosse, cioè
intimando al governo italiano di non rimuoverle (come in effetti è avvenuto). In
realtà se i partiti italiani hanno cancellato il tema della guerra, questo non
significa che la guerra non eserciti una pesante influenza sulla campagna
elettorale italiana. L'effetto principale è stato il sacrificio del soldato
Letta. Il 22 agosto sono scaduti i termini per la presentazione delle liste ed
è divenuto definitivo il quadro delle formazioni politiche che si affronteranno
nella competizione elettorale. Dobbiamo constatare con amarezza che sono caduti
nel vuoto gli appelli rivolti da più parti per la costruzione di un'alleanza
antifascista nei collegi maggioritari per contrastare l'avvento di una destra
illiberale, nemica giurata della democrazia costituzionale. Ormai è sicuro che
nei collegi uninominali ci sarà un solo candidato su cui si concentreranno i
voti della destra, - mentre i voti di tutte le altre forze politiche saranno divisi
fra il candidato del Pd (con appendici di Più Europa e Sinistra italiana), il
candidato dei 5 Stelle, quello di Calenda-Renzi e quello di Unione Popolare. In
queste condizioni è altamente probabile che la destra faccia cappotto e conquisti
una maggioranza parlamentare che vada ben oltre il 50%, consentendole di
realizzare i suoi progetti più pericolosi per la democrazia. Quest'esito
largamente prevedibile non è frutto del fato cinico e baro, ma di una precisa
scelta politica del segretario del Pd, che ha rotto l'intesa stipulata in
precedenza con il Movimento 5 Stelle (il c.d. campo largo), accettando
stoicamente la (prevedibile) sconfitta. Diciamo la verità, una scelta così
apparentemente inspiegabile deve avere una ragione profonda e, da un certo
punto di vista, nobile. Quando c'è una guerra in corso si richiede alle truppe
più fedeli il massimo spirito di sacrificio. Il soldato Letta si è sacrificato
sull'altare della Nato, che certamente non avrebbe gradito la partecipazione al
governo italiano di una forza politica il cui leader ha avuto l'impudenza di
dichiarare che non obbedisce agli ordini di Washington. Peccato che questo
sacrificio non riguarda solo il Pd ma, consegnando il Paese nelle mani di
questa destra illiberale, a essere sacrificati sono i diritti fondamentali dei
cittadini italiani e il bene pubblico della democrazia costituzionale. La
guerra, sebbene scomparsa nella campagna elettorale delle principali forze
politiche italiane, tuttavia è piombata pesantemente nella campagna elettorale,
sconvolgendo gli equilibri fra le forze politiche e orientando i risultati
elettorali (sia che vinca la destra, sia che il Pd miracolosamente risalga la
china) verso la nascita di un governo di stretta fedeltà atlantica, che non
ponga nessun ostacolo al prolungamento della guerra in Ucraina, fin quando
vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole. Tuttavia, memori delle
tragedie del passato, testardamente noi continuiamo a pensare che dalla guerra
non si esce con la guerra e che la violenza bellica non può essere spenta con
una violenza soverchiante di segno opposto, che la sicurezza collettiva non si
costruisce con la corsa agli armamenti e con la rincorsa delle minacce. Per
questo chiediamo che sia rotto il patto del silenzio e che il tema della
costruzione della pace sia fatto rientrare nella scheda che depositeremo
nell’urna.
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