"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 15 settembre 2022

Notiziedalbelpaese. 87 Alessandro Orsini: «Viviamo in un tempo di falchi. La guerra apre gli occhi a chi la subisce e non a chi la guarda dal divano».

Elezioni&Guerra”. Ha scritto Marco Travaglio in “Ai confini della realtà” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 13 di settembre 2022: (…). Nei primi sei mesi e mezzo di guerra le truppe di Putin hanno occupato un quarto dell’Ucraina: un territorio vasto quanto metà dell’Italia. E se, per riconquistarne un fazzoletto, quelle di Zelensky hanno impiegato oltre mezzo anno, forse ha ragione l’intelligence Usa a ritenere lievemente prematuro vendere la pelle dell’orso prima di averlo cacciato. Come ha detto il generale Mini (…), è in queste fasi di stallo che la politica – ove mai esistesse – dovrebbe forzare la mano per un negoziato. Possibilmente prima che Putin, per uscire dall’impasse, valuti l’opzione nucleare tattica o solo l’uso massiccio dell’aeronautica (finora pressoché assente) per spianare le aree che non riesce a conquistare o tenere con le truppe di terra e i mezzi obsoleti impiegati fin qui. L’iniziativa potrebbe prenderla l’Italia, decidendosi a rispettare la nostra Costituzione, che diversamente da altre vieta l’invio di armi ai non alleati, e proponendosi come mediatrice. Invece i nostri “esperti”, che fino al 24 febbraio pensavano che il Donbass fosse un prete nano, già parlano di “disfatta russa”, “ritirata”, “crollo”, “rotta”, “Caporetto”, “fine di Putin” e altre fesserie, fomentando gli opposti estremismi di Kiev e Mosca (“Niente dialogo: guerra fino alla vittoria”). Rep annuncia in prima pagina: “Ucraini alle porte della Russia. La controffensiva raggiunge il confine”. La Stampa: “Ucraini al confine russo”. Il Messaggero: “Russi ingannati e in rotta: gli ucraini sono al confine”. E Libero: “Ucraini al confine con la Russia”. Non vorremmo deludere nessuno, ma gli ucraini sono al confine russo da quando esiste l’Ucraina, che confina da sempre con la Russia. E lo erano anche prima della controffensiva, perché le truppe russe non avevano mai occupato l’intero confine, ma solo la parte Sud (di cui ora han perso un pezzo). L’Italia ha ai confini Francia, Svizzera, Austria e Slovenia, però non si sognerebbe mai di sentirsi sconfitta per così poco: càpita a tutti gli Stati del mondo, isole escluse. (…). Non certamente nella campagna elettorale più brutta della Storia ci si sarebbe aspettato che sull’affare “Guerra di Ucraina” si alzassero alte e forti le voci dei contendenti per un confronto chiaro e senza infingimenti. Ché tutto sia in questa campagna elettorale di bassissimo livello lo conferma l’assordante silenzio su di una questione Guerra/Pace che avrebbe dovuto accendere gli animi stante il suo dirimente significato. Nulla di tutto ciò. Scrive nel merito Alessandro Orsini – sempre su “il Fatto Quotidiano” del 13 di settembre ultimo in “Gli italiani e la crisi in Ucraina. L’idea di guerra è molto simile al tifo da stadio” – che (…) l’atteggiamento prevalente in Italia verso la guerra in Ucraina è identico all’atteggiamento dei tifosi allo stadio. Del tifo calcistico presenta due caratteristiche fondamentali. La prima è l’idea che una guerra duri novanta minuti. La possibilità che la Russia, subita questa sconfitta, possa tornare alla carica con violenza inusitata, è assente tra i tifosi. Riflettere sulle contromosse del nemico non ha senso. Che la Russia possa impiegare seriamente l’aviazione, cosa che finora non ha fatto, o ricorrere alla mobilitazione generale o magari alle armi nucleari, non è contemplato. Ha senso soltanto esultare. La seconda caratteristica è l’idea che il mondo sia diviso in due sole fazioni: i tifosi della Russia e quelli dell’Ucraina. Basta che l’Ucraina avanzi a Kharkiv e i problemi sono risolti. La Prima guerra mondiale e la Seconda guerra mondiale dovrebbero avere insegnato agli italiani due cose. La prima è che la pace in Europa non è possibile in presenza di una grande potenza revanscista. La seconda è che “vittoria” non significa automaticamente “pace”. Infine, manca un metodo. Una valutazione corretta ed emotivamente distaccata di ciò che sta accadendo in Ucraina richiederebbe di condurre prima un’analisi separata delle operazioni militari su ognuno dei fronti di guerra e poi una sintesi. Kharkiv è soltanto uno dei tre fronti. Che cosa accade sugli altri due? Chi scrive non ha mai previsto che la Russia non avrebbe subito nemmeno una sconfitta o che avrebbe vinto in pochi giorni. Al contrario, ha sempre temuto la sirianizzazione della guerra. Una guerra esistenziale è fatta di vittorie e di rovesci. Il tipico andamento altalenante delle guerre, soprattutto nelle fasi iniziali, sfugge anche a Zelensky, il quale, anziché aprire subito una trattativa, si è profuso in commenti iper-radicali contro la Russia sprecando un’occasione. Nessuno può rimproverarlo troppo: i falchi da cui è consigliato – Draghi, Biden, Stoltenberg, Truss – lo inducono a tanto contro gli interessi del suo popolo, dell’Italia e dell’Europa tutta. Viviamo in un tempo di falchi. La guerra apre gli occhi a chi la subisce e non a chi la guarda dal divano. Il nostro augurio è che tanti italiani continuino a vagare senza vista. Di seguito, “Il patto del silenzio sulla guerra” di Domenico Gallo pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 28 di agosto ultimo scorso: (…). tutta questa levata di scudi contro l'ingerenza della Russia nelle elezioni italiane è una barriera di fumo destinata a occultare il vero problema: il patto del silenzio fra tutti i partiti sulla gestione della guerra e delle sue conseguenze. Più che dolerci dell'ingerenza russa nelle elezioni italiane, realizzata attraverso un tweet, forse dovremmo dolerci dell'ingerenza Usa sulla formazione dei governi e sulle scelte politiche conseguenti, fondata su elementi molto più robusti. Ingerenza che, a volte, si è manifestata in modo particolarmente violento, basti pensare alle minacce di morte che il Segretario di Stato americano dell'epoca rivolse ad Aldo Moro, il 25 settembre 1974, per farlo desistere dal suo progetto di aprire le porte del governo ai "comunisti". Ingerenza che non è mai cessata se, il giorno dopo il discorso al Senato di Conte che, esponendo il programma del suo primo governo il 5 giugno 2018, aveva manifestato dei dubbi sul mantenimento delle sanzioni alla Russia, decretate a causa dell'annessione della Crimea, il Segretario Generale della Nato Jens Stoltenberg è intervenuto a gamba tesa, dichiarando che le sanzioni non potevano essere rimosse, cioè intimando al governo italiano di non rimuoverle (come in effetti è avvenuto). In realtà se i partiti italiani hanno cancellato il tema della guerra, questo non significa che la guerra non eserciti una pesante influenza sulla campagna elettorale italiana. L'effetto principale è stato il sacrificio del soldato Letta. Il 22 agosto sono scaduti i termini per la presentazione delle liste ed è divenuto definitivo il quadro delle formazioni politiche che si affronteranno nella competizione elettorale. Dobbiamo constatare con amarezza che sono caduti nel vuoto gli appelli rivolti da più parti per la costruzione di un'alleanza antifascista nei collegi maggioritari per contrastare l'avvento di una destra illiberale, nemica giurata della democrazia costituzionale. Ormai è sicuro che nei collegi uninominali ci sarà un solo candidato su cui si concentreranno i voti della destra, - mentre i voti di tutte le altre forze politiche saranno divisi fra il candidato del Pd (con appendici di Più Europa e Sinistra italiana), il candidato dei 5 Stelle, quello di Calenda-Renzi e quello di Unione Popolare. In queste condizioni è altamente probabile che la destra faccia cappotto e conquisti una maggioranza parlamentare che vada ben oltre il 50%, consentendole di realizzare i suoi progetti più pericolosi per la democrazia. Quest'esito largamente prevedibile non è frutto del fato cinico e baro, ma di una precisa scelta politica del segretario del Pd, che ha rotto l'intesa stipulata in precedenza con il Movimento 5 Stelle (il c.d. campo largo), accettando stoicamente la (prevedibile) sconfitta. Diciamo la verità, una scelta così apparentemente inspiegabile deve avere una ragione profonda e, da un certo punto di vista, nobile. Quando c'è una guerra in corso si richiede alle truppe più fedeli il massimo spirito di sacrificio. Il soldato Letta si è sacrificato sull'altare della Nato, che certamente non avrebbe gradito la partecipazione al governo italiano di una forza politica il cui leader ha avuto l'impudenza di dichiarare che non obbedisce agli ordini di Washington. Peccato che questo sacrificio non riguarda solo il Pd ma, consegnando il Paese nelle mani di questa destra illiberale, a essere sacrificati sono i diritti fondamentali dei cittadini italiani e il bene pubblico della democrazia costituzionale. La guerra, sebbene scomparsa nella campagna elettorale delle principali forze politiche italiane, tuttavia è piombata pesantemente nella campagna elettorale, sconvolgendo gli equilibri fra le forze politiche e orientando i risultati elettorali (sia che vinca la destra, sia che il Pd miracolosamente risalga la china) verso la nascita di un governo di stretta fedeltà atlantica, che non ponga nessun ostacolo al prolungamento della guerra in Ucraina, fin quando vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole. Tuttavia, memori delle tragedie del passato, testardamente noi continuiamo a pensare che dalla guerra non si esce con la guerra e che la violenza bellica non può essere spenta con una violenza soverchiante di segno opposto, che la sicurezza collettiva non si costruisce con la corsa agli armamenti e con la rincorsa delle minacce. Per questo chiediamo che sia rotto il patto del silenzio e che il tema della costruzione della pace sia fatto rientrare nella scheda che depositeremo nell’urna.

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