"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 16 settembre 2022

Notiziedalbelpaese. 88 «Non c’è nulla di moralistico nella questione morale. Significa invece rispettare la Costituzione».

Elezioni&Corruzione”. Ha scritto Peter Gomez in “Questo voto svelerà quanto contano legalità e antimafia” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 17 di agosto 2022: Il 26 settembre sapremo quanto ancora contano in Italia parole come legalità, antimafia e anticorruzione.  Le posizioni della coalizione di destra sono note: Matteo Salvini vuole abolire lo scioglimento dei comuni per mafia; assieme a Forza Italia ha tentato di cancellare via referendum la custodia cautelare in caso di pericolo di reiterazione del reato e con Fratelli d'Italia propone il forzista Renato Schifani come presidente della Regione siciliana. Il fatto che Schifani sia attualmente imputato per violazione del segreto o che la sua indagine per concorso esterno in associazione mafiosa sia finita in archivio con motivazioni poco lusinghiere, non scompone la destra. Nessuno da quelle parti rilegge le parole di Paolo Borsellino, il magistrato trucidato da Cosa Nostra collocato da Giorgia Meloni nel pantheon di Fratelli d'Italia. Secondo Borsellino spetta alla politica selezionare ed escludere dalle istituzioni non solo chi viene condannato, ma anche chi ha avuto rapporti sospetti con gli uomini legati ai clan (nell'archiviazione di Schifani si legge, tra l'altro, "sono emerse talune relazioni con personaggi inseriti nell'ambiente mafioso o vicini a detto ambiente nel periodo in cui questi era attivamente impegnato nella sua attività di legale civilista". Che però "non assumono un livello probatorio minimo per sostenere un'accusa in giudizio"). Carlo Calenda e Matteo Renzi su giudici, reati e processi la pensano come la destra, tanto che il loro programma è stato scritto da Enrico Costa un tempo corifeo di Silvio Berlusconi. Il Pd invece non è pervenuto. Dopo aver appoggiato senza se e senza ma la riforma del processo penale voluta da Marta Cartabia, la questione legalità è finita nel dimenticatoio. Nessuno tra i Dem ha battuto ciglio quando la commissione Europea, nel suo rapporto annuale sullo stato del diritto nella Ue, ha preso a schiaffi le nuove norme che a detta di Bruxelles mettono in pericolo l'indipendenza della magistratura e che, senza "un attento monitoraggio", rischiano di mandare in fumo in appello i processi per corruzione. Tutti hanno poi taciuto quando tra i nomi dei candidati non è comparso quello dell'ex presidente del Senato, Piero Grasso, che più volte aveva messo in guardia da quella riforma. Grasso, è vero, non aveva chiesto di essere ripresentato, ma nessuno nel partito ha nemmeno pensato di domandarglielo. Ci sono infine gli alleati dei Dem di Più Europa, che sulla giustizia la vedono come Calenda e Berlusconi, e quelli di Sinistra Italiana e Verdi hanno come core business ambiente e giustizia sociale. Viene allora da chiedersi se il silenzio pressoché assoluto dei partiti sul tema legalità non possa finire per favorire il Movimento 5 stelle. I nomi dell'ex pro-curatore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho e dell'ex procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, candidati nel listino di Giuseppe Conte, marcano una grande differenza tra il Movimento e le altre forze politiche. È però tutto da valutare quale potrà essere l'interesse dei cittadini. È possibile che la rinnovata battaglia e il calibro dei personaggi messi in capo spinga tanti elettori pentastellati delusi a non rifugiarsi nell'astensione. Regola base di ogni campagna elettorale è del resto quella di rivolgersi a chi in passato ti ha già votato. Ma cosa faranno invece i potenziali elettori degli altri partiti? Per questo a settembre le urne non ci diranno solo chi governerà il paese. A seconda dei risultati e delle percentuali ci diranno anche quanto pesa ancora in Italia la questione morale. È tornato a scriverne, di “Elezioni&Corruzione”, Peter Gomez in “La questione morale non è moralismo” pubblicato sul mensile “Millennium” di settembre: No, il nostro degrado non lo raccontano la protervia di chi dice che per far funzionare la giustizia bisogna reintrodurre l'autorizzazione a procedere o i nomi degli oltre 60 candidati messi in lista dai partiti sebbene siano condannati, imputati, indagati o salvati dalla prescrizione. A descrivere il degrado ci pensano invece le bugie e il silenzio. A luglio, quando la Commissione europea ha diffuso i nuovi preoccupanti dati dell'Eurobarometro sulla percezione della corruzione in Italia, l'unica reazione è stata l'omertà. La ricerca dell'Unione europea (…) evidenziava come un terzo dei nostri concittadini reputasse accettabile fare regali, favori o dare denaro per ottenere servizi pubblici e come addirittura 1'89% ritenesse la corruzione molto diffusa. Nessuno però si è stupito. Anzi, di fatto, nessuno lo ha detto. La notizia è stata riportata qua e là solo in poche righe. I talk show non ne hanno parlato anche se, stando all'indagine, 1'87% degli elettori reputa corrotte le istituzioni politiche, tre quarti pensano che i potenti godano d'impunità e il 58% giudica inefficace l'impegno del governo contro le tangenti. Curioso, vero? L'Italia corre a perdifiato verso le elezioni. Tutti ripetono che gli oltre 200 miliardi di euro del Pnrr sono l'ultima spiaggia per salvare la nazione dal declino. I politici invadono da mattina a sera ogni programma televisivo, ma non accade mai che qualcuno chieda: scusi onorevole, visto che gli elettori (magari sbagliando) vi considerano sostanzialmente dei ladri, cosa intendete fare per garantire che i miliardi del Pnrr non verranno rubati? Conosciamo l'obiezione: questo è populismo, demagogia, giustizialismo! Eppure, se si ragiona a mente fredda, non è difficile rendersi conto che non c’è nulla di moralistico nella questione morale. Sollevarla, come fece per la prima volta nel lontano 1981 Enrico Berlinguer, non significa essere bacchettoni, fanatici o giustizialisti. Non vuol dire amare le manette o le punizioni. Significa invece rispettare la Costituzione, i cittadini e soprattutto la loro intelligenza. Perché chi viene eletto ha tra i suoi compiti quello di stabilire come debbano essere spesi i soldi dei contribuenti. È ovvio e giusto che ogni elettore pretenda che il proprio denaro venga impiegato bene e non razziato. Ecco allora perché tutti (tranne i ladri e gli incoscienti) dovrebbero augurarsi che prevalga quel principio di elementare prudenza che porta, nelle democrazie mature, a escludere ed emarginare chi ha amicizie discutibili, chi tiene comportamenti non trasparenti. Rappresentare gli elettori non è un semplice diritto: è un onore, ma anche un onere. Il garantismo deve sempre valere nelle aule di tribunale, dove l'imputato va condannato solo se è colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio. In politica invece deve prevalere il buon senso. Tra chi è specchiato e chi ha addosso una macchia, candido il primo, non il secondo. Dire, come spesso si fa di un amministratore pubblico, "però l'hanno votato", non ha senso. La scelta andava fatta prima, nei partiti, nelle sezioni, nelle segreterie. E lo ha ancor meno adesso, da quando è in vigore una legge elettorale liberticida che impedisce ai cittadini di scegliere i propri parlamentari e li obbliga a fare una croce esclusivamente sul simbolo di un partito. Spiegava quarant'anni fa Berlinguer: "La questione morale esiste da tempo, ma ormai è diventata la questione politica prima ed essenziale perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del Paese e la tenuta del regime democratico". Era vero quarant'anni fa ed è vero anche adesso. Purtroppo.

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