“Promemoriaelettorale”. Ha scritto Marco Travaglio in “Urbi et Orbán” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi, 20 di settembre 2022: (…). E lo dice (chi è quel tale? n.d.r.) da tempi non sospetti. “Per me Orbán ha sempre rappresentato la forza della giovinezza positiva: il peggio che potrebbe capitare all’Ungheria è di non approfittare della sua forza, energia ed entusiasmo…
I fatti e le cifre
dicono che il governo Orbán ha fatto bene e sarebbe assurdo interrompere questa
esperienza. La nostra è un’amicizia antica, l’ho conosciuto da presidente del
Milan. Abbiamo una straordinaria sintonia” (28.2.2002). “Orbán è un caro amico
e in Ungheria sta facendo benissimo” (1.3.18). (…): “FI non voterà per la tua
esclusione, sarebbe un grosso errore politico. Ti ho sempre difeso e sarò
sempre dalla tua parte. Ma ti chiedo di accettare alcune delle richieste del
Ppe” (8.3.19). “FI e io personalmente ci siamo spesi, anche grazie agli ottimi
rapporti con Orbán, per far sì che il Ppe si confermi il primo gruppo al
Parlamento europeo” (20.3.19). (…): “(…). La nostra missione di cambiare
l’Europa parte dal cambiamento delle alleanze del Ppe: non più con la sinistra
del Pse, ma coi conservatori, anche con Orbán e Salvini” (13.5.19). “Con Orbán
siamo amici intimi. Appare come una testa matta, ma è una persona
ragionevolissima. E con lui andavo a vedere le partite del Milan” (22.5.19).
“Sta facendo bene in Ungheria: a lui una lode assoluta. Fra il Ppe, stimolato
da me, e i sovranisti, stimolati da me, si potranno fare accordi su singole
leggi” (24.5.19). “Sono sicuro di convincere Orbán a restare nel Ppe e il Ppe a
riabbracciarlo” (28.5.19). “Spingerò il Ppe a un’alleanza non più col Pse, ma
con liberali, conservatori, verdi e qualche sovranista che sa ragionare sulle
cose: Orbán e Salvini” (16.7.19). “Spero che tutto si risolva e che il Ppe e
Orbán possano trovare le motivazioni giuste per continuare a stare insieme. Ho parlato
con Orbán e penso che lui non abbia una vera intenzione di uscire dalla più
grande famiglia della democrazia e delle libertà” (12.12.19). Invece Orbán uscì
dal Ppe, B. uscì di testa e i giornaloni uscirono dalla realtà. Di seguito,
“L'immaturità della politica” di Gustavo Zagrebelsky pubblicato sul quotidiano “la
Repubblica” del 15 di settembre ultimo: (…). …ora, attendendo il 25 settembre,
tratteniamo il respiro: non perché tutti gli esperti di umori elettorali
prevedono la vittoria di una parte che può piacere più, meno o nulla. Questi
sono giudizi politici. Ma perché si prospetta l’eventualità che una coalizione
elettorale, stimata intorno al 45 per cento dei votanti, in presenza di un
altro 45 per cento di astenuti - dunque una esigua minoranza del totale -
ottenga in parlamento un numero di seggi abnorme che le permetterebbe di fare
qualsiasi cosa, anche di cambiare da sola, volendo, la Costituzione. La legge
elettorale vigente (a differenza di quelle precedenti) non parla di “premi di
maggioranza”; tuttavia consente una tale distorsione della rappresentanza da
fare impallidire le leggi precedenti che li prevedevano. Questa legge non è
piovuta dal cielo ma è stata imposta addirittura con voti di fiducia, ed è
comprensibile che venga ora l’allarme da parte di chi l’ha ereditata per
evitare o limitare un disastro democratico (ma è meno comprensibile se proviene
da coloro che ne hanno determinato le premesse). Dicono: votate per noi se,
quel guaio che si prospetta a causa della legge che noi stessi abbiamo fatto,
volete evitarlo. Abbiamo stabilito che tanti seggi siano attribuiti ai
candidati che prevalgono anche solo per un voto in ciascun collegio e non
immaginavamo ciò che ora le previsioni mettono davanti agli occhi: che quasi
tutti, così, saranno appannaggio di candidati del raggruppamento avverso. Siamo
pifferi di montagna venuti per suonare e rischiamo d’essere suonati. Non basta.
La legge con la quale voteremo è conforme alla Costituzione? La Corte
costituzionale si è pronunciata più volte sulla genuinità e libertà
dell’esercizio del diritto di voto, caposaldo di democrazia. Ora, la legge che
abbiamo è un ibrido o meglio, un mostro, un ircocervo in parte capro e in parte
cervo. Mette insieme due logiche antitetiche. È maggioritaria per 1/3 e
proporzionale per 2/3. Sebbene dal 1993 con diversi dosaggi sia stato così, ciò
non impedisce di vedere che il mostro ha due teste che pensano l’una
all’opposto dell’altra. La testa maggioritaria dice agli elettori: a chi farete
prevalere sugli altri, anche per pochi voti, darò la vittoria e agli altri
toccherà la sconfitta. La testa proporzionale, invece, non promette vittorie,
né minaccia sconfitte, ma dice benevolmente: otterrete in seggi quanto avrete
ottenuto in voti, sia pure in miniatura. Sono due concezioni politiche che
hanno, ciascuna, una loro logica, ma sono logiche che si escludono, non si
sommano. Non si può volere vittoria e sconfitta e, al tempo stesso, né vittorie
né sconfitte ma “a ciascuno il suo”. Sono in gioco due alternativi
atteggiamenti psicologici degli eletti e, prima ancora, degli elettori. L’elettore
consapevole del meccanismo duplice che è chiamato a far funzionare si trova
facilmente nel dubbio: voto per “vincere” o voto per “rappresentare”? Questo
elettore resta poi sbalordito quando viene a sapere che, sebbene gli si chieda
di partecipare a due consultazioni, l’una per la quota maggioritaria e l’altra
per quella proporzionale, gli si dà in mano un solo voto che vale per l’una e
per l’altra parte. Un voto che vale due: se scegli una lista per la parte
proporzionale ciò vale automaticamente per il candidato per la parte
maggioritaria, e viceversa. In breve: i partiti manipolano il 50 per cento
della libertà del tuo voto e lo fanno per assicurarsi i posti per i candidati
che interessa a loro che siano eletti. La sacrosanta libertà elettorale è così
platealmente violata. L’elettore consapevole avverte d’essere strumentalizzato.
Tanto più, poi, in quanto nella quota proporzionale si presentano “liste
bloccate” e l’elettore non può fare scelte di preferenza tra i candidati. In
sostanza, crede di essere libero ma, in buona parte, è un prigioniero di scelte
altrui: se gli piace un certo candidato nella quota maggioritaria, il suo voto
trascina la lista nella quota proporzionale, anche se non gli piace affatto; se
gli piace la lista proporzionale, il suo voto trascina il candidato nella quota
maggioritaria, anche se ne farebbe volentieri a meno. In più, non può far
valere alcuna scelta sulla quota proporzionale perché i candidati sono
predisposti in un ordine ch’egli non può modificare. I partiti già non godono
di molto credito, ma possiamo pensare che un sistema elettorale come questo li
avvicini ai cittadini, come dovrebbe accadere in ogni occasione in cui li si
convoca al voto, e non invece li allontani? Le leggi elettorali non dovrebbero
essere fatte per i partiti e per i candidati, ma per i cittadini. In Italia, da
troppi anni non è così. Dovrebbero, più di tutte le altre, essere stabili e
semplici. Invece, quando ci si riesce, le si cambia in prossimità delle
elezioni e si guarda ai vantaggi che si spera di trarne nell’immediato.
Dovrebbero essere ispirate a un solo e chiaro principio fondamentale di
giustizia elettorale nel quale l’elettore possa capirci qualcosa. Le leggi
elettorali dovrebbero essere le più istituzionali tra tutte le leggi ordinarie,
ed invece sono tra le più occasionali. (…). Gli “statisti” dimostrerebbero
d’essere tali se non si facessero travolgere dagli argomenti di convenienza, e
i “costituzionalisti” dimostrerebbero d’essere tali se non si facessero
coinvolgere, con le loro competenze, nelle croci e nelle delizie di politici
che statisti non sono.
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