“Politica&Storia”. Si continua imprudentemente
ed impunemente a fare “magistero” della Storia, gravata come essa è dalla
enorme zavorra della “Memoria”, quale “Maestra” di vita e di luce che illumini
il cammino degli uomini. Quale distorsione della realtà! La Storia ha insegnato
ben poco agli umani se, ancor oggi, gli stessi sono dediti alle azioni atroci
che ne hanno segnato il burrascoso percorso. Una pagina straordinaria di “Memoria”
passata la dobbiamo all’indimenticabile Franco Cordero (Cuneo, 6 di agosto dell’anno
1928 – 8 di maggio dell’anno 2020). La “Memoria” che ripropongo di quel grande “Maestro”
ha per titolo “Lo scorpione suicida
nella tela del ragno” – pubblicata sul quotidiano “la Repubblica” - porta
la data di pubblicazione del 25 di aprile dell’anno 2013, data gloriosa assai
poiché quel “25 di aprile” dell’anno 1945 ha segnato la fine della dittatura ventennale
del “cavaliere nero”. Il “Maestro” ci ha lasciato una “Memoria” che, a distanza
oggi da quel 25 di aprile dell’anno 2013, ci disvela come nulla sia cambiato
nell’assetto politico-affaristico-istituzionale del bel paese; ci si ritrovano gli stessi personaggi che hanno segnato la “Storia” del bel paese più nel “Male”
che nel “Bene” e che si ripropongono oggigiorno come il “Nuovo” che avanza. Dove
si è rintanata la “Storia” maestra di vita se ancor oggi ci si ripropongono le
medesime “figure” da avanspettacolo? Che sia una “dannazione del solo bel
paese? Non posseggo certezze in materia. Ha scritto Marco Travaglio in
“Adesso confessano” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 29 di
agosto 2022: (…). Da B. a Monti, da Renzi a Salvini, da Draghi a Meloni. Eppure le
ricette sono sempre le stesse: le più fallimentari mai viste. A immunizzarci da
questa coazione a ripetere lo stesso suicidio di massa non basta neppure la
vista delle stesse facce di 20-30 anni fa, che promettono le stesse cose con
gli stessi slogan senza che nessuno si domandi perchè non le hanno mai fatte.
Nell’ennesimo remake del Giorno della marmotta, c’è una sola novità: se prima
lorsignori nascondevano le loro peggiori intenzioni, adesso le confessano
spudoratamente. L’ha fatto il ministro in pectore della Giustizia di FdI, l’ex
pm Carlo Nordio che, oltre alla solita sbobba criminal-criminogena (separazione
delle carriere, discrezionalità dell’azione penale, limiti alla custodia
cautelare, bavaglio ai cronisti giudiziari, ritorno alla prescrizione dei bei
tempi), promette bel bello di ripristinare l’immunità parlamentare: il sogno di
tutti i farabutti col colletto bianco, ansiosi di trincerarsi dietro lo scudo
politico per iniziare o continuare a delinquere indisturbati, oppure di
rifugiarsi nelle Camere una volta scoperti (come una volta nelle chiese e nei
conventi). Che altro serve all’opinione pubblica per capire che questa destra
non è pericolosa perchè fascista o putiniana, ma perchè profondamente,
intrinsecamente, geneticamente ladra, collusa e devota solo agli affari e
malaffari suoi? Certo, servirebbe che qualcuno -oltre ai soliti
“giustizialisti” 5Stelle- reagisse a questi annunci indecenti come
meriterebbero. E che l’informazione smettesse di depistare l’attenzione dai
veri problemi per inseguire i fantasmi di Mussolini o di Putin, spacciando
questa destra per qualcosa di nuovo e facendole il più grande dei favori:
perchè non c’è nulla di più vecchio, muffito e stantio di una coalizione che
nel 2022 schiera ancora B., Bossi, La Russa, Tremonti, Casellati, Gasparri,
Schifani, Fitto, Pera, Crosetto, Urso, Micciché, Santanché, Roccella, Lupi,
Binetti (più Gelmini e Carfagna in prestito d’uso al centro, e Casini, Lorenzin
e Bonino al Pd). Ma chi vuole può capirlo benissimo da solo. Ci ha lasciato
scritto Franco Cordero quale Suo “Magistero”: Tutto possiamo dire, meno che le
vie della politica italiana siano imprevedibili: è storia naturale, quindi
vigono serie causali fisse; animali umani evoluti, invece, reinventano il mondo
(appartiene a tale quadro l'etica). Politicanti spesso garruli ripetono trame
con cieco automatismo, come nella favola dello scorpione: la rana era
diffidente ma l'ha persuasa a portarlo sull'altra riva; non abbia paura; se la
pungesse, morrebbe anche lui annegando; e la punge; «perché, sciagurato?»; «è
la mia natura». La storia politica recente offre esempi. Diciassette anni fa il
centrosinistra forma un governo presieduto da Romano Prodi, ma l'ex comunista
M. D'A. ha l'Ego smanioso, quindi non tollera posti in seconda fila ed escogita
pro se ipso un podio alternativo, più importante, a due Camere, che rifondi lo
Stato, quasi la Carta fosse da buttare, il tutto in stretto dialogo con lo
sconfitto. Tale partnership lo riqualifica: era figura molto equivoca; emergono
sfondi delittuosi. Gli hanno garantito l'impero mediatico ed è notizia corrente
che sotto il centrosinistra le sue entrate crescano del 2500%. Lo credevano
innocuo, illusi d'approfittarne, non sapendo quanto sia furbo. Sulla questione
giustizia geniali riformatori esumano proposte marchiate P2. Dura 16 mesi la
commedia bicamerale (5 febbraio 1997 - 9 giugno 1998), finché sentendosi forte,
s'alza dal tavolo con tanti saluti. Quattro mesi dopo cade il governo e con i
pochi voti precariamente forniti dal funesto pasticheur Cossiga, il Bicamerista
s'insedia a Palazzo Chigi, restandovi fino al 17 aprile 2000. Re Lanterna era
de facto egemone. Nella XIV legislatura regola affari suoi, sconfitto d'una
minima misura dal solito Prodi, il cui governo ha vizi congeniti e dura poco.
Riportato al potere da una maggioranza straripante, riduce l'Italia in stato
agonico, costretto a dimettersi, e non lo vedremmo più in politica se le Camere
fossero sciolte, come la congiuntura richiedeva, invece sopravvive sotto la
tenda d'un governo cosiddetto tecnico, sfiorando il quarto en plein elettorale.
Tali i precedenti quando le Camere eleggono il presidente della Repubblica.
Pierluigi Bersani, liquidatore del partito, sottopone dei nomi al redivivo:
nell'elenco figurano il Bicamerista e un carissimo convertito, illo tempore
temibile persecutore in toga rossa; scelga. Temendo i franchi tiratori, lui
pesca il meno visibile sindacalista democristiano, uomo sicuro: paragonava
l'Italia 2013 alla Germania 1933, nella morsa degli estremismi; ed è candidatura
strumentale alla union sacrée. I vertici sono d' accordo ma il candidato
affonda al primo colpo, 18 aprile (in piena guerra fredda, 65 anni fa la Dc
sbaragliava un socialcomunista Fronte del popolo). L'indomani mattina coup de
théatre (Capranica): l'assemblea degli elettori, unanime, sosterrà Prodi dal
quarto turno, dove bastano 504 voti. Svanito l'accordo omertoso, i berluscones
piangono, ringhiano, tumultuano. Prodi incute paura. L'occasione cade dal
cielo: votandolo (era uno dei loro candidabili) le Cinque Stelle possono
entrare nella partita con peso determinante; Giolitti non esiterebbe, a
fortiori Cavour, ma i pentasiderei dipendono da un oracolo, la cui parola d'
ordine è «usque ad finem, Stefano Rodotà», candidatura prestigiosa con poche effettive
chance. Se vogliono stravincere, sbagliano: fallendo l'atout Prodi, lo
stralunato, discorde, confuso Pd cade nella rete berlusconiana; e se
l'obiettivo fosse mandarlo lì (guerra senza quartiere, finché non resti un solo
nemico in piedi), lo scenario sarebbe paranoico. Era finta unanimità: il
Bicamerista non perdona; e verso sera tiratori occulti colpiscono 101 volte su
496, inaudito exploit balistico. Re Lanterna canta al microfono. Così, la
puntura dello scorpione e stelle cieche gli consegnano l'Italia. Con 738 voti
(ne mancano solo 48) l'uscente Giorgio Napolitano rientra al Quirinale,
subentrando a se stesso: predicava «larghe intese» e veglierà affinché gli
operai non sgarrino; torniamo al re mandante del governo, come chiedeva Sydney
Sonnino, rovinoso uomo d' ordine ("Nuova Antologia", 1 gennaio 1897).
Le televisioni colgono atmosfere da banchetto funebre. Oracoli dell'opinione
moderata manifestano euforica partisanship, come se il Pdl fosse un Port Royal
dove solitari gentiluomini coltivano intelletto e anima. Non s'era mai visto un
suicidio così freddamente consumato. In 72 ore il Pd ha vissuto tre
"enantiodromie" (salti nell' opposto). Giornate simili richiedono
stomaco forte: esponenti Pd, orgogliosi d' esserci, nemmeno avessero salvato la
patria, declamano antifrasi, eufemismi, tartuferia; volano fumi d' incenso e
salmi, «magnificat anima mea Magnum Senem Neapolitanum». Enrico Letta sorride
sentendosi qualificare presidente del Consiglio in pectore: con parole e
occhiate gravi denuncia germi d' eversione (lo stesso allarme mugola B., famoso
pirata); vuol male al paese chi subodora accordi loschi. L'altro candidato
naturale è Giuliano Amato, puntuale Jack in the box nelle curatele fallimentari
governative. L'effettivo vincitore tripudia, avendo mille e uno motivi: solo a
Rutulia le mummie risorgono trionfalmente; a parte la smisurata ricchezza, era
un relitto, ormai preso sotto gamba anche dai cortigiani. Il Quirinale e
avversari inetti lo risuscitano. Quanti bocconi amari inghiottiranno i vessilliferi
d'una sedicente sinistra: l'Olonese immune e padrone anche nello Stato; honny
soit chi nomina i conflitti d' interesse; corruzione a man salva; pubblico
ministero governativo, macchina penale politicamente selettiva, ecc. Il governo
dura finché lui voglia, e irresistibile protagonista, comanda le urne avendo
sotto mano soldi, laboratorio mediatico, poteri statali. Gli viene utile un Pd
vassallo (figura ingloriosa ma comoda, porta ministeri, sottogoverno, prebende,
pensioni). Restano difficoltà insolubili, perché la sventura economica ha cause
organiche nel malaffare del quale è patrono: a lungo termine la catastrofe
appare inevitabile ma col trucco mediatico il nero diventa bianco, né Silvius
Magnus instaura tempi lunghi; l'età pesa anche sui caimani. Après lui, le
déluge. Al diavolo chi verrà.
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