Taglio delle Province. “Bisogna riordinare i livelli amministrativi e abolire definitivamente le province” (29 aprile). La faccenda è ancora in alto mare. A luglio il Consiglio dei ministri aveva approvato due ddl: uno – attualmente in discussione nell’aula della Camera – svuota le province dei loro poteri in attesa della loro abolizione, affidata ad un secondo ddl, stavolta di natura costituzionale. I tempi, per entrambi, sono biblici: il rischio è che il contenzioso vada di nuovo a favore delle province, che hanno già vinto alla Consulta contro il decreto Monti.
Aumento dell’Iva. “Rinunceremo all’aumento dell’Iva” (29 aprile). L’aliquota al 21 per cento è salita al 22 all’inizio di ottobre.
Imu. “Bisogna superare l’attuale sistema di tassazione sulla prima casa con un riforma complessiva”, il cui “obiettivo sarà la riduzione fiscale senza indebitamento”. Intanto, “ci sarà lo stop ai pagamenti nel 2013” (29 aprile). Effettivamente l’Imu verrà sostituita dall’Imposta unica comunale (Iuc): il gettito, però, potrebbe essere addirittura superiore di circa tre miliardi alla vecchia imposta. Anche sulla cancellazione dell’Imu 2013, peraltro, il governo s’è incartato: non solo c’è il rischio del pagamento di un conguaglio a gennaio (la cosiddetta mini-Imu), ma nel 2014 è assai probabile pure una stangata sulle accise (benzina, tabacchi) visto che le coperture individuate non stanno funzionando (condono per le slot machine, extragettito Iva).
Conti pubblici. “Parte una nuova fase: i sacrifici fatti al momento giusto e le scelte dei governi precedenti confermate da noi hanno consentito di uscire dalla procedura di deficit eccessivo e di avere un premio importante: maggiore flessibilità sul bilancio 2014 che ci consentirà di fare investimenti produttivi” (3 luglio). “Chiedo di essere giudicato alla fine del percorso: a dicembre 2014 avremo ridotto deficit e debito e ridotto le tasse” (10 novembre) In realtà la Commissione europea, con una lettera ufficiale del 15 novembre, s’è dichiarata insoddisfatta della gestione dei conti pubblici di Letta e ha contestato la mancata riduzione del rapporto debito/Pil (che infatti lo stesso governo prevede in crescita l’anno prossimo). Quanto alla deroga per gli investimenti, dai 15 miliardi sparati inizialmente si è passati a – forse – tre. Per ora, infine, nel 2014 anche la pressione fiscale è stimata – sempre dall’esecutivo – in leggera crescita.
Cuneo fiscale. “Abbatterlo è la nostra priorità” (ripetuto una volta a settimana). Alla fine l’intervento sul 2014 vale qualcosa più di duecento euro l’anno di sgravi in busta paga per i lavoratori dipendenti fino a 35mila euro di reddito, neanche venti euro al mese per una platea ristretta. Lo sconto è peraltro assai mitigato da una sforbiciata alle detrazioni fiscali per mezzo miliardo.
Esodati e precari. “Con la vicenda degli esodati la comunità nazionale ha tradito un patto: c’è bisogno di una soluzione strutturale” (29 aprile). “Abbiamo dato una soluzione definitiva al problema del precariato nella Pubblica amministrazione” (26 agosto). Sugli esodati, in realtà, Letta continua a procedere con successivi ampliamenti della platea e non strutturalmente: dopo i novemila “salvaguardati” in estate, è atteso un provvedimento per altri ventimila (si arriverebbe così a 160mila tutelati su una platea di 390mila soggetti). Quanto agli statali precari, la legge di Letta avvia la stabilizzazione per diecimila lavoratori mandandone a casa altri 190mila circa.
Di seguito, “La strategia di Letta per perdere le elezioni ed evitare problemi” di Peter Gomez pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 31 di agosto ultimo: Fino a qualche settimana fa, anch'io mi chiedevo come fosse possibile che Enrico Letta le avesse sbagliate tutte. L'idea che gli italiani avrebbero votato in massa Partito democratico solo perché i Dem avevano strenuamente difeso il governo di Mario Draghi mi appariva balzana. Come qualunque cittadino abituato a non condurre la propria esistenza solo negli angusti confini delle zone a traffico limitato delle nostre città, sapevo benissimo che l'emozione causata dalle dimissioni del premier, sarebbe durata (per chi l'aveva provata) quanto ogni altra emozione: pochi giorni al massimo. Anche perché una volta dichiarata la fine dell'esecutivo sarebbero arrivate le vacanze estive che, come noto, spingono chi se lo può permettere al riposo e al divertimento e non all'indignazione. Per questo mi appariva surreale che il Pd credesse davvero di poter vincere le elezioni correndo senza il M5S, ma con Carlo Calenda. Non solo per una questione meramente numerica. Ma perché non vedevo quale vantaggio, a parte quello di non dover raccogliere le firme per presentarsi, avrebbe potuto avere l'umorale Calenda alleandosi tramite +Europa con i Dem. Da qualche giorno, invece, ho cominciato a cambiare opinione. Davanti allo tsunami in arrivo e alle vaticinate chiusure di interi distretti industriali, a causa dei costi dell'energia, intuisco che vi è una logica nell'apparente follia di Letta: il Pd non perderà le elezioni e il governo a causa dei suoi errori strategici. Perderà invece perché Letta ha coscientemente e lucidamente deciso di perdere. Solo un folle, del resto, vorrebbe governare l'Italia per tutta la prossima legislatura. La guerra in Ucraina contro l'aggressore russo, causa principale della difficilissima situazione economica in cui stiamo entrando, "potrebbe durare anni" come ha ammesso la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock. Tanto che a Berlino si "presume che Kiev avrà bisogno di armi pesanti dai suoi amici anche la prossima estate". Da quelle parti un po' tutti nel governo parlano con franchezza del rischio che la carenza di gas possa innescare "rivolte popolari". E lo fanno ormai da mesi. Da noi, invece, si è sempre tenuto un atteggiamento opposto. Si è minimizzato, troncato, sopito e soprattutto insultato chi pur non essendo filoputiniano fin dal primo giorno aveva avvertito che mai nella storia le sanzioni nei confronti degli Stati erano servite per ottenere cambi di regime o di atteggiamento in politica estera. Letta da questo punto di vista è stato un campione. Subito dopo l'invasione, sulla scia del presidente americano Joe Biden, è stato tra i primi a chiedere che la Russia finisse sotto embargo. Tanto che su twitter scriveva: "Le sanzioni a Putin devono essere durissime. E tutti i Paesi europei devono imporle. La propaganda russa gioca a far credere che saremo danneggiati. È falso". La cronaca e non la propaganda ora dimostra che aveva torto. Come dicono in Germania, anche da noi il rischio di rivolte è alle porte. Solo che se saremo costretti a prendere in prestito altre decine di miliardi di euro per salvare i cittadini dalla fame ed evitare le sommosse sarà prima o poi anche inevitabile chiedere l'attivazione dello scudo antispread. Uno strumento che ha una caratteristica. Ti porta in casa una sorta di mini-troika: condizioni severe destinate a rendere qualunque esecutivo non impopolare, ma odiato. Per questo Letta non è un folle. Per la prima volta, negli ultimi dieci anni, stare mille miglia lontani da Palazzo Chigi al Pd conviene. Solo che lui non lo può dire. Ma voi, se gli volete bene, non votatelo. Gli farete un favore.
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