“
Cronachedelgiornodopo”. Ha scritto Enzo
Bianchi in
“Chiunque governi pensi ai
giovani”, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi, lunedì 26 di
settembre 2022:
“(…), siamo un paese che vuole vivere delle regole della democrazia e
occorrerà accogliere i risultati delle urne”. È questo l’auspicio di
Enzo Bianchi che non può essere lasciato cadere da nessuno, poiché
l’accoglienza del risultato elettorale è doveroso in tutte le vicende delle
democrazie, poiché in esse l’alternanza al governo deve essere considerato e
salutato come fatto normalissimo se non auspicabilissimo. Nell’occasione la
figura del possibile capo del governo ha spiazzato non poco una grossa fetta
della pubblica opinione, stante la storia politica della protagonista prima di
questa tornata elettorale e forse, in un paese maschilista senza saperlo, il
Suo essere “donna” ne limitava la credibilità e le possibilità di primeggiare.
Nello scritto di Enzo Bianchi traspaiono però i timori del “già visto”, della
“routine”, ovvero che si possa riproporre quella catastrofica, negativa “arte
della politica” che ha fatto sì che il 36% degli elettori abbia disertato, ieri,
25 di settembre, l’impegno democratico. Nel Suo scritto Enzo Bianchi traccia –
benevolmente - quasi un “programma” per il nuovo capo del governo quando scrive
che sarebbe prioritario, riferendosi alle moltitudini giovanili deluse che
abitano il bel paese,
“accorgersi di questa nuova generazione e
operare per essa, a cominciare dai percorsi educativi sempre meno capaci di
indicare il senso e il valore da dare al lavoro, lontani dalle vita civile che
sa indicare orizzonti condivisi per la polis, aiutando i giovani a sentirsi
pensati, riconosciuti e convocati dalla politica”. Ha scritto che
«per me il timore è che
non ci sia nessun reale cambiamento e si continuerà a “fare politica” senza
nutrirsi di visioni, di speranze, di cantieri aperti per giungere a orizzonti
condivisi. Continuerebbe la delusione in quei cittadini che si sentono lontani
dalla politica. Sarebbe urgente che per le nuove generazioni si aprisse la
possibilità di valorizzare le proprie potenzialità, l’occasione di essere
protagonisti, cercando di realizzare i propri desideri nella costruzione della
polis. La generazione degli attuali ventenni, spesso indicata come generazione
Z, è quella nata nel XXI secolo, è quella che ha conosciuto durante il percorso
così delicato dell’adolescenza l’esperienza della pandemia ed è quella che per
prima, dopo settant’anni, deve guardare con responsabilità ad una guerra che
non sta ai confini dell’Europa ma che si è rivelata una guerra tra la Russia e
l’Occidente degli Usa, della Nato, l’Occidente di cui facciamo parte! Una
guerra che è anche uno scontro di civiltà. Quella che Samuel P. Huntington
profetizzò come probabile tra Islam e cristianità si è rivelata concreta realtà
in uno confronto tra Est e Ovest, tra cristiani e per ragioni prima politiche e
poi miscelate con la religione. Lo attestano le inchieste sociologiche, ma per
me è esperienza diretta di ascolto e di scambio con i giovani, questa nuova
generazione che conosce disagio e fatiche per gli eventi che abbiamo evocato ma
anche per tutte le contraddizioni presenti nella nostra società complessa,
competitiva e individualista. C’è in loro molto senso di inadeguatezza,
sentimento di non farcela, difficoltà a vedere prospettive per il futuro perché
la generazione precedente non ha saputo trasmettere fiducia. Siamo noi adulti a
renderli passivi, a non dare loro in eredità strumenti contro il panico, i
disturbi del comportamento, la fuga dalla fatica e dal dolore. Siamo noi che non siamo stati presenti nella
loro crescita, eccoli o in fuga da noi non più capaci di essere presenti. Se
c’è una responsabilità urgente che dovranno assumersi i nuovi governanti è
accorgersi di questa nuova generazione e operare per essa, a cominciare dai
percorsi educativi sempre meno capaci di indicare il senso e il valore da dare
al lavoro, lontani dalla vita civile che sa indicare orizzonti condivisi per la
polis, aiutando i giovani a sentirsi pensati, riconosciuti e convocati dalla
politica. Lo affermo da vecchio: è urgente che la politica, prima di tutto il
resto, pensi alle nuove generazioni».
Enzo Bianchi ha delineato così un “programma di governo” da far tremare
i polsi. E sono convinto, anzi convintissimo, che sia stato l’arrivo di una
Donna al governo di questo scanzonato paese a spingerlo a mettere per iscritto
i Suoi convincimenti e le Sue speranze, fidandosi proprio della circostanza
elettorale inedita e forse insperata. Di seguito,
“È la vittoria della generazione Tolkien l’ex babysitter sarà premier”,
intervista di Carmelo Lopapa a Pietrangelo Buttafuoco – scrittore e giornalista
– pubblicata sempre sul quotidiano “la Repubblica” di oggi”:
"È
la generazione Tolkien che entra a Palazzo Chigi. È la rivincita di Coccia di
Morto su Capalbio. È la ex babysitter che ce l'ha fatta, alla faccia di tutte
le signorine della Roma bene. Giorgia trionfa non perché di destra o perché è
capo di una comunità politica, ma perché è diventata terminale di
un'aspettativa collettiva. Nei suoi confronti è maturata un'attesa da parte di
tutti gli italiani estranei ai sistemi di potere, che in lei in un certo senso
si sono immedesimati". (…).
Ci fa capire chi è realmente la donna che ha
vinto queste elezioni e che ha portato il suo partito dal 4 al 25 per cento?
"È una donna che ha una storia di sinistra".
Provoca? "Ma no. La sua è la storia di
una ragazza che ha vissuto fin dall'adolescenza l'esperienza del riscatto da
un'infanzia assai difficile. E quel riscatto è passato dalla politica della
militanza, dal basso. Con il grande svantaggio di stare dalla parte del torto.
Nella politica ha cercato un senso, facendola con entusiasmo, con la dialettica
e mai attraverso lo scontro con gli avversari. Nella Roma patria delle
signorine di buona famiglia, dei licei del centro, lei l'ha spuntata provenendo
dagli antipodi".
Questa storia dell'infanzia difficile, pur
vera, sa tanto di cliché della propaganda, di narrazione autobiografica.
"Invece è tutto vero. Giorgia cresce in una famiglia monogenitoriale,
salda un'alleanza di ferro con la madre e la sorella. Fa la babysitter a casa
Fiorello".
Non penserà che il vissuto difficile possa
motivare da solo il successo politico? "No. Ma l'errore di fondo che ha
commesso la sinistra, e una certa intellighenzia, è quello di averla
ridicolizzata: non potendola criminalizzare, come avvenuto con Berlusconi o
Salvini, hanno tentato di farne una caricatura. Più che un errore, si è
rivelato un suicidio politico: ha spinto un italiano su quattro a immedesimarsi
in questa donna che la sinistra e il suo mondo hanno spinto in un angolo. Più
lo hanno fatto, più i consensi di FdI sono cresciuti".
Cos'è che non si sa di lei invece? "Ad
esempio che studia tanto. È una secchiona. Che prepara ogni intervento, ogni
provvedimento da adottare, prima di qualsiasi decisione importante da prendere.
È una donna curiosissima. Ha una infinità di quaderni in cui annota tutto,
scrive scalette, traccia schemi. Infine conserva e archivia. Che poi è
un'antica regola del teatro. Non esiste l'improvvisazione. Il copione è sempre
ben collaudato".
A premiarla sarebbe stata la coerenza,
dicono. Con una certa tradizione di destra, verrebbe da dire. È così? "Io
molte delle sue scelte non le ho capite, in prima battuta. E gliel'ho anche
detto. Poi ho dovuto darle ragione".
Per esempio? "Quando le venne prospettato
da Draghi l'ingresso al governo di tutti, in molti, e anche io, le abbiamo
consigliato di accettare. Per chiudere così anche la storia del Novecento. Lei
era l'unica convinta del contrario, della necessità di restare fuori. Non ero
d'accordo. Aveva ragione lei. E il risultato di ieri è figlio anche di quella
scelta".
FdI però non è solo Giorgia Meloni. E il
partito non è solo conservatorismo europeo. C'è un pezzo della destra post
fascista che milita tra le sue fila e che non ha fatto i conti con la storia.
"Lei non è erede del Msi. L'abbandono della casa del "padre" era
avvenuto già a Fiuggi. Giorgia non viene dal Fronte ma da "Azione
giovani". (…). La sua è la generazione Tolkien, non l'Italia post o
neofascista che rispunta dalle "fogne"".
Sarà. Ma la Fiamma campeggia ancora.
"Quella Fiamma è la stessa che Dino Ferrari volle nella bara e nella quale
si è riconosciuto Paolo Borsellino, è la Fiamma di Walter Chiari. Riaccendere
oggi l'istinto fratricida non fa che spingerci nell'eterna guerra civile".
Meloni incarna però il prototipo della donna
forte al comando. "Crede in lei tutto quel mondo che è convinto che
l'illuminismo e il laicismo è fallito, che la democrazia moderna vive il suo
momento di crisi. Lei si afferma perché forte, certo, ma la sua autorevolezza
deriva dalla chiarezza".
È un'autorevolezza, come la chiama lei, che
in Europa già temono. "Giorgia è consapevole del fatto che potrà
ritrovarsi sola. Ma è altrettanto certa che la spunterà, come ha fatto da
ragazza dopo la sua infanzia difficile. L'unica cosa che conta è che una
giovane signora a capo della destra sia riuscita in quello che la sinistra non
ha mai saputo fare: farsi guidare da una donna".
Una banalissima, enorme verità, quest’ultima
affermazione dell’intervista, accolta e riconosciuta pur essendo stato sempre
sull’altra “sponda politica”. La novità per il bel paese è enorme, ispira
fiducia.
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