"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 24 settembre 2022

Notiziedalbelpaese. 95 “Cronachettelettorali”.

                               
            Copertina dell'Economist: “L’Europa deve preoccuparsi?”.

Cronachettelettorali”. Senza infingimento alcuno provo a scrivere brevissimamente delle mie esperienze al tempo di tutte le elezioni passate, per dire semplicemente che esse mi hanno sempre coinvolto emotivamente senza risparmio e con un atteggiamento di accettazione – questo sì – della “sponda concorrente”, e lo scrivo per spendere, oggigiorno, un riconoscimento a favore della leader di quella “sponda concorrente” - ma non avversa – con la quale nel tempo mi sono ritrovato sempre a “battagliare”. Quello stato emotivo sempre vissuto al tempo elettorale, dico, che non si è ripetuto anche in questa occasione, lo si deve di certo allo stato di disillusione e di scetticismo che mi accompagna da qualche tempo alla luce degli avvenimenti “partitici” che hanno desertificato quella tanto amata “sponda”. Ora però che il “bailamme” parolaio va spegnendosi è subentrato in me uno stato quasi di quiete che mi spinge a considerare, con umana benevolenza ed accettazione anche, quanto ha scritto Natalia Aspesi sulla leader dell’altra “sponda” in “La peggior nemica delle donne”, pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” di ieri, 23 di settembre 2022, con l’auspicio che si possa tutti riprendere quel clima di reciproca considerazione ed accettazione che garantisca, alla luce dei risultati elettorali pronosticati, il prosieguo della esperienza di piena vita democratica nel bel paese: Mentre scrivo (…) è il 15 settembre, il Venerdì esce il 23, due giorni prima che succeda, forse, dico forse, l’apocalisse. È per questo che io suggerirei alle sciocchine di fare Muzia Scevola prima di segnare con una crocetta quel nome sulla scheda elettorale, perché, e la vita avrebbe dovuto insegnarlo, non c’è peggior nemico per una donna di una donna. Però c’è un però, e lo dico odiandomi e per punizione rinunciando al mio unico cioccolatino serale: ma se Giorgia Meloni davvero dovesse imporsi sopra tutti, ci riuscirà proprio perché, prima che di destra, è donna, per tutte le ragioni che ogni tanto fanno emergere una donna: per la tigna invincibile, per la forza di uscire dalle periferie di vita, e studiare, con l’impegno a presentarsi preparata (dal suo punto di vista che mi fa rabbrividire); ricordandosi che le donne fanno più fatica a essere ascoltate, a superare quella barriera che le rende sempre secondarie, e quindi a non aspettare che le scelgano i maschi illudendole di avercela fatta. Meloni si è inventata da sola, senza padrini si è imposta da sola, non ha chiesto il permesso, non ha sedotto nessuno; ha solo approfittato di quella fragilità maschile per cui se ti comporti con l’autorità e il lieve fastidio della mamma o della maestra, nessun maschio ti fermerà. Come sta succedendo adesso tra Meloni e gli altri, unica donna tra uomini di partiti rivali, disorientati e spaventati, o di supporto come Salvini, ormai silenziato e relegato nei suoi limiti folk. E poi non dimentichiamo che viviamo di immagine: neppure un bell’uomo in vista, tutti con l’aria gonfia e stanca, e lei giovane e graziosa, sempre a posto e irrefrenabile, in caso di battibecco furba come il demonio. (…), io con dolore la vedo così. Di seguito, “Giorgia e Renzi corrono a piangere dalla maestra” di Daniela Ranieri pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 20 si settembre ultimo: (…). Meloni, interrotta in ben sei occasioni durante i suoi comizi da qualche decina di persone coi cartelli recanti scritte violente ed eversive come “Prontə ad approvare il Ddl Zan e a legalizzare la cannabis”, alza il telefono e ordina al ministro dell’Interno Lamorgese di impedire ai contestatori di andare alle sue manifestazioni. A quanto pare “non consente”, “non permette” che si protesti democraticamente alle sue adunate (poi s’offende se la chiamano la Ducia), perché, dice, potrebbe scapparci il morto, e questa è “strategia della tensione”, nientemeno. Ma è lei, allora, che aizza i suoi elettori a menare contestatori pacifici? Lamorgese aveva appena attaccato il telefono con un altro procuratore di allarme, Renzi, il quale s’era messo in testa che la frase di Conte “Renzi venga al Sud senza scorta a discutere di Reddito di cittadinanza” fosse un’incitazione a menarlo o ucciderlo, un messaggio “minatorio e persino politico mafioso”. Come tutti i sani di mente comprendono, il senso della frase era: “Renzi sul Reddito di cittadinanza la gioca talmente sporca che teme che la gente in condizioni di miseria gli meni; infatti questo miracolato, abituato a uscire dal retro degli edifici, al Sud viene scortato”. Comunque, a quanto pare i picciotti locali non hanno raccolto l’invito di Conte: al comizio di Renzi a Palermo, nel retro di un bar, c’erano quattro gatti e i candidati con le loro famiglie (cioè, non ci sono andati nemmeno i contestatori). I due, tra i più giovani dell’arco parlamentare, intestatari di partiti personali tenuti su dalla sola impalcatura propagandistica, fanno i duri, ma sono mollissimi. Lui è abituato all’adulazione dei media, che scambia per consenso popolare; lei, al provvisorio trionfo datole dall’essere stata all’opposizione del governo Draghi. Quando la realtà incrina lo specchio del loro narcisismo, piagnucolano, alzano i toni, evocano terrorismo e mafia. In effetti più che l’autoritarismo sembra che il loro tratto comune sia l’infantilismo. Quando non trionfano s’adontano, mettono il broncio. Lui, da presidente del Consiglio, a bordo di una Smart come Napoleone a cavallo, proclamava: “La mia scorta è la gente!”. Ben presto, dopo le europee vinte promettendo 80 euro in busta paga al ceto medio (a proposito del “voto di scambio” che imputa a Conte col Rdc), s’accorse che dovunque andava era costretto a scappare, e il tour in treno dovette farlo oscurando le soste perché la gente lo aspettava alle stazioni per dargli del buffone. La sua scorta, come racconta Ferruccio De Bortoli nel suo libro Poteri forti (o quasi), non solo non era “la gente”, ma si mise pure a minacciare i giornalisti. Adesso pure lui “non consente”, “non può accettare”. Lui, maestro dei colpi bassi, delle ripicche infantili, delle allusioni gravissime in campagna elettorale, finge di credere che Conti aizzi i contestatori ad attentare alla sua sicurezza. I due bambocci istituzionali fanno i capricci, chiamano la maestra.

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