Copertina dell'Economist: “L’Europa deve preoccuparsi?”.
“Cronachettelettorali”. Senza infingimento
alcuno provo a scrivere brevissimamente delle mie esperienze al tempo di tutte le
elezioni passate, per dire semplicemente che esse mi hanno sempre coinvolto emotivamente
senza risparmio e con un atteggiamento di accettazione – questo sì – della “sponda
concorrente”, e lo scrivo per spendere, oggigiorno, un riconoscimento a favore della
leader di quella “sponda concorrente” - ma non avversa – con la quale nel tempo
mi sono ritrovato sempre a “battagliare”. Quello stato emotivo sempre vissuto
al tempo elettorale, dico, che non si è ripetuto anche in questa occasione, lo
si deve di certo allo stato di disillusione e di scetticismo che mi accompagna da
qualche tempo alla luce degli avvenimenti “partitici” che hanno desertificato quella
tanto amata “sponda”. Ora però che il “bailamme” parolaio va spegnendosi è
subentrato in me uno stato quasi di quiete che mi spinge a considerare, con umana
benevolenza ed accettazione anche, quanto ha scritto Natalia Aspesi sulla leader
dell’altra “sponda” in “La peggior
nemica delle donne”, pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica”
di ieri, 23 di settembre 2022, con l’auspicio che si possa tutti riprendere quel
clima di reciproca considerazione ed accettazione che garantisca, alla luce dei
risultati elettorali pronosticati, il prosieguo della esperienza di piena vita democratica
nel bel paese: Mentre scrivo (…) è il 15 settembre, il Venerdì esce il 23, due giorni
prima che succeda, forse, dico forse, l’apocalisse. È per questo che io
suggerirei alle sciocchine di fare Muzia Scevola prima di segnare con una
crocetta quel nome sulla scheda elettorale, perché, e la vita avrebbe dovuto
insegnarlo, non c’è peggior nemico per una donna di una donna. Però c’è un
però, e lo dico odiandomi e per punizione rinunciando al mio unico cioccolatino
serale: ma se Giorgia Meloni davvero dovesse imporsi sopra tutti, ci riuscirà
proprio perché, prima che di destra, è donna, per tutte le ragioni che ogni
tanto fanno emergere una donna: per la tigna invincibile, per la forza di
uscire dalle periferie di vita, e studiare, con l’impegno a presentarsi
preparata (dal suo punto di vista che mi fa rabbrividire); ricordandosi che le
donne fanno più fatica a essere ascoltate, a superare quella barriera che le
rende sempre secondarie, e quindi a non aspettare che le scelgano i maschi
illudendole di avercela fatta. Meloni si è inventata da sola, senza padrini si
è imposta da sola, non ha chiesto il permesso, non ha sedotto nessuno; ha solo
approfittato di quella fragilità maschile per cui se ti comporti con l’autorità
e il lieve fastidio della mamma o della maestra, nessun maschio ti fermerà.
Come sta succedendo adesso tra Meloni e gli altri, unica donna tra uomini di
partiti rivali, disorientati e spaventati, o di supporto come Salvini, ormai
silenziato e relegato nei suoi limiti folk. E poi non dimentichiamo che viviamo
di immagine: neppure un bell’uomo in vista, tutti con l’aria gonfia e stanca, e
lei giovane e graziosa, sempre a posto e irrefrenabile, in caso di battibecco
furba come il demonio. (…), io con dolore la vedo così. Di seguito, “Giorgia e Renzi corrono a piangere dalla
maestra” di Daniela Ranieri pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 20 si
settembre ultimo: (…). Meloni, interrotta in ben sei occasioni durante i suoi comizi da
qualche decina di persone coi cartelli recanti scritte violente ed eversive
come “Prontə ad approvare il Ddl Zan e a legalizzare la cannabis”, alza il
telefono e ordina al ministro dell’Interno Lamorgese di impedire ai
contestatori di andare alle sue manifestazioni. A quanto pare “non consente”,
“non permette” che si protesti democraticamente alle sue adunate (poi s’offende
se la chiamano la Ducia), perché, dice, potrebbe scapparci il morto, e questa è
“strategia della tensione”, nientemeno. Ma è lei, allora, che aizza i suoi
elettori a menare contestatori pacifici? Lamorgese aveva appena attaccato il
telefono con un altro procuratore di allarme, Renzi, il quale s’era messo in
testa che la frase di Conte “Renzi venga al Sud senza scorta a discutere di
Reddito di cittadinanza” fosse un’incitazione a menarlo o ucciderlo, un
messaggio “minatorio e persino politico mafioso”. Come tutti i sani di mente
comprendono, il senso della frase era: “Renzi sul Reddito di cittadinanza la
gioca talmente sporca che teme che la gente in condizioni di miseria gli meni;
infatti questo miracolato, abituato a uscire dal retro degli edifici, al Sud
viene scortato”. Comunque, a quanto pare i picciotti locali non hanno raccolto
l’invito di Conte: al comizio di Renzi a Palermo, nel retro di un bar, c’erano
quattro gatti e i candidati con le loro famiglie (cioè, non ci sono andati
nemmeno i contestatori). I due, tra i più giovani dell’arco parlamentare,
intestatari di partiti personali tenuti su dalla sola impalcatura
propagandistica, fanno i duri, ma sono mollissimi. Lui è abituato
all’adulazione dei media, che scambia per consenso popolare; lei, al
provvisorio trionfo datole dall’essere stata all’opposizione del governo
Draghi. Quando la realtà incrina lo specchio del loro narcisismo, piagnucolano,
alzano i toni, evocano terrorismo e mafia. In effetti più che l’autoritarismo
sembra che il loro tratto comune sia l’infantilismo. Quando non trionfano
s’adontano, mettono il broncio. Lui, da presidente del Consiglio, a bordo di
una Smart come Napoleone a cavallo, proclamava: “La mia scorta è la gente!”.
Ben presto, dopo le europee vinte promettendo 80 euro in busta paga al ceto
medio (a proposito del “voto di scambio” che imputa a Conte col Rdc), s’accorse
che dovunque andava era costretto a scappare, e il tour in treno dovette farlo
oscurando le soste perché la gente lo aspettava alle stazioni per dargli del
buffone. La sua scorta, come racconta Ferruccio De Bortoli nel suo libro Poteri
forti (o quasi), non solo non era “la gente”, ma si mise pure a minacciare i
giornalisti. Adesso pure lui “non consente”, “non può accettare”. Lui, maestro
dei colpi bassi, delle ripicche infantili, delle allusioni gravissime in
campagna elettorale, finge di credere che Conti aizzi i contestatori ad
attentare alla sua sicurezza. I due bambocci istituzionali fanno i capricci,
chiamano la maestra.
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