A lato. 1953: manifesto della "Democrazia Cristiana".
“Elezioni&Memorie”. Ha scritto Tomaso
Montanari – Storico dell’arte e Rettore dell’Università per stranieri di Siena – in “Che cosa brucia dietro quella fiamma”
pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 9 di settembre 2022: Una
delle ragioni per cui la storia dell'arte dovrebbe essere insegnata fin da
bambini, in tutte le scuole, è che la sua conoscenza aiuta a leggere le
immagini, il loro significato, la loro storia, i loro messaggi più o meno
nascosti. E questo è vero non solo per le immagini artistiche, ma anche per
quelle usate dalla pubblicità, o dalla politica. È il caso della fiamma
tricolore che campeggia al centro del simbolo del partito che minaccia di
vincere le prossime elezioni politiche, Fratelli d'Italia. Secondo una
tradizione mai smentita, quell'immagine venne creata direttamente da Giorgio
Almirante, il capo carismatico del Movimento sociale italiano, il partito che
raccolse l'eredità del fascismo e della Repubblica sociale italiana. Alfredo
Cucco, ex gerarca fascista e poi sotto-segretario della Rsi, racconta che una
sera «del dicembre 1946 mi venne a trovare ... Mimì Pellegrini Giampietro, ex
ministro delle Finanze della Rsi... a informarmi circa la sigla che avrebbe assunto
il Movimento da tutti noi superstiti auspicato... Vedi, mi disse, la M è
l'iniziale per noi più chiara e significativa, non esprime solo Movimento, ma
lo consacra con l'iniziale mussoliniana. Vi sono poi le due lettere
qualificative della Rsi: S e I e questo dice molto». Nello stemma, quella sigla
così densa di significati campeggia su un trapezio: la bara di Mussolini, dalla
quale arde appunto la fiamma inestinguibile del fascismo. Ancora molti decenni
più tardi, la visione politica del Movimento sociale rimaneva quella: «nel XIII
congresso (Roma, febbraio 1982), Almirante presentò il progetto di una nuova
Costituzione: prevedeva una repubblica presidenziale, con l'elezione diretta
del capo dello Stato, dei presidenti delle regioni, delle province e dei
comuni, un Parlamento monocamerale eletto per metà dal popolo e per metà dalle
categorie; inoltre si prevedeva il ripristino della pena di morte e il servizio
militare volontario» (così il Dizionario biografico degli italiani). La fiamma
oggi è sempre lì: e ci sono ancora presidenzialismo, corporativismo,
militarismo. E questo manifesto, affisso dalla Democrazia Cristiana nel 1953,
svela perfettamente qual è la cultura politica che la fiamma rappresenta: olio
di ricino e manganelli. Anche il motto è significativo: allora la Dc definiva
il neofascismo un fuoco di paglia, perché riteneva che il vero nemico, il fuoco
pericoloso, fosse il comunismo. Ancora oggi gli eredi di quella tradizione sono
molto più preoccupati da una qualunque sinistra sociale che non da un
"ritorno di fiamma". Rischiamo di pagare carissimo. Di seguito,
“I nuovi territori di Meloni” di
Furio Colombo, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 7 di settembre
ultimo: Il caso Meloni è unico. Lo dimostra la sua reazione a un giovane
contestatore che è balzato sul palco di un suo comizio ostentando la bandiera
Lgbt per dire "voglio potermi sposare e poter adottare". "Tu
vuoi delle cose e io voglio il diritto di pensarla in maniera diversa", ha
risposto Meloni. Ma mentre il disturbatore viene allontanato Meloni invita la
platea all'applauso. "Rispetto chi ha il coraggio di difendere ciò in cui
crede. Io lo faccio da una vita". Nella stessa giornata, Meloni, che
mostra sempre di possedere una giusta dose di
aggressività volgare, aveva detto: "Nella morra cinese della sinistra un
clandestino batte una donna violentata". Poi ci sono stati i giorni
dello Forum Ambrosetti, in cui abbiamo visto Meloni in classe, decisa a farsi
trovare non dalla parte giusta in nome di qualche valore, ma dalla parte che
vince. È la decisione della prima della classe, che non discute la materia,
persegue la classifica. A differenza di altri candidati che si incontrano, si
scontrano, si separano o si riconoscono strada facendo, Meloni rimane legata
alla missione che si era data fin dall'inizio, essere la prima. Non bisogna
dimenticare che queste elezioni sono state predisposte come una imboscata a
Draghi per rimuoverlo dal governo (…). Meloni ha capito che non le conveniva
essere fra i traditori, e si era messa all'opposizione subito. E ci è restata
con l'intenzione di tenersi a distanza da Salvini, da Berlusconi e dalle
schegge ex sinistra a cui è impossibile dare un senso. A questo punto i fatti
giocano a suo favore. Ogni mossa, di ogni candidato, smuove persone e
persuasioni in un modo e nell'altro. Meloni sposta territori. Non si tratta di
cambiare idea, ma di traslocare. Il fenomeno non si deve al fatto che Meloni ha
inventato un nuovo territorio, ma ha creato un'impressione forte di fatti nuovi
dove lei va a insediarsi. Per esempio, è lei, Giorgia Meloni, a offrire
presenze (se non alleanze) con chi veniva creduto avversario. O, dal punto di
vista di chi aveva militato con lei fin qui, dovrebbe rivelarsi un infido. Non
ha cambiato bandiera. Ha spostato il suo territorio offrendo ai suoi seguaci
un'impressione orgogliosa di coerenza, e una nuova vita, con banche e finanza. In
altre parole, si è acquartierata in un posto che prima non c'era. Meloni non
era e non è una sostenitrice di Draghi. Non era e non è in una posizione che
potrebbe accostarla ai due partiti non piccoli ma isolati, Pd e 5Stelle. I suoi
alleati, benché dichiarati da cine-abbracci alla Jules and Jim, sono tiepidi
marciatori di retroguardia che non hanno alcun progetto (o ideale) da
dichiarare ma possono aggiungere numeri alla stagione felice di FdI. Meloni non
ha niente da chiedere e non deve rivedere i suoi piani. Avrete notato che, da
brava prima della classe, si fa carico anche delle materie facoltative. Per
esempio sa benissimo che, in questo momento e in questo Paese, nessuno le
chiederebbe conto di un suo silenzio sulla invasione ucraina e in tanti pensano
che sia un bene per l'Italia non fare sgarbi a Putin. Ma, da intelligente
secchiona, non corre rischi e, data la spaccatura del mondo, intende stare
dalla parte che dà più affidamento. Non è opportunismo, è intelligenza
politica, che è il suo forte. Nell'accampamento Meloni sono ragionevolmente
ottimisti. Ma nessuno vuole cambiare e acquisire più dote, più trovate, più
espedienti per vincere. Abbiamo il leader, ti dicono. Qui comincia un regime.
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