Tratto da “La nuova politica è l’istituzione” di Giuseppe Genna, pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 6 di febbraio 2022: (…). Sulla gestione dell’attuale fase mondiale la politica appare confusa e inanella record di pubblica sfiducia. C’è da domandarsi però se la politica sia in grado di comprendere, ben prima che gestire, l’esistente, cioè l’intero pianeta nella rivoluzione sanitaria economica e sociale imposta dal virus. La politica sembra avere perduto l’anima delle cose, oltre le cose: se non parte da una prospettiva generale sul mondo, incontra il proprio disastro, il balbettio, il sospetto del magheggio costante e reiterato, la stanchezza del popolo considerato una massa di imbecilli. È una disdetta o una liberazione? L’amministrazione della sopravvivenza (che non coincide affatto con il governo dei tecnici) risulta più alta ed efficace di una strategia politica che non comunichi la sensazione che il futuro è il luogo delle possibilità. «La storia sarebbe estremamente deludente e scoraggiante, se non fosse riscattata dall’annuncio, sempre presente, della salvezza e dalla speranza», scriveva nel ‘77 Aldo Moro, uno degli interpreti italiani più acuti in fatto di politica profetica. Se la politica dismette la capacità di elaborare la profezia, con la speranza che ne consegue, è necessario un dispositivo diverso per interpretare i segnali della rivoluzione che è in atto ovunque. Questo dispositivo è l’istituzione. “Grande riposizionamento geopolitico”: il report 2022 di ControlRisks, società di consulenza globale, definisce così il fatto che «il mondo ha iniziato a ruotare in altro modo e un nuovo ordine mondiale si impone». Questo nuovo ordine verifica il collasso di ogni cosa nel suo contrario: democrazia efficace nell’avvitarsi della politica, debito che non è più debito, tecnologia che intossica l’ambiente per tentare poi di salvarlo, connessioni che incrementano la solitudine, competizione che preme per la cooperazione, lavoro senza reddito e reddito senza lavoro. Tutto ciò è l’aria del mondo: nelle nazioni, nei continenti, nel mondo. Nel pianeta. Questa ibridazione nazionale, europea e mondiale corrisponde a una rivelazione della natura dell’istituzione. Il discorso di accettazione di Sergio Mattarella (un minuto e 15 secondi) è esemplare in questo senso: l’istituzione non usa l’ingombrante pronome «io». Era già accaduto a Capodanno. Il Presidente uscente, che si sarebbe rivelato il Presidente entrante, aveva esplicitamente detto che l’istituzione è il luogo in cui l’uomo deve compiere un salto e spogliarsi di ogni appartenenza.
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