"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 10 febbraio 2022

Lamemoriadeigiornipassati. 29 «Nelle società complesse ad alto livello tecnologico, è ancora possibile la democrazia come espressione della volontà popolare?».

Ha scritto Silvia Truzzi in “Viva la democrazia, abbasso l’aristocrazia (“whatever it takes”)” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 10 di febbraio dell’anno 2021: Ricordate la scena dei parlamentari sculacciati da Giorgio Napolitano come scolaretti (“sordi”, “inconcludenti”, “irresponsabili”) eppure felici e plaudenti davanti alla ramanzina presidenziale? Era il 23 aprile 2013, giorno dell’irrituale (e incomprensibile) insediamento bis di Giorgio Napolitano (una analogia con l’ascesa al Colle nell’anno 2022 del nuovo presidente-bis n.d.r.), chiamato a salvare la patria dalle forze politiche incappate nel cortocircuito dell’elezione quirinalizia (stessa situazione di allora, ripetutasi nell’anno 2022, ben nove anni dopo n.d.r.). Quel momento, uno dei più tristi della nostra recente storia, ci è tornato in mente in questa ultima settimana di crisi di governo, a causa delle parole di un altro presidente della Repubblica. Sergio Mattarella ha chiesto ai partiti di sostenere il tentativo di Mario Draghi di formare un nuovo esecutivo: “Avverto il dovere di rivolgere un appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento perché conferiscano la fiducia a un governo di alto profilo che non debba identificarsi con alcuna formula politica”. L’ora è grave. Non per Mario Draghi in sé, ma per la nostra democrazia, mai così maltrattata. Le parole di Mattarella (che come quelle del suo predecessore possono, e anzi devono, essere oggetto di analisi critica anche se non sembra più possibile farlo) suggeriscono che “l’alto profilo” sia in contrapposizione con la “formula politica”. La qual cosa si traduce in una delegittimazione, non priva di pericoli, della democrazia rappresentativa. Senza dire che l’idea di un governo tecnico, inteso come neutrale, è una pia illusione. Ogni scelta è politica (lo è stata, eccome, anche quella del whatever it takes) e nessun governo può prevedere quale realtà dovrà affrontare. Per fare un esempio, una pandemia di queste proporzioni non era in alcun modo preventivabile. Dunque i governi decidono e incidono sulla realtà sociale, per come si manifesta in quel momento. Un’altra idea tossica è quella della tecnica neutra (…): una bugia divenuta incontrovertibile verità. Le forze politiche di forte non hanno più nulla, visto il sollievo con cui hanno accolto un “governo senza colore” (nell’Italia dei colori pandemici!). Non dimentichiamo che gli esecutivi svincolati dal consenso popolare hanno lasciato segni poco popolari e per nulla neutri. L’implicita contrapposizione tra competenza e politica ha già fatto danni incalcolabili: il dibattito pubblico è ostaggio di un revanscismo livoroso e pericoloso verso i rappresentanti del popolo (dunque, del popolo) che si specchia nell’estasi con cui ci riferisce ai nuovi salvatori della patria. Come se il popolo non fossimo noi tutti, destinatari di una serie di diritti e doveri politici, protagonisti dell’autodeterminazione che si esprime con il voto. Il popolo viene citato solo nell’accezione dispregiativa (il “populismo” dei talk show). Arrivano “i migliori”: ma migliori di chi? Del popolo e dei populisti, di elettori ed eletti. Siamo sicuri che sia un bene far passare l’idea che ci può salvare solo un’aristocrazia affrancata dal popolo? Mentre i leader dei partiti si affannano a invocare il governo dei migliori sembra non si rendano conto che l’altro termine della comparazione sono loro: i peggiori. Abbiamo dovuto leggere che gli ottimati sono una reazione “all’uno vale uno”. È vero, la democrazia è esattamente questo: una testa un voto, non ci sono voti che valgono di più. La nostra Costituzione è tutta fondata sul principio di uguaglianza che ora si rinnega senza imbarazzi. Perché “non c’è alternativa”, perché “sennò vince Salvini”. Non è vero: un’alternativa c’è sempre. Magari non è la “migliore”, ma è di tutti, anche di quelli che sono peggiori e di quelli che si sentono, inspiegabilmente, migliori (per lo più scrivono sui giornali). La democrazia ha bisogno di tutti, e va difesa whatever it takes. Di seguito, “È possibile la democrazia in una società complessa?” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 25 di settembre dell’anno 2021: Al (…) pessimismo circa le sorti della democrazia aggiungo il mio che vede la nostra società che, anche se sembra "democratica" rispetto ai sovranismi (…) denunciati, in realtà è regolata dal mercato e dalla tecnica. Il mercato non ci percepisce come persone, ma unicamente come produttori e consumatori, per effetto di quel circolo vizioso per cui se non si consuma non si produce, e se non si produce si crea quella massa di disoccupazione che costituisce un pericolo sociale. E allora obblighiamo tutti a un consumo forzato dove "la fine" dei prodotti è anche "il loro fine" per evitare che il circolo vizioso si interrompa. Anche la tecnica non ci percepisce come persone, ma solo come funzionari di apparati che devono eseguire le azioni descritte e prescritte dagli apparati per conseguire il massimo degli scopi con l'impiego minimo dei mezzi. La politica non è più il luogo della decisione perché per decidere guarda l'economia, e l'economia per scegliere i suoi investimenti guarda le novità tecnologiche. A questo punto la decisione passa dalla politica alla tecnica, che non produce solo effetti tecnici, ma invade tutti i campi del nostro modo di vivere. (…). …non siamo liberi di avere o non avere un computer o un telefonino, perché se la comunicazione e la socializzazione passa attraverso questi strumenti, non averli equivale a un'esclusione sociale. Ma sia il mercato, che con i suoi meccanismi sofisticati è sostanzialmente incomprensibile alla gran massa, visto che sfugge persino agli economisti spesso disorientati nelle loro previsioni, sia la tecnica, che decide in anticipo sulle possibili decisioni politiche, non favoriscono il processo democratico perché, stante l'alto livello di specializzazione raggiunto dalla tecnica, chi fa da interprete tra il sistema delle competenze tecniche che condizionano la politica e il vasto pubblico? Nessuno. A questo punto, il processo di formazione della volontà democratica si risolve nell'acclamazione di élites, che restano sì legittimate dal voto popolare, senza però che la volontà popolare possa prendere posizione sulle decisioni politiche, perché queste, nello scenario predisposto dalla tecnica, restano "per incompetenza" sottratte alla discussione pubblica. La domanda che a questo punto si pone è: nelle società complesse ad alto livello tecnologico, è ancora possibile la democrazia come espressione della volontà popolare? Probabilmente sì, ma solo in presenza di un'opinione pubblica competente, e quindi in grado di giudicare le decisioni che la politica assume su indicazione tecnica. Ma se questo non è possibile comprendiamo il successo del populismo che semplifica le questioni incomprensibili al grande pubblico con slogan semplici, efficaci e ad alto impatto emotivo, la cui verità sfugge alla verifica della gente comune. Nel primo Novecento la deriva populista ha generato fascismo, comunismo e nazismo. Oggi a generare la deriva populista non è l'ubriacatura ideologica, ma la fredda tecnicizzazione della politica, per cui mentre il primo populismo si riconosceva in un potere forte e totalitario, oggi l'attacco populista alla democrazia viene condotto sfruttando l'incompetenza del grande pubblico che, non sapendo come sottrarsi a una complessità sempre crescente, si affida a chi dà l'impressione di poterla semplificare. Per quanto radicalmente differenti siano le due derive populiste, il risultato è identico: la spoliticizzazione della società e il discredito della democrazia.

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