Ha scritto Silvia Truzzi in “Viva la democrazia, abbasso l’aristocrazia (“whatever it takes”)”
pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 10 di febbraio dell’anno 2021: Ricordate
la scena dei parlamentari sculacciati da Giorgio Napolitano come scolaretti
(“sordi”, “inconcludenti”, “irresponsabili”) eppure felici e plaudenti davanti
alla ramanzina presidenziale? Era il 23 aprile 2013, giorno dell’irrituale (e
incomprensibile) insediamento bis di Giorgio Napolitano (una analogia
con l’ascesa al Colle nell’anno 2022 del nuovo presidente-bis n.d.r.),
chiamato a salvare la patria dalle forze politiche incappate nel cortocircuito
dell’elezione quirinalizia (stessa situazione di allora, ripetutasi nell’anno
2022, ben nove anni dopo n.d.r.). Quel momento, uno dei più tristi della
nostra recente storia, ci è tornato in mente in questa ultima settimana di
crisi di governo, a causa delle parole di un altro presidente della Repubblica.
Sergio Mattarella ha chiesto ai partiti di sostenere il tentativo di Mario
Draghi di formare un nuovo esecutivo: “Avverto il dovere di rivolgere un
appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento perché conferiscano
la fiducia a un governo di alto profilo che non debba identificarsi con alcuna
formula politica”. L’ora è grave. Non per Mario Draghi in sé, ma per la nostra
democrazia, mai così maltrattata. Le parole di Mattarella (che come quelle del
suo predecessore possono, e anzi devono, essere oggetto di analisi critica
anche se non sembra più possibile farlo) suggeriscono che “l’alto profilo” sia
in contrapposizione con la “formula politica”. La qual cosa si traduce in una
delegittimazione, non priva di pericoli, della democrazia rappresentativa.
Senza dire che l’idea di un governo tecnico, inteso come neutrale, è una pia
illusione. Ogni scelta è politica (lo è stata, eccome, anche quella del
whatever it takes) e nessun governo può prevedere quale realtà dovrà
affrontare. Per fare un esempio, una pandemia di queste proporzioni non era in
alcun modo preventivabile. Dunque i governi decidono e incidono sulla realtà
sociale, per come si manifesta in quel momento. Un’altra idea tossica è quella
della tecnica neutra (…): una bugia divenuta incontrovertibile verità. Le forze
politiche di forte non hanno più nulla, visto il sollievo con cui hanno accolto
un “governo senza colore” (nell’Italia dei colori pandemici!). Non
dimentichiamo che gli esecutivi svincolati dal consenso popolare hanno lasciato
segni poco popolari e per nulla neutri. L’implicita contrapposizione tra
competenza e politica ha già fatto danni incalcolabili: il dibattito pubblico è
ostaggio di un revanscismo livoroso e pericoloso verso i rappresentanti del
popolo (dunque, del popolo) che si specchia nell’estasi con cui ci riferisce ai
nuovi salvatori della patria. Come se il popolo non fossimo noi tutti,
destinatari di una serie di diritti e doveri politici, protagonisti
dell’autodeterminazione che si esprime con il voto. Il popolo viene citato solo
nell’accezione dispregiativa (il “populismo” dei talk show). Arrivano “i
migliori”: ma migliori di chi? Del popolo e dei populisti, di elettori ed
eletti. Siamo sicuri che sia un bene far passare l’idea che ci può salvare solo
un’aristocrazia affrancata dal popolo? Mentre i leader dei partiti si affannano
a invocare il governo dei migliori sembra non si rendano conto che l’altro
termine della comparazione sono loro: i peggiori. Abbiamo dovuto leggere che
gli ottimati sono una reazione “all’uno vale uno”. È vero, la democrazia è esattamente
questo: una testa un voto, non ci sono voti che valgono di più. La nostra
Costituzione è tutta fondata sul principio di uguaglianza che ora si rinnega
senza imbarazzi. Perché “non c’è alternativa”, perché “sennò vince Salvini”.
Non è vero: un’alternativa c’è sempre. Magari non è la “migliore”, ma è di
tutti, anche di quelli che sono peggiori e di quelli che si sentono,
inspiegabilmente, migliori (per lo più scrivono sui giornali). La democrazia ha
bisogno di tutti, e va difesa whatever it takes. Di seguito, “È possibile la democrazia in una società
complessa?” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del
quotidiano “la Repubblica” del 25 di settembre dell’anno 2021: Al (…)
pessimismo circa le sorti della democrazia aggiungo il mio che vede la nostra
società che, anche se sembra "democratica" rispetto ai sovranismi (…)
denunciati, in realtà è regolata dal mercato e dalla tecnica. Il mercato non ci
percepisce come persone, ma unicamente come produttori e consumatori, per
effetto di quel circolo vizioso per cui se non si consuma non si produce, e se
non si produce si crea quella massa di disoccupazione che costituisce un pericolo
sociale. E allora obblighiamo tutti a un consumo forzato dove "la
fine" dei prodotti è anche "il loro fine" per evitare che il
circolo vizioso si interrompa. Anche la tecnica non ci percepisce come persone,
ma solo come funzionari di apparati che devono eseguire le azioni descritte e
prescritte dagli apparati per conseguire il massimo degli scopi con l'impiego
minimo dei mezzi. La politica non è più il luogo della decisione perché per
decidere guarda l'economia, e l'economia per scegliere i suoi investimenti
guarda le novità tecnologiche. A questo punto la decisione passa dalla politica
alla tecnica, che non produce solo effetti tecnici, ma invade tutti i campi del
nostro modo di vivere. (…). …non siamo liberi di avere o non avere un computer
o un telefonino, perché se la comunicazione e la socializzazione passa
attraverso questi strumenti, non averli equivale a un'esclusione sociale. Ma
sia il mercato, che con i suoi meccanismi sofisticati è sostanzialmente
incomprensibile alla gran massa, visto che sfugge persino agli economisti
spesso disorientati nelle loro previsioni, sia la tecnica, che decide in
anticipo sulle possibili decisioni politiche, non favoriscono il processo
democratico perché, stante l'alto livello di specializzazione raggiunto dalla
tecnica, chi fa da interprete tra il sistema delle competenze tecniche che
condizionano la politica e il vasto pubblico? Nessuno. A questo punto, il
processo di formazione della volontà democratica si risolve nell'acclamazione di
élites, che restano sì legittimate dal voto popolare, senza però che la volontà
popolare possa prendere posizione sulle decisioni politiche, perché queste,
nello scenario predisposto dalla tecnica, restano "per incompetenza"
sottratte alla discussione pubblica. La domanda che a questo punto si pone è:
nelle società complesse ad alto livello tecnologico, è ancora possibile la
democrazia come espressione della volontà popolare? Probabilmente sì, ma solo
in presenza di un'opinione pubblica competente, e quindi in grado di giudicare
le decisioni che la politica assume su indicazione tecnica. Ma se questo non è
possibile comprendiamo il successo del populismo che semplifica le questioni
incomprensibili al grande pubblico con slogan semplici, efficaci e ad alto
impatto emotivo, la cui verità sfugge alla verifica della gente comune. Nel
primo Novecento la deriva populista ha generato fascismo, comunismo e nazismo.
Oggi a generare la deriva populista non è l'ubriacatura ideologica, ma la
fredda tecnicizzazione della politica, per cui mentre il primo populismo si
riconosceva in un potere forte e totalitario, oggi l'attacco populista alla
democrazia viene condotto sfruttando l'incompetenza del grande pubblico che,
non sapendo come sottrarsi a una complessità sempre crescente, si affida a chi
dà l'impressione di poterla semplificare. Per quanto radicalmente differenti
siano le due derive populiste, il risultato è identico: la spoliticizzazione
della società e il discredito della democrazia.
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