A commento della “pantomima quirinalizia” (ancora in corso), così ha
scritto Michele Serra in “Intrattenere
il pubblico” sul quotidiano “la Repubblica” di sabato 29 di gennaio 2022: A
qualunque ora del giorno si cerchino notizie sulle presidenziali, zoomando su
Roma centro si vede il Salvini (in verità non era il solo, seppur sia
stata la “macchietta” più in vista di quella “pantomima” n.d.r.), di
ottimo umore, con un bavero di microfoni sotto il mento, che aggiorna sulla sua
febbrile attività di tessitore. Lascia intendere di avere appena incontrato le
più eminenti personalità del Paese, anche quelle segrete (Sgarbaglia? Parozzi?
Frisacchio?), evidentemente tutte residenti nelle viuzze attorno, altrimenti
non si spiegherebbe come e quando avrebbe potuto raggiungerle. Fa capire di
avere in tasca due o tre carte importanti, variandole a seconda della necessità
del momento, come il mago Forest. Fin qui deve avere pronunciato almeno una
dozzina di nomi papabili, l'ultimo dei quali, Casellati, esposto così gravemente
al fuoco amico da non avere nemmeno scomodato quello nemico. Quanto agli altri
leader non è necessario interrogarli, perché il Salvini li ha appena incontrati
tutti, nessuno escluso, e dunque parlare con lui equivale, in questi giorni, a
parlare con l'Italia politica al completo. Loquace, disponibile, tutt'altro che
logoro, anche se è costretto dalle circostanze a mostrare una certa compunzione
deve divertirsi parecchio. Dev'essere eccitante superare una transenna, uscire
da un portone, rientrarvi poco dopo, e ritrovarsi attorniato da cronisti e
cameramen che ti chiedono cose che non sai sapendo benissimo che non le sai, ma
fingendo che tu le sappia. Gli si deve riconoscere una certa generosità. Sta
intrattenendo il pubblico in attesa che lo spettacolo cominci per davvero. Di
seguito, “Quirinale, menzogne e
Amarcord” di Barbara Spinelli, pubblicato su «il Fatto Quotidiano» di oggi,
sabato 5 di febbraio 2022: (…). L’esecutivo Draghi è una creazione di
Mattarella e senza Mattarella pareva evidentemente improponibile. Ogni
alternativa è stata bollata in partenza, come disonorante. Si salva solo
Giorgia Meloni, che pensa alle legislative e sa che al di là delle baruffe
partitiche ci sono elettori da convincere. (…). Non poteva andare altrimenti,
proclamano compiaciuti i principali editorialisti, nonostante le loro
previsioni siano tutte andate a buca. Draghi che con Mattarella aveva affossato
Conte per poter poi trasferirsi al Colle non ha vinto la scommessa, come tanti
avevano fantasticato, e tuttavia resta il campione in assoluto anche lì dov’è:
magari proverà la prossima volta. Mattarella che aveva ripetutamente dichiarato
di volersene andare – sino a mettere in scena il trasloco con gli scatoloni –
resta al suo posto come se nessuna alternativa fosse esistita. Perfino Enrico
Letta, rivelatosi succube di Renzi, riceve misteriosamente la laurea del
vincente. Facile dire che non c’era alternativa, quando nessuna è stata messa
alla prova e tutte sono state dichiarate fasulle. Dichiarate da chi? Perché?
Qualcuno potrebbe spiegare in maniera convincente perché davvero NO Frattini
(l’atlantismo è stato un pretesto ignominioso), NO Belloni, e poi NO Casini?
(la domanda non implica simpatia, ovviamente). Non è detto che gli italiani
apprezzino questo copione visibilmente già scritto in anticipo, forse
addirittura fin dai giorni del conticidio – o Mattarella o Draghi, così pare
volessero i mercati, l’Europa, la Nato e chissà quale altro fantasma. Altra via
non c’era anche quando palesemente esisteva. Era possibile eleggere Belloni,
per esempio, si poteva almeno provare. Invece si è provato solo con Elisabetta
Casellati – la più vanitosa, la più rampante tra i candidati, perdente per
forza essendo sostenuta solo da parte delle destre. Si dice così spesso che
bisogna volere e tentare l’impossibile, ma qui è il possibile che non è stato
né tentato né voluto. Sicché ora prevale una strana euforia. Mattarella ha
ricevuto 85 applausi, quasi sempre in piedi. E visto che gli occhi dei
commentatori si appannano commossi alla sola locuzione “standing ovation”, si
coglie l’occasione per dire che proprio così – con applausi “scroscianti” – si
sono espressi gli italiani: a novembre al San Carlo di Napoli, a dicembre alla
Scala. Si fa presto a dire “gli italiani”, nota giustamente Tomaso Montanari.
Non è il popolo che osannava a Napoli e Milano – il popolo che esercita la
sovranità secondo la Costituzione – ma una élite assai ristretta. I
parlamentari applaudono come mai prima e l’unica cosa cui non pensano è quella
essenziale: come saranno valutati dai cittadini, quando si voterà. L’affluenza
nelle politiche del 2018 già era in calo (72,9% per la Camera; 72,9% per il
Senato), ma alle ultime amministrative è stato un tracollo, questo sì
scrosciante: l’astensione ha superato il 50% al secondo turno. Probabilmente
l’astensione sarebbe stata altissima già nel 2018, se non ci fosse stato il
Movimento 5 Stelle a smuovere i cittadini con parole nuove e a incanalare le
collere. Ma secondo la vulgata i 5 Stelle erano populisti: si erano indignati
con Mattarella quando questi respinse Savona ministro dell’economia,
ingiustamente sospettato di volere l’uscita dall’euro; avevano flirtato con i
gilets jaunes (un vasto movimento contro le politiche economiche di Macron,
specie fiscali, non riducibile a mera sedizione violenta). I votanti 5 Stelle
non erano graditi: molto meglio se gli italiani non andavano proprio più alle
urne. La vulgata dice ancora che Di Maio è ben incuneato nei Palazzi e dunque
“molto maturato”. Stavolta gli elettori del M5S diserteranno in massa,
nonostante gli sforzi immani di riconquista territoriale e vera maturità
movimentista intrapresi da Conte. Molti escono ammaccati da questi tempi di
pandemia e di emergenza, a cominciare da Draghi che nella conferenza stampa di
fine anno aveva sostenuto che la sua missione era finita, nonostante la pandemia
fosse ben viva e le disuguaglianze sociali crescessero. Tanto più inane parlare
di “crollo del sistema”, qualora Mattarella non fosse stato rieletto (parola di
Pierluigi Castagnetti): uno storcimento della realtà che sta divenendo
patologico. Non sarebbe crollato alcun sistema, se Mattarella non avesse fatto
il bis. Se fosse vero, si può ragionevolmente supporre che non avrebbe
preparato gli scatoloni. Oppure tutto era menzogna, sin da principio:
Mattarella che giudicava costituzionalmente anomali due settennati; Draghi che
riteneva felicemente compiuta la missione e difendeva la centralità del
Parlamento; Enrico Letta che si travestiva da Ciccio Ingrassia, urlava
dall’alto dei rami “Voglio una donna!” e poi però in un baleno ci ripensava,
aspettando che la suorina-nana lo tirasse giù dall’albero come in Amarcord. Il
crollo del sistema è dato per sicuro se chi governa non si dice europeista,
atlantista, e rapido nel decidere. Nonostante questo Mattarella ha detto alcune
cose più che giuste, il 3 febbraio alle Camere: ha detto che “poteri economici
sovranazionali tendono a prevalere e a imporsi, aggirando il processo
democratico”; ha chiesto che “il Parlamento sia sempre posto in condizione di
poter esaminare e valutare con tempi adeguati” gli atti del governo; e che “la
forzata compressione dei tempi parlamentari rappresenta un rischio non certo
minore di ingiustificate e dannose dilatazioni dei tempi”. È un buon programma.
Non risponde del tutto al profilo di Draghi. Immutato rimane, di contro, il
silenzio italiano sul ricorso al nucleare e al gas, definite energie pulite
dalla Commissione Ue, su pressione di Macron. E rimane la cecità sui
respingimenti in Libia dei migranti. Oltre 170 organizzazioni italiane, europee
e africane hanno lanciato in questi giorni un appello affinché sia revocato il
memorandum Italia-Libia, contrario alle leggi internazionali contro le
espulsioni collettive sui rifugiati. Anche su questi punti i governanti sono
tutt’altro che Migliori.
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