Ha scritto Gustavo Zagrebelsky in “Ora silenzio e serietà” pubblicato sul
quotidiano “la Repubblica” di oggi, martedì 1 di febbraio 2022: (…).
La realtà sta tutta in una parola: "intestarsi". Tutti i possibili
candidati sono stati, come si usa dire, "bruciati" nel momento in cui
sono apparsi sulla scena. Possiamo dire: proposta e bruciatura hanno fatto un
tutt'uno. Ciò perché la posta in gioco della partita quirinalizia s'è
dimostrata essere l'intestazione dell'elezione. I nomi, in fondo, contavano
meno e, perciò, se n'è fatta una girandola, una quarantina tra quelli espliciti
e quelli "coperti" che si sarebbero potuti tirare fuori dal cilindro
al momento opportuno. Forse, anche se ci fosse stata in Parlamento una chiara
maggioranza, il conflitto delle intestazioni ci sarebbe stato ugualmente, tra
le sue componenti. Ma, siccome una tale maggioranza non c'era, il caos totale è
stato inevitabile. Altro che "sintesi", "percorso
condiviso", "punti di equilibrio", "tavoli",
"altissimi profili", "kingmaker" e altri simili specchietti
(per le allodole) e spacconate. L'intestatario, in caso di successo, avrebbe
vinto un premio politico che gli altri non gli avrebbero potuto contestare. Un
enorme plus-valore. Proprio per questo doveva fallire e così è stato. Egli
avrebbe dimostrato la sua centralità in Parlamento, nel governo, nella
coalizione e nello stesso suo partito. Il voto a favore della rielezione del
presidente Mattarella, invece, ha scontentato (quasi) nessuno perché ha evitato
ogni altrui intestazione. Affinché nessuno vinca, meglio che perdano tutti:
questa è stata la morale e, se è stata questa, nessuno avrebbe motivo di
gioire. Per esempio, che cosa sono state le congratulazioni al momento della
votazione, e il giubilo che abbiamo visto e che vedremo di nuovo tra qualche
giorno, a Camere riunite plaudenti, sul volto di chi temeva di naufragare? Che
cosa sono mai i sorrisi di soddisfazione durante la processione al Colle,
svoltasi quasi come in un rito d'auto-umiliazione. Stavano deponendo la propria
impotenza ai piedi di chi generosamente, per spirito di servizio, ha assunto il
peso del loro fallimento. In fondo, era largamente prevedibile. Politicantismo
invece di politica. Se c'è politica, se cioè ci sono programmi, progetti,
ideali, perfino ideologie; se cioè c'è qualcosa che va al di là
dell'autoreferenzialità e che tiene a bada l'ego personale o di gruppo, allora
sì, si può mediare, cercare insieme il meglio tra ciò che è possibile. In una
parola, si può guardare in alto trovandovi soddisfazione anche, anzi perfino di
più, quando si rinuncia a qualcosa di sé in vista di qualcosa di buono che può
riguardare tutti o, almeno, molti. Nel politicantismo prevalgono gli interessi
particolari meschini che difficilmente aggregano consensi, soprattutto quando
c'è un solo "bene "da assegnare (il Quirinale), senza beni di
consolazione da distribuire: se tutto a uno, niente agli altri. Il politicante
non sa che farsene della politica, anzi la evita. Tutto, per lui, è tattica del
giorno per giorno. Ma, viene il momento della verità in cui inevitabilmente ci
si trova di fronte alla realtà. Questo giorno è già venuto due volte. Se la
prima volta, la rielezione del precedente presidente Napolitano, si poteva far
finta di non vedere e considerarla un'eccezione, questa volta non può più
essere così. Due volte dimostrano un malessere di fondo che testimonia un
cambiamento della "costituzione materiale". Un cambiamento, questo sì,
davvero antipolitico. Le grandi decisioni sfuggono al Parlamento che ne è
incapace. La sua incapacità finirà per sembrare inutilità. Perché partecipare
anche solo con il voto a rituali lontani, per nulla attrattivi e privi di
sostanza? Ma, nei regimi in cui il Parlamento non c'è, è sospeso o è impotente,
la democrazia se la svigna dalle parti di oligarchie e di tecnocrazie. Non c'è
bisogno d'essere linci per accorgersi che è ciò che avviene sotto i nostri
occhi. Succede dappertutto, dicono coloro che vogliono minimizzare il nostro
problema e consolarsi guardando gli altri. Ma non è affatto così. Certamente
non è così nella misura nostrana. (…). Per rianimare la democrazia e rendere
possibili convergenze, accordi, alleanze, in altre parole politiche produttive
di effetti, in questo momento la prima cosa da fare è tacere un poco. Tutti
sono, più o meno, capaci solo a parlare. Difficile è riempire le scatole vuote
con qualcosa che faccia dire: guarda, guarda, c'è qualcuno che sa e vuole fare!
E da lì partire per riannodare i fili, per riporre speranze nella democrazia.
Più si parla e meno si fa, più cresce il distacco, la noia, l'avversione.
L'eccesso di pseudo-informazione in mano ai soliti esperti di cose quirinalizie
e ai soliti "opinionisti" che hanno riempito fino alla noia i media
in questi giorni ha mostrato, con la nausea che ha provocato, il male che
s'annida nelle troppe parole. (…). Ora, un poco di silenzio, di concentrazione
e serietà. (…). Di seguito, «“Alto profilo” quella
frase fatta che cela il vuoto della politica» di
Giacomo Papi, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 27 di gennaio 2022:
Quando
tutto questo sarà finito, bisognerà spendere una parola per l'espressione
"di alto profilo" che da più di un mese è associata alla figura del
prossimo Presidente della Repubblica. La politica ha spesso l'esigenza di dare
aria ai denti, e a ogni nuova elezione per il Quirinale dilaga la lingua-fumo,
quella che serve a nascondere più che a svelare e che si basa su formule fisse,
trite e ritrite, estratte dai polverosissimi armadi dei luoghi comuni. Quello
che non si capisce, però, è perché mai l'informazione si presti a ripetere e a
mettere in circolazione le frasi prive di senso della politica. Che cosa vuol
dire esattamente "di alto profilo"? Che per non sfigurare di fianco
ai corazzieri il prossimo Presidente della Repubblica dovrà essere alto almeno
quanto Guido Crosetto, l'enorme deputato di Fratelli d'Italia che misura 1,96
centimetri e ieri ha raccolto 114 voti? Oppure l'espressione serve solo a
escludere Silvio Berlusconi e Renato Brunetta? Potrebbe voler dire che la
persona che guiderà, garantirà e rappresenterà l'Italia nel mondo non deve
essere cercata tra le figure di basso profilo, bassi istinti e bassi appetiti.
Insomma, si intende chiarire una volta per tutte, e solennemente, che i partiti
si rifiutano di eleggere un guitto squallido, avido e arraffone? O forse
significa soltanto che il prossimo Presidente dovrà essere autorevole? Nel qual
caso mi pare una precisazione necessaria: non vogliamo uno che quando parla o
appare in pubblico tutti ridono, si danno di gomito e fanno pernacchie. È
evidente che l'informazione, come l'economia, sottostà alla legge della domanda
e dell'offerta, e che se una notizia viene data e una dichiarazione rilanciata
è perché - pur nel disinteresse e distrazione generali - esiste un pubblico che
vuole sapere o almeno avere qualcosa da ripetere al bar o sui social. È anche
vero, però, che il mestiere di chi informa dovrebbe assicurare un minimo di
corrispondenza e misura tra la realtà raccontata e le parole che provano a
descriverla. Dovrebbe assicurarsi, cioè, che la lingua non sia usata per
confondere o prendere tempo. Anche perché il cattivo linguaggio ha la capacità
di moltiplicarsi e diffondersi come un virus di bocca in bocca, di fiato in
fiato, infettando di frasi fatte e svuotate lo strumento che dovrebbe servire a
capirci e a orientarci nel mondo. Il presunto leader dei Cinque Stelle Giuseppe
Conte, per esempio, parla ormai come un democristiano degli anni Cinquanta, con
la differenza che il democristiano degli anni Cinquanta il gergo per non dire
nulla lo stava inventando mentre Conte lo sta ripetendo (anche se gli va
riconosciuto il merito, un record, di essere riuscito a montare una
dichiarazione composta esclusivamente di frasi fatte): "Facciamo un passo
avanti e cominciamo un serio confronto tra le forze politiche per offrire al
Paese una figura di alto profilo, autorevole, ampiamente condivisa". C'è
tutto: il "passo in avanti", l'"ampiamente condiviso" e
l'"alto profilo", appunto, ma distinto da "autorevole", e
infine "il serio confronto", perché evidentemente potrebbe non
esserlo, serio, il confronto. Più sobrio il tweet del segretario del Pd, Enrico
Letta, di qualche giorno fa: "Ora ci vuole accordo alto su nome condiviso".
Perché "alto" l'accordo? Come si configura l'accordo alto? È quello
con Crosetto? E perché "condiviso"? Se l'accordo c'è, non è condiviso
per forza? Meno male che Matteo Salvini, dopo aver invocato un "profilo altissimo",
forse anche più di Crosetto, ha assicurato: "Stiamo lavorando per una
soluzione positiva, rapida, efficace". Ed abbiamo tirato un sospiro di
sollievo a sapere che non sarà negativa, lenta e inutile. A Berlusconi, invece,
va dato atto della chiarezza del comunicato della rinuncia: "Occorre
individuare una figura capace di rappresentare con la necessaria autorevolezza
la Nazione nel mondo e di essere garante delle scelte fondamentali del nostro
Paese nello scenario internazionale, l'opzione europea e quella atlantica,
sempre complementari e mai contrapponibili, essenziali per garantire la pace e
la sicurezza e rispondere alle sfide globali". (Ma soprattutto di non aver
usato "alto profilo"). L'elezione del Presidente della Repubblica è
un gioco appassionante che, in quanto tale, ha anche a che fare con lo
spettacolo e l'intrattenimento. Se la democrazia ha vinto (per ora, qui) o
almeno se ha avuto successo, è perché è un gioco a cui tutti possono
partecipare, non soltanto i sovrani, i nobili e i preti. Come dice Marilyn
Monroe a Laurence Olivier in "Il principe e la ballerina": "Le
elezioni sono una buona cosa. Sono democratiche". Ma ogni gioco si basa su
regole certe e su un lessico esatto, nei limiti del possibile. Non può abusare
di formule fumose e prive senso. E se le frasi fatte ci devono proprio essere,
almeno si faccia la fatica di verificarne il significato. L'espressione
"alto profilo", per esempio, deriva dall'inglese "high
profile" che per il Cambridge Dictionary significa: "Attracting a lot
of attention and interest from the public and newspapers, television,
etc.". I partiti starebbero cercando, cioè, senza saperlo, qualcuno in
grado di attrarre l'attenzione del pubblico, giornali e televisioni etc. Un
personaggio famoso, insomma, uno che faccia parlare di sé. (…).
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