Tratto da “Goodbye
Lenin nel Donbass. La guerra? Stupro di impotenti” di Slavoj Zizek,
riportato su “il Fatto Quotidiano” del 25 di febbraio 2022 (seconda giornata di
aggressione all’Ucraina): In una conferenza stampa del 7 febbraio, Vladimir
Putin notava quanto poco il governo ucraino apprezzi l'accordo di Minsk, e
aggiungeva: "Che ti piaccia o no, è il tuo dovere, bella mia". (…). L'osceno
commento di Putin va letto sullo sfondo della crisi ucraina, presentata dai
nostri media co-me minaccia di "stupro di un Paese onesto". Crisi non
priva di aspetti comici: a riprova, in un mondo alla rovescia come il nostro, della
sua gravità. Come ha notato l'analista politico sloveno Boris Ibej: "Chi
ci attendiamo che attacchi [la Russia], dichiara di non averne intenzione; chi
dovrebbe calmare le acque insiste che lo scontro è inevitabile". (...).
Facile tradurre la situazione nella metafora dello stupro. La Russia, pronta a
violentare l'Ucraina, asserisce di non volerlo fare, ma fra le righe
palesemente insinua che, nel caso in cui non ottenesse il consenso ucraino a un
rapporto sessuale, è disposta a stuprarla (ricordiamoci la volgare risposta di
Putin); inoltre, accusa l'Ucraina di istigarla a commettere lo stupro. Gli Stati
Uniti, che intendono proteggerla dallo stupro, suonano il campanello d'allarme,
in modo tale da ergersi a protettori degli Stati post-sovietici: un tipo di
protezione che non può non ricordarci quella che un gangster può offrire a
negozi e ristoranti del suo quartiere contro le rapine, con la velata minaccia che
rifiutarla comporterebbe pessime conseguenze. L'Ucraina, bersaglio del temuto
stupro, cerca di mantenere la calma, e sembra innervosirsi all'allarme Usa,
consapevole che la canizza possa davvero provocare la Russia allo stupro. Che
cosa si nasconde, dunque, dietro questo conflitto, con tutti i suoi
imprevedibili rischi? E se il pericolo non stesse tanto nel suo riflettere una
forza crescente delle due ex superpotenze ma, piuttosto, nel provarne
l'incapacità di accettare di non esserlo più? Quando, al culmine della Guerra
fredda, Mao Tsé Tung disse che, pur con tutte le loro armi, gli Stati Uniti erano
una tigre di carta, dimenticava di aggiungere che le tigri di carta possono
essere più pericolose delle tigri vere e sicure di sé. Il fallimento della
ritirata afghana non è che l'ultimo della serie di fiaschi della supremazia
Usa, e lo sforzo da parte da parte russa di ricostruire l’impero sovietico non
è che il disperato tentativo di coprire la propria situazione di debolezza e di
declino. Com'è il caso dei veri violentatori, lo stupro segnala l'impotenza
dell'aggressore. Impotenza palpabile, ora che lo stupro è cominciato, con la
prima penetrazione diretta dell'esercito russo in Ucraina - la prima, cioè, se
escludiamo il Gruppo Wagner (...) da anni attivo nel Donbass, dove organizza la
resistenza "spontanea" all'Ucraina (come ha già fatto in Crimea). Ora
che le tensioni sono esplose, la Duma russa ha approvato un appello diretto a
Putin, affinché riconosca gli Stati separatisti – e a controllo russo - di
Donetsk-e di Lugansk. Prima Putin ha sostenuto di non voler immediatamente riconoscere
le sedicenti repubbliche; così che, quando le ha infine riconosciute come
repubbliche indipendenti, sembrasse averlo fatto a causa della pressione
popolare, secondo le regole descritte (e praticate) un secolo fa da Stalin. Alla
metà degli anni Venti del Novecento, Stalin propose di adottare una semplice decisione:
il governo della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa sarebbe
diventato il governo delle altre cinque repubbliche: Ucraina, Bielorussia,
Azerbaijan, Armenia e Georgia. (…). L'invasione in corso porta a compimento la
negazione di ogni residuo della tradizione leninista. L'ultima volta che Lenin
è comparso nei titoli di testa occidentali risale alla sollevazione ucraina del
2014, che rovesciò il presidente filorusso Janukovy: nei servizi televisivi
sulle proteste a Kiev, abbiamo visto e rivisto la scena dei manifestanti che,
infuriati, abbattevano la statua di Lenin. Assalti del tutto comprensibili,
visto che tali statue funzionavano da simboli dell'oppressione sovietica, e la
Russia di Putin viene percepita come la continuatrice della politica di soggezione
alla Russia delle nazioni non russe, già tipica dell'Unione Sovietica. E tuttavia,
era paradossale vedere gli ucraini tirar giù Lenin per affermare la propria sovranità
nazionale. (...). La politica estera di Putin si pone in evidente
continuità con quella linea zarista-stalinista (…). E non sorprende che, lunedì
21 febbraio 2022, nell'annunciare l'intervento militare nella regione del
Donbass, Putin abbia ripetuto la sua già espressa opinione, secondo cui fu
Lenin - salito al potere dopo la caduta della famiglia reale dei Romanov -
l'"autore e creatore" dell'Ucraina (...). Si può essere più chiari di
così? Le persone di sinistra che rimangono con la Russia (in fin dei conti, la
Russia è il successore dell'Urss, le democrazie occidentali sono un falso,
Putin si oppone all'imperialismo americano ecc. ecc.) debbono ammetterlo: Putin
è un nazionalista conservatore. La Russia non sta soltanto tornando alla Guerra
fredda e alle rigide regole che questa portava con sé. Sta accadendo qualcosa
di molto molto più folle: non una guerra fredda ma una pace calda, una pace che
assomma a una guerra ibrida permanente, in cui gli interventi militari sono
spacciati per missioni di pace contro i genocidi (...). Per concludere con la
domanda di Lenin: che fare? Chi, come noi, vive in Paesi che si ritrovano spettatori
della triste commedia dello stupro, deve sapere che solo una decisa castrazione
potrà impedirlo. Non possiamo che raccomandare che la comunità internazionale
effettui una simile operazione chirurgica sulla Russia e, in certa misura,
anche sugli Stati Uniti: ignorandoli e marginalizzandoli il più possibile,
trattandoli come imbarazzanti oscenità, come qualcuno che vediamo defecare
sulla pubblica strada; e assicurandosi che al posto della loro autorità globale
non cresca più nulla.
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