Ha lasciato
scritto l’indimenticato Norberto Bobbio nella Sua “Autobiografia” - Laterza editore (2004), curata da A. Papuzzi -: (…). E il passato rivive nella
memoria. Il grande patrimonio del vecchio è nel mondo meraviglioso della
memoria, fonte inesauribile di riflessioni su noi stessi, sull’universo in cui
siamo vissuti, sulle persone e gli eventi che lungo la via hanno attratto la
nostra attenzione. Meraviglioso, questo mondo, per la quantità e la varietà
insospettabile e incalcolabile delle cose che ci sono dentro: immagini di volti
scomparsi da tempo, di luoghi visitati in anni lontani e non mai più riveduti,
personaggi di romanzi letti quando eravamo adolescenti, frammenti di poesie
imparate a memoria a scuola e mai più dimenticate; e quante scene di film e di
palcoscenico e quanti volti di attori e attrici dimenticati da chi sa quanto
tempo ma sempre pronti a ricomparire nel momento in cui ti viene il desiderio
di rivederli e quando li rivedi provi la stessa emozione della prima volta; e
quanti motivi di canzonette, arie di opere, brani di sonate e di concerti, che
ricanti dentro di te (…). Pandemia e dintorni. È potuto
accadere ciò di cui Furio Colombo ha dato notizia in «Gli unici
anziani “utili” sono oggi gli elefanti», pubblicato su “il
Fatto Quotidiano” del 7 di febbraio dell’anno 2021: Un giorno della scorsa settimana
(3 febbraio) è successo qualcosa che voglio annotare. Il quotidiano Repubblica
ha dedicato una pagina (nell’inserto Cultura) alla riflessione di Eugenio
Scalfari che guarda, come in uno specchietto retrovisore, la sua vita. Lo fa
con un distacco malinconico e sereno, ma senza nostalgia, un racconto che
continui a leggere non per le cose narrate, ma per l’inclinazione dello
sguardo, che cambia, in questo suo scritto, come cambia la luce in certe ore
tardo-pomeridiane del giorno. Il titolista di Repubblica di quel giorno non è
stato attento alla pagina appena citata del suo giornale. E apre il supplemento
“Roma” del quotidiano in un suo modo sfacciato e divertito. Deve intitolare un
articolo sull’affollamento dei luoghi designati per le vaccinazioni degli
anziani, sceglie di tradurre il diffuso stato d’animo di tanti nostri
concittadini con queste parole stampate molto in grande: “Gli over 80 non
mollano. Prenotati 120 mila vaccini”. E più in piccolo: “Il sistema ha
assorbito l’assalto”. Capisci subito che è l’assalto dei vecchi che ingombrano
le vie di salvezza per i tanti altri meno matusalemme in attesa. È inutile
fingere e mettere qui qualche frase benevola o neutra. Il titolo rappresenta
bene (in contrasto sbadato con la pagina Scalfari del giornale) ciò che sentite
in giro (quando c’è qualcuno in giro) e nei caffè, ora che sono parzialmente
aperti. Una delle più diffuse battute che fa scoppiare la sala (quando c’è, per
un istante, una sala) è: “Oh, questo ha cento anni e voleva la vaccinazione!”.
Il che vuol dire che a 80 è già osceno portare via la dose agli altri. Ma tutto
è cominciato molto prima, con la conquista dei letti e delle strutture di
rianimazione. Rapidamente si è diffusa la percezione di una nuova cultura:
fuori i più vecchi. Naturalmente la seconda fila sarà ancora di vecchi, e il
numero sarà sempre alto, e come dice il titolista di Repubblica-Roma, gli 80
non mollano. Chi volete che molli quando si tratta di vivere e di morire? Qui
ci vuole la mano ferma di quei medici che decidono (“questo sì, questo no”) e
del personale sanitario che si adegua. Vero, tutto ciò accade nei giorni del
massimo eroismo medicale. Ma accade comunque. O si dice e si pensa, addirittura
in dichiarazioni pubbliche e politiche. Per la prima volta nella storia
dell’umanità che conosciamo, sta diffondendosi l’idea che i vecchi non servono
ed è bene fare largo, anche se non è chiaro in che punto calare la sbarra tra
l’età che porta pericolo e l’età che serve al Paese. Ecco ciò che è stato
pubblicato, come un documento (che dovrebbe essere imitato, sembra il
suggerimento) e ha meritato piena pagina, taglio basso, pag. 17 sul Corriere
della Sera, 11 gennaio. Titolo: “Il desiderio di Luigi e Adriana: ‘La nostra
dose (di vaccino, ndr) ai nostri due nipoti’”. Testo: “Abbiamo un desiderio,
poter offrire il nostro vaccino, che presumibilmente faremo in primavera, ai
nostri due nipoti”. Segue una motivazione amorevole, ma non incentrata sulla
scarsità dei vaccini o sull’infuriare della pandemia nelle scuole (evento mai
accaduto): il fatto è che Luigi e Adriana hanno passato (di poco) i 70 anni e
questa condizione anagrafica li fa sentire indegni di essere coloro che
riceveranno un vaccino che dovrebbe spettare ai ragazzi. È vero che la
generosità dei due anziani si deve anche al fatto di essere stati insegnanti.
Ma, come è noto, la pandemia non si aggira nelle scuole dove, secondo i medici,
i ragazzi potrebbero essere portatori di infezione (da cui, purtroppo, la
vaccinazione non protegge) ma non vittime di essa. No, in questo episodio si
vede l’espandersi della cultura che ha portato a infettare migliaia di anziani
in Lombardia. Ricordate che ci è voluto l’Esercito per rimuovere le centinaia
di bare delle vittime non della pandemia, ma dell’età? La lettera di Luigi e
Adriana è il segnale della diffusione di una cultura che, per la prima volta
nella storia dell’umanità, si è persuasa di una condizione inferiore, nella
quale finisci di scivolare con gli anni: la vecchiaia. Verificare l’utilità
sociale. Non servono, non contano ma occupano spazio e vogliono cure. Conta
poco che per quelle cure abbiano pagato contributi per tutta la vita. Se manca
vaccino, si toglie a Luigi e Adriana e si dà ai nipoti che sono non importa
chi, basta che sia l’età giusta. Leggo su una pagina in
Rete: “Gli anziani sono molto importanti”. Ma è un articolo dedicato al
comportamento degli elefanti.
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