A lato. Bologna, 25 di febbraio 2022. Manifestazione per l'Ucraina. Foto di Annamaria Molinaro.
Ha scritto Michele Serra in “Chi sono i veri pazzi” (a seguito delle sequenze della tragedia ucraina) pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi, venerdì 25 di febbraio 2022 - seconda giornata di aggressione armata all’Ucraina -:
(…).
Com’era bello il pacifismo retorico, che opponeva parole risapute all’evidenza
delle cose, alla ripetizione bruta dell’istinto di dominio che regola,
dall’alba dei tempi, la storia dell’umanità. Com’era bello sapere che esisteva
almeno un frammento del mondo (un corteo, una petizione, una bandiera appesa a
un balcone) nel quale la guerra, che è la regola, era invece considerata una
schifosa eccezione. Ci manca, in queste ore di lucida sopraffazione, con lucidi
commenti di lucidi commentatori, qualche residua traccia di quella vaneggiante,
imbarazzante utopia, “fate l’amore non la guerra”, che pretendeva la più
gigantesca riconversione economica e politica della storia umana, dirottare gli
ormoni dagli arsenali ai materassi. Se ci manca la visione – come dicono i
politici – la colpa è della nostra paura di essere giudicati ingenui, o matti,
come capitò a Francesco quando si denudò di fronte al padre e a tutta Assisi, e
di rimbalzo come capita a questo Papa rimasto solo al mondo a gridare “pace!”.
Ma lo sappiamo bene, in cuor nostro, che il vero pazzo è Putin, che pazzo è il
nazionalismo in ogni sua forma (“nostra patria è il mondo intero”, cantavano
gli anarchici a fine Ottocento), che da pazzi è stato, dopo il crollo
dell’Urss, fronteggiare quelle rovine con una chiostra di missili, mentre gli
oligarchi rubavano il più grande bottino della storia umana senza che nessuno, dalle
nostre parti, avesse da ridire: perché gli oligarchi sono compagni di affari, e
gli affari sono sacri. Prima di esitare a dire “pace”, la domanda è dunque: chi
sono i veri pazzi? Orbene, “chi sono i veri pazzi?” si chiede
Michele Serra? Basterebbe scoprire che nella questione “Ucraina” un pazzo è
facilissimo da individuarsi affinché le nostre coscienze si sentano a
“postissimo”? Mi pare ingenuo e superficiale. E dire che, sullo stesso numero
del quotidiano “la Repubblica” – alla pagina 22 –, vi è pubblicata una
riflessione di Yascha Mounk (professore associato presso la “Hopkins
University's School of Advanced International Studies” di Washington) – “Le democrazie deboli rendono forti i
regimi” – ché di certo non sarà sfuggita all’attenzione dell’illustre
“opinionista”. Ed allora? Non c’è da sentirsi correi di questi tragici
avvenimenti nella misura in cui si siano lasciate deperire le democrazie
nell’intero mondo privilegiando, nella vita associata, altri personali o
collettivi interessi a discapito di una vigilanza serrata ed attenta affinché le
democrazie non si affievolissero, non si distruggessero addirittura in taluni
casi? Quanta mancata partecipazione alla vita degli organismi associativi, che
mantengono in vita le democrazie medesime, abbiamo potuto registrare negli anni
dell’edonismo e del consumismo più sfrenato? Ché le democrazie avrebbero potuto
diffondersi o rafforzarsi senza la partecipazione attiva delle masse? Ove sta
scritto che esse, le democrazie, possano sopravvivere nell’incuria collettiva,
nella “malapolitica” dilagante, nell’interesse unico e smodato del guadagno a
tutti i costi? Non ci sta scritto. Le democrazie necessitano di essere nel
quotidiano inverate, giorno per giorno, costantemente, con fatica in alcuni
momenti, con una partecipazione personale attiva e responsabile. L’analisi di
Yascha Mounk, che di seguito riporto nella quasi sua interezza, fornisce la
risposta giusta alla domanda che sarebbe più giusto porsi: in quale misura ho/abbiamo
contribuito a indebolire le nostre declinanti democrazie? Non è semplicemente
una questione di “pazzi”, che sono sempre esistiti e che sempre esisteranno. In
fondo, i “pazzi” siamo stati tutti noi. Yascha Mounk ha scritto: (…).
L’ordine globale emerso in seguito al crollo dell’Unione Sovietica è ormai cosa
del passato. Putin non intende più tollerare che nemmeno le più basilari norme
internazionali – come il divieto di fare conquiste territoriali con mezzi
militari – limitino le sue ambizioni. Siamo all’inizio di una nuova era di
politiche di potere puro e semplice. Ironia della sorte, l’attacco contro
l’Ucraina coincide con la pubblicazione di un rapporto fondamentale sullo stato
della democrazia nel mondo. La pubblicazione da parte di Freedom House di un
deprimente rapporto sullo stato della democrazia è ormai un rituale annuale.
Mentre l’edizione di quest’anno veniva pubblicata sul sito dell’organizzazione,
nelle prime ore del 24 febbraio, la Cnn trasmetteva dal vivo le immagini di truppe
russe che varcavano la frontiera e pennacchi di fumo che si innalzavano nel
cielo di diverse città dell’Ucraina. Basandosi su un meticoloso monitoraggio di
ciò che accade in ogni angolo del mondo, Freedom House constata che siamo
entrati nel sedicesimo anno consecutivo di quella che il politologo Larry
Diamond ha definito una “recessione democratica”. Nel 2021, ancora una volta il
numero di paesi che si sono allontanati dalla democrazia ha superato di gran
lunga il numero di quelli che vi si sono avvicinati. Le istituzioni
democratiche e i diritti civili hanno subito un deterioramento in 60 paesi; in
Afghanistan, Nicaragua, Tunisia e Sudan il declino è stato particolarmente
precipitoso. All’inizio della recessione democratica circa metà della
popolazione mondiale viveva in un paese classificato come “libero”. Oggi accade
solo a due persone su dieci, mentre quattro vivono in nazioni “parzialmente
libere”, come l’India, e altre quattro in nazioni “non libere”, come l’Arabia
Saudita. Negli ultimi anni, paesi le cui istituzioni democratiche una volta i
politologi consideravano “consolidate” hanno mostrato segni evidenti di
debolezza e instabilità. Tutto ciò ci è ormai tristemente divenuto familiare.
Ma i dati più interessanti che emergono dal report contribuiscono a dare il
giusto contesto agli eventi tragici che stanno accadendo nell’Europa dell’Est.
Perché se l’apparente intenzione della Russia di annettere parti dell’Ucraina
rappresenta una violazione particolarmente grave delle norme internazionali,
gli assalti alla democrazia negli ultimi anni si sono fatti sempre più
sfrontati. Ora che la democrazia è in crisi in tutto il mondo, i suoi nemici
non sentono più alcuna necessità di dissimulare le ambizioni autocratiche. A
metà del primo decennio di questo secolo, il numero di paesi che subivano gli
effetti della recessione democratica era alto ma i colpi di Stato militari
erano pochi. Nel 2021, al contrario, il numero di colpi di Stato è arrivato a
sette, la cifra più alta dal 2000. I militari di paesi come Myanmar, Sudan e
Mali hanno imbracciato le armi per insediare al vertice i loro leader politici
preferiti nel corso dell’ultimo anno. L’indebolimento delle norme democratiche
permette anche a presidenti e primi ministri già in carica di agire in modo più
spietato. Nel periodo immediatamente successivo alla guerra fredda, anche i
dittatori sentivano il bisogno di inchinarsi all’altare della democrazia. I
leader politici facevano di tutto per mantenere un’illusione di legittimità
democratica. Anche se queste professioni di fede democratica non erano mai
sincere, i regimi autoritari evitavano di reprimere in modo aperto e brutale
gli attivisti dell’opposizione o i cittadini comuni. Ora qualcosa sta
cambiando. Per esempio, sebbene l’opposizione russa abbia operato a lungo in
condizioni estremamente difficili e pericolose, alcuni partiti esplicitamente
critici nei confronti di Putin hanno talvolta potuto presentarsi alle elezioni.
Nel 2021 non è stato così: Aleksej Naval’nyj e molti dei suoi sostenitori sono
stati incarcerati nel periodo precedente alle elezioni parlamentari e il loro
partito è stato escluso dalle elezioni. Un altro aspetto deprimente che emerge
dal rapporto di Freedom House è che di recente il numero di paesi che hanno
visto un miglioramento delle loro istituzioni democratiche è diminuito
radicalmente. Nel 2006, il primo anno della recessione democratica, 56 paesi
sono andati in direzione di una maggiore libertà e democrazia. L’anno scorso
solo 25. Negli Stati Uniti e in gran parte dell’Europa occidentale la crisi
attuale riguarda soprattutto ciò che i politologi chiamano “cedimento
democratico”: l’indebolimento delle istituzioni democratiche in paesi che ne
godono da molto tempo. Ma l’aspetto più sorprendente del momento che stiamo
vivendo a livello mondiale potrebbe essere definito “sconforto democratico”: il
numero dei paesi che aspirano alla democrazia è sceso ai minimi storici. Alla
fine della guerra fredda, tutti gli indicatori puntavano nella direzione della
democrazia. Tutto il mondo sognava di vivere il sogno americano, sognava il
benessere raccontato dai film di Hollywood e le libertà sancite dalla Carta dei
diritti. Le altre democrazie occidentali sembravano stabili e floride e
ispiravano i cittadini di altri paesi che aspiravano a essere ben governati a
lottare per ottenere la democrazia. E gli Stati Uniti erano l’unica
superpotenza del mondo, limitavano le ambizioni geopolitiche dei dittatori e li
incentivavano persino a governare con mano leggera. I cambiamenti degli ultimi
tre decenni hanno fortemente ridimensionato il fascino della democrazia. Chi è
interessato soprattutto alla ricchezza materiale oggi può desiderare di vivere
in paesi autocratici ricchi come la Cina o gli Emirati Arabi Uniti; per molti
cittadini dei paesi più poveri del mondo il sogno del benessere non è più
associato al sogno di vivere in una democrazia. Molte democrazie oggi
sperimentano aspre divisioni interne e sfide significative alla loro stabilità;
questo deterioramento delle istituzioni democratiche è evidente negli Stati
Uniti. E a sfidare il potere del mondo democratico oggi ci sono l’ascesa della
Cina e il desiderio di rivalsa della Russia; i dittatori di tutto il mondo
possono rivolgersi ai regimi autoritari in ascesa per ottenere investimenti
economici, forniture militari e legittimazione internazionale. Tutto ciò può
contribuire a spiegare perché i dittatori stanno gettando la maschera. Mentre
le truppe russe avanzano verso Kiev, la democrazia non è più l’unico gioco
sulla scena globale. Ne consegue che nei prossimi decenni non assisteremo solo
allo scontro fra democrazie e autocrazie in territori chiave come l’Ucraina.
Vedremo anche i difensori della democrazia contrapporsi a coloro che rifiutano
apertamente la presunta decadenza dell’autodeterminazione dei popoli.
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