Della “Dignità”
che va riconosciuta a ciascuno degli esseri umani ne ha scritto Francesco Occhetta
sul settimanale “L’Espresso” del 13 di febbraio ultimo: La dignità - dal latino dignitas,
meritevole e degno - è come l'aria: ne scopri l'importanza solo quando ti viene
a mancare. Ma è anche come un "fuoco interiore" che non si spegne,
nemmeno quando gli altri cercano di calpestare i tuoi diritti o di toglierti la
vita. La dignità non si può sopprimere. (…). Nella Costituzione è la parola che
illumina le altre. Per questo lo Stato è chiamato a garantirla (nei fatti)
mentre il potere politico la dovrebbe aggiornare nel tempo rimuovendone gli
ostacoli. Sul tema si sono riempite intere biblioteche. Per Paul Ricoeur la
dignità è «dovuta all'essere umano per il semplice fatto che egli è umano», per
Hannah Arendt è il «diritto ad avere diritti»: per la filosofia non è
"qualcosa'' che ha un prezzo, ma è "qualcuno" che ha
"valore" e merita rispetto. La tradizione biblica l'ha elevata alla sua
massima potenza perché uomo e la donna sono creati «a immagine e somiglianza di
Dio» e accumunati dallo stesso destino. Ma per Kant occorre scegliere: «Agisci
in modo da trattare l'umanità, così nella tua persona come nella persona di
ogni altro, sempre nello stesso tempo come un fine e mai semplicemente come un
mezzo». Altrimenti l'oblio è dietro l'angolo. I moderni campi di
concentramento, come i campi profughi o alcune carceri nascono proprio per
cancellare la dignità. I nazisti chiamavano i loro prigionieri «pezzi», oggetti
e numeri senza nome. Ma il pianista Olivier Messiaen durante la sua prigionia
componeva musica; Giovannino Guareschi raccontava storie ai suoi compagni. Tutto
questo grazie alla loro dignità. Dire dignità nel secolo della "terza
guerra mondiale a pezzi" è desiderare di essere umani. Sì perché la
dignità è la sorella maggiore della solidarietà e della libertà e nemica
dell'intolleranza e della prepotenza. Il resto è noto: chi nega la dignità
degli altri, prima o poi finisce per perdere anche la propria. Di seguito,
la preziosissima riflessione di Gad Lerner - “La pantomima dell’Occidente” - sugli avvenimenti ucraini di questi
perigliosi nostri giorni che è al contempo testimonianza umana e personale dell’Autore,
riflessione/testimonianza - riportata su “il Fatto Quotidiano” di ieri
mercoledì 16 di febbraio 2022 - che lacera le carni ancor oggi a chi è stato privato
dell’essenza propria degli umani che è la “dignità”: Nessun soldato occidentale morirà
per Kiev e il primo a saperlo era Putin, memore della ritirata disonorevole
della Nato da Kabul, neanche sei mesi fa. La messinscena di un'alleanza
atlantica ricompattata contro il nemico russo non può risultare credibile dopo
la figuraccia afghana che ha svelato al mondo quanto poco valgano ormai le
promesse e la capacità dissuasiva della Nato. Su tale convinzione Putin ha
basato il suo minaccioso azzardo. Che si trattasse di una mossa propagandistica
lo ha capito anche Volodymyr Zelenski, l'attore comico divenuto presidente
dell'Ucraina, non a caso impegnato da giorni a smentire l'allarme invasione di
Joe Biden. Le diplomazie europee, in barba ai proclami formali di lealtà, si
sono smarcate dal presidente Usa, relegando nell'anacronismo i dottor
Stranamore cui non è sembrato vero di poter riesumare sui mass media il
linguaggio vintage della Guerra Fredda. Peccato che questa de-escalation non
rappresenti una buona notizia per gli ucraini, ai quali potrebbe toccare presto
il colpo basso dell'annessione russa del Donbass. Continueranno a vedersela con
le mire imperiali di Mosca come tocca loro da secoli, ben prima del comunismo.
Da quando nel 996 il regno Rus' si convertì al cristianesimo sulle rive del
Dnepr, assumendo Kiev come fonte battesimale della grande Madre Russia, e loro
venivano chiamati cosacchi, tatari o ruteni, il destino di questo crogiuolo di
nazionalità, chiese, alfabeti li ha visti mescolarsi ai russi, ai polacchi, ai
te-deschi, agli armeni e agli ebrei in città cosmopolite; o disperdersi nelle
steppose regioni cerealicole che negli anni Trenta del secolo scorso, per colpa
della guerra di classe scatenata dai comunisti sovietici ai kulaki, i piccoli
proprietari, conobbero l'ecatombe dell'holodomor, la peggiore delle carestie.
Si calcola che tra guerre, fucilazioni di massa e per fame, l'Ucraina abbia
contato 17 milioni di morti nel Ventesimo secolo. Il seguito di quella tragedia
destabilizza ancora il mondo contemporaneo. Gli ucraini non si libereranno mai
dei russi perché con loro si sono sposati e hanno fatto figli, sono i vicini di
casa immigrati dopo la rivoluzione bolscevica e dopo la carneficina della
Seconda guerra mondiale. La guerra con Putin non sarebbe dunque un'invasione
dai confini ma l'estensione di un conflitto fratricida come quello già in corso
nel Donbass. La degenerazione post-sovietica dell'Ucraina è il buco nero
d'Europa, il precipizio dove va a perdersi la nostra cattiva coscienza. Là dove
nel Novecento si perpetrò l'amputazione delle nazionalità conviventi, oggi
allignano la corruzione, il mercato nero dell'energia e il fanatismo. Prendiamo
la regione occidentale di Leopoli, dove gli Usa hanno trasferito l'ambasciata
perché si considera la più stabile, per netta prevalenza etnica ucraina e minor
influenza russa. Ebbene, questa apparente tranquillità altro non è che l'esito
di una mutilazione. Per volontà di Hitler fra il 1941 e il 1943 fu annientato
un terzo della popolazione locale, cioè gli ebrei, con l'attiva partecipazione
dei nazionalisti locali arruolati nella Divisione SS Galizien. Nell'immediato
dopoguerra, poi, un altro terzo della popolazione, costituito dai polacchi, per
ordine di Stalin fu deportato verso la Slesia e la Pomerania, al posto dei tedeschi
che ne venivano espulsi: Così la splendida Leopoli dal volto asburgico si è
ritrovata interamente ucraina. Veri e propri trapianti etnici che, unitamente
al genocidio e a 46 anni di regime sovietico, hanno abbruttito regioni un tempo
floride. Terre fertili, riserve petrolifere, scuole e università di
prim'ordine. Al posto loro, tanta desolazione e strascichi di reciproca
ostilità. Un esempio personale: quando da Leopoli sono andato verso i monti
Carpazi a far visita alle fosse comuni in cui giace quasi tutta la mia famiglia
paterna, pochi tornanti sotto quel luogo mi sono imbattuto nel monumento a
Stepan Bandera, tuttora venerato leader antisemita dell'Oun, l'organizzazione
nazionalista che aiutò i nazisti a perpetrare lo sterminio. Insieme a Symon Petljura,
Bandera resta l'eroe dell'indipendentismo ucraino, non importa se di marca fascista:
gli basta che combattessero il comunismo di cui gli ebrei, detti
"giudeobolscevichi", venivano accusati di essere complici. La
rimozione della storia, praticata dallo stalinismo per negazione delle
autonomie nazionali (fu Nikita Krusciov, segretario del Partito comunista
ucraino dal 1938 al 1949, a guidare la repressione), nell'Ucraina indipendente
dal 1991 ha sterzato nella direzione opposta. Nessun libro di testo scolastico
ammette le infamie di cui si macchiarono i nazionalisti alleati di Hitler. Solo
ora a Kiev, non senza polemiche perché si temeva di fare il gioco dei russi, è
stata ammessa la commemorazione dell'"Olocausto dei proiettili"
sull'immensa fossa comune di Babi Yar, dove furono accatastati 34 mila ebrei
uccisi in soli due giorni tra il 29 e il 30 settembre 1941. Né la mattanza si
fermò, superando la soglia di 100 mila morti nei mesi successivi. Nei giorni
scorsi lo schieramento dei contingenti Nato sulla frontiera occidentale
dell'Ucraina, in Romania, Ungheria, Slovacchia e Polonia è stato meramente
simbolico. Altrove sono posizionate a tenaglia le truppe di Mosca. A nord, sul
confine con la Bielorussia, poco distanti da Charkiv, città con alta percentuale
di popolazione russa, non a caso sede del governo sovietico dal 1917 al 1934. A
sud con la flotta che presidia il Mar Nero minacciando Odessa, la patria di Lev
Trockij e Isaak Babel (come il cristianesimo, anche la rivoluzione russa ha
avuto forti radici in Ucraina). Ma è soprattutto a est che dal 2014, quando
un'azione di forza ricongiunse alla madrepatria russa la Crimea donata da Krusciov
nel 1954 all'Ucraina, mai si è smesso di combattere. Qui sono sorte le
"repubbliche popolari" di Donetsk e di Luhansk, foraggiate da Mosca e
contraddistinte da un nazionalismo fanatico che attira le simpatie dell'estrema
destra europea, con tanto di volontari stranieri arruolati nelle loro file.
Paradossalmente, anche il nazionalismo antirusso di chi le combatte s'identifica
nella medesima radice fascista. Nel 2013 fu improvvidamente bocciato un
trattato di stabilizzazione e adesione dell'Ucraina all'Unione europea. Da
allora, per scongiurare il pericolo di ricadere sotto la "sovranità
limitata" di Mosca, una classe dirigente ucraina imbelle e corrotta ha
fatto suo l'obiettivo di entrare nella Nato. Una scorciatoia pericolosa di cui
oggi si è manifesta l'inefficacia.
"Superare la povertà non è un gesto di carità. È un atto di giustizia. È la tutela di un diritto fondamentale, il diritto alla dignità e a una vita decente". (Nelson Mandela). "La vita di ogni essere vivente è sacra e bisogna averne il massimo rispetto". (Albert Schweitzer). "Non c'è rispetto per gli altri, senza umiltà in se stessi". (Henri Frederic Amiel). "Ciascun volto è il simbolo della vita. E tutta la vita merita rispetto. È trattando gli altri con dignità che si guadagna il rispetto per se stessi". (Tahar Ben Jelloun). "Il rispetto delle persone implica l'accettazione di tutto ciò che è diverso da noi.E su questo non si può mai discutere". (Anonimo). "Un umanesimo ben ordinato non comincia da se stessi, ma pone il mondo prima della vita,la vita prima dell'uomo, il rispetto degli altri esseri prima dell'amor proprio".(Claude Levi-Strauss). Carissimo Aldo, questo tuo preziosissimo post, così attuale, racchiude un invito pressante a riflettere sul desiderio "di essere umani", che purtroppo sembra ormai, quasi completamente scomparso nella società e nella politica... Grazie e buona continuazione.
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