"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 28 febbraio 2022

Paginedaleggere. 93 «Lo spione e il comico».

Tratto da “Lo spione e il comico: la guerra dei due Vladi” riportato su “il Fatto Quotidiano” di ieri, domenica 27 di febbraio 2022:

“Lo spione” di Pino Corrias: (…). Putin viene dal ghiaccio della Guerra fredda, ma ha imparato a non temere quella calda. Ha spianato col fuoco la Cecenia. È entrato con i carri in Georgia. Si è preso la Crimea e il Donbass. Ha cancellato, con il polonio o con il piombo, ogni forma di op-posizione interna. Ha piegato al suo servizio gli oligarchi. Ha punito persino le atletiche interferenze delle Pussy Riot, spedite a rivestirsi in Siberia. La sua storia contiene enigmi e spiegazioni. È nato a Leningrado il 7 ottobre del 1952. Madre impiegata, padre operaio. Quartiere di casermoni a schiera. Due fratelli maggiori morti di malattia. Lui abbastanza duro da sopravvivere. "Ho passato l'infanzia in strada e nei cortili. Ho imparato a difendermi". Frequenta il liceo e la palestra. A vent'anni è cintura nera di Judo. "Il Judo mi ha insegnato la flessibilità. Che significa sfruttare le debolezze dell'avversario a tuo vantaggio". Dopo la laurea in Giurisprudenza, nel 1976 entra nel Kgb, i servizi segreti sovietici: "Era il mio sogno". Studia tedesco. Perfeziona le tecniche di controllo e archiviazione. Sua prima destinazione: Dresda, Germania Orientale, anno 1985, a spiare le vite degli altri con i cugini della Stasi. Ha attitudine al comando. Conosce gli uomini e le loro debolezze, sa sfruttarle a suo vantaggio. Diventa tenente colonnello. Quando la Germania implode si toglie di dosso la polvere del Muro e torna in Russia, dove Gorbaciov sta dismettendo l’impero invaso dalla ruggine e dal disordine. Scansa i molti complotti in corso. Costruisce la sua rete di alleanze tra i militari. Veste giubbotti di pelle, guida auto veloci, ascolta gli Abba. Si mette nella scia di Anatolj Sobcek, sindaco di Pietrotroburgo, che lo inizia alla politica professionale. Entra come deputato nella Duma, e poi nell’orbita di Eltsin che ha piegato a colpi di cannone i disordini del 1993, ma che non riesce a fronteggiare l’assalto degli oligarchi al petrolio, al gas, alle miniere, ai cantieri navali. Oltre agli arsenali che valgono oro nel mercato clandestino delle guerriglie planetarie, comprese quelle delle grandi mafie. Primeggia per freddezza nell'emergenza. Quando il rublo e la guerra in Cecenia vanno in malora, anno 1997, Eltsin gli affida la guida dell'Fsb, i nuovi servizi segreti che sono il perfezionamento di quelli vecchi. Ma è nell'ultima notte del secolo, il 31 dicembre 1999, che Putin diventa l'uomo del nuovo millennio. Il vecchio Eltsin lo nomina presidente ad interim in diretta tv, sgocciolando parole confuse e barcollando per la vodka: "Mi dimetto. Ci vuole un uomo giovane, forte, deciso". Putin è pronto per abitare da solo gli immensi saloni del Cremlino. Dirà: "Quella notte ho preso su di me la vita di milioni di persone. Era il mio destino e dovevo accettarlo". Il giorno dopo è sul fronte ceceno, a motivare l'esercito fino ad allora sconfitto. Riorganizza gli Spetsnaz, i reparti d'assalto delle Forze speciali, li incita alla repressione più dura, che vuol dire rastrellare e cancellare tutti i Paesi della rivolta, nessun prigioniero. Tre mesi dopo vince le elezioni con il 70 per cento dei voti. Promette benessere incoronato da un nuovo inno alla nazione. Fa ordine tra gli oligarchi: arricchitevi, ma senza interferire con la politica. Prova a disobbedirgli Michael Khodorkovsky, padrone della Yukos, l'uomo più ricco della Russia. Lo fa arrestare di notte per frode fiscale. Il tribunale lo condanna a nove anni di lavori forzati in Siberia. Tutto il suo impero viene requisito dallo Stato. L'esempio funziona a meraviglia. Chi esita sceglie l'esilio dorato a Londra. Chi ci sta, si inchina e ringrazia con generosi omaggi. Identico pugno di ferro con il terrorismo. Risolve con il gas l'assalto di un commando ceceno al teatro Dubrovka, Mosca, anno 2003, 130 civili sacrificati come danni collaterali. Addirittura 330 morti, di cui 186 bambini, quando le sue Teste di cuoio entrano nella scuola di Beslan, Ossezia del Nord, anno 2004, sequestrata da 32 fondamentalisti islamici. Controlla e isola i dissidenti. Qualche volta li cancella. Anna Politkovskaja, la giornalista che aveva denunciato le atrocità in Cecenia, viene uccisa con quattro colpi di pistola, dentro l'ascensore di casa. L'ex spia Litvinenko, che accusa Putin di essere il mandante degli attentati a Mosca, viene avvelenato a Londra. Ignora le accuse. E intanto rimette in moto l'economia. Moltiplica il Prodotto interno lordo. Il reddito annuo sale a 29 mila rubli. Il benessere e non solo il controllo gli garantiscono i suoi quattro mandati presidenziali. Governa con i ministri più fidati, ma prende decisioni in proprio. Tutto concorre alla sua epica imperiale: va a cavallo a torso nudo, nuota nei laghi ghiacciati, gioca a Hockey, spara al poligono, va a caccia dell'orso, ma difende la tigre bianca della Siberia. Secondo la Cia è l'uomo più ricco del mondo. Patrimonio stimato: 200 miliardi di dollari. La sua nuova residenza a Gelendzik, sul Mar Nero, svelata dal dissidente Alexei Navalny, è più grande del Cremlino. Frequenta solo egoarchi, il turco Erdogan, il bielorusso Lukashenco, il nostro Berlusconi che ora fa finta di niente. Nessuno sa mai dove dorma o viva. Ha una moglie, due figlie. Ma compare sempre solo. In quella che i servizi segreti inglesi chiamano “modalità bunker” e che finirà per soffocarlo. Prima di quando altro sangue, lo vedremo.
“Il comico” di Leonardo Coen: (…). Dal 24 febbraio, da quando cioè Mosca ha sferrato il colossale attacco all'Ucraina, Volodymyr Zelensky, il comico che volle farsi presidente, è divenuto l'eroe di un popolo che resiste ai bombardamenti russi, anche a costo di sacrificare la propria vita, come i 13 doganieri dell'Isola dei Serpenti che hanno mandato affanculo la Marina russa perché chiedeva la loro resa. O come il geniere che s'è fatto esplodere per distruggere un ponte, impedendo l'avanzata dei tank russi. "Abbiamo resistito e risposto con successo all'attacco del nemico", comincia Zelensky, mostrandosi in pile e maglietta militare. Il comico che era in lui è morto e sepolto. Come il presidente naif che chiedeva a Putin un incontro "da uomo a uomo". Il nuovo Zelensky è risoluto. Non ha abbandonato Kiev, come affermano le fake news del web. Replica alle menzogne con un video girato davanti alla Bankova, il Quirinale ucraino. In un altro video, scuote le coscienze addormentate dell'Europa: "Il popolo ucraino merita e ha il diritto di entrare a far parte dell'Ue". Sta di fatto che l'uomo delle risate si è trasformato nel Macron del Dnepr. Zelensky, infatti, ammira il presidente francese, cui si ispira. Il capo dell'Ucraina impara in fretta. Storia, geopolitica, rapporti di forza militare devono essere affrontati con coraggio, dignità, fierezza. Sono tempi selvaggi, conta dimostrare fermezza sul sentiero della guerra. Lo dice agli ucraini. E all'Occidente pavido. Un'inaspettata trasformazione. Sino a pochi giorni fa i pregiudizi nei confronti di Zelensky erano ancora piuttosto diffusi. Quali garanzie politiche e diplomatiche poteva dare un divo della tv che nel 2012 arrivò a guadagnare sino a 15 milioni di dollari l'anno (fonte: Forbes Ukraine) e che era più aduso ai conflitti del set che non a quelli bellici? Le circostanze straordinarie. In cui l'Ucraina è ostaggio e vittima della geopolitica. La volontà di Putin di cambiare l'ordine del mondo. L'Ucraina è un test, dice Zelensky, poi toccherà ad altri. Zelensky ha il senso teatrale delle parole. È passato dalla comicità alla tragedia in due anni e mezzo. Poi, negli ultimi due mesi, all'epica: "Non deporremo le armi, difenderemo il nostro Paese, perché la verità è la nostra arma, la verità è che questa è la nostra terra, il nostro Paese, i nostri figli. Noi difenderemo tutto ciò". Per decifrare l'irresistibile ascesa di Volodymyr Zelensky, classe 1978, bisogna guardare le 51 puntate di una serie tv (tre stagioni) che Netflix dovrebbe acquistare al volo: Sluha Narodu, "il servitore del popolo", andate in onda dal 16 ottobre 2015 al marzo del 2019 in Ucraina sul canale Kvartal 95 e in Russia su 1NT, ma inedite altrove. Laddove il protagonista è Vassili Goloborodko, maldestro professore di liceo incarnato da Zelensky. I suoi allievi lo filmano mentre si scatena contro gli oligarchi e la corruzione. Il video diventa virale, il successo nei social network catapulta, suo malgrado, il prof alla Bankova. Vassili diventa presidente. Come Zelensky, meno di quattro anni dopo. Col 73,2% dei voti: un plebiscito. La fiction fatta realtà. Il presidente vero combatte corruzione e oligarchi. Come il presidente finto. La realtà, tuttavia, è peggio: i nemici di Zelensky lo mandano in rotta di collisione con Mosca. Lo accusano di essere un populista arrogante e anti-russo. Mosca e i secessionisti gli rinfacciano d'aver dato corda ai neonazisti, di averli insediati al governo. I neonazisti ucraini sono l'l per ceto, non siedono in Parlamento, come invece accade altrove in Europa. Appena eletto, Zelensky incappa in una gaffe tremenda. Trump per 400 milioni di dollari in armamenti, pretende un'inchiesta sulla società del gas Burisma in cui opera il figlio di Joe Biden. Scandalo. Fa però passare una legge che impedisce agli oligarchi di finanziare i partiti. Toglie l'immunità ai deputati. Sulla questione del Donbass, che in campagna elettorale aveva promesso di risolvere, sbatte tuttavia contro Putin. Nel 2021, Zelensky caccia tre media russi e mette agli arresti domiciliari l'oligarca Viktor Medvedchuk: la figlia ha per padrino Putin. Si scava la fossa. Eppure, Zelensky aveva vissuto a Mosca in anni cruciali, dal 1997 al 2003, proprio quando Putin scalava il potere. Così come aveva vissuto la transizione post-sovietica nella sua Kryvyi Rih, grosso centro industriale e minerario a sud di Kiev, famosa anche per essere la città più lunga d'Europa (si snoda per 126 chilometri) preda della criminalità, con i re del carbone e dell'acciaio che intessevano stretti rapporti con Mosca. Di famiglia russofona, nonno militare dell'Armata Rossa, parenti ingegneri sovietici, di origini ebree, Zelensky ha più cultura russa che ucraina. A Mosca diventa ricco e famoso. Ma quando Putin annette la Crimea alla Russia, Zelensky rompe ogni rapporto con Mosca. L’anno dopo crea la serie tv che lo consacra. I sondaggi lo indicano probabile presidente. Lui si candida il 31 dicembre 2018. Coltiva la sua immagine anti-sistema. La gente si fida. Come oggi, col nemico che lo ha identificato “obiettivo numero 1 e la sua famiglia numero 2”.

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