"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 23 febbraio 2022

Virusememorie. 88 «Uscita dal lockdown, la signora Dalloway di Virginia Woolf è presa da una voglia incontenibile di shopping».

Dalla terza di copertina del volume “Racconti contagiosi” di Siegmund Ginzberg – Feltrinelli editore (2020), pagg. 329, euro 18 -: Uscita dal lockdown, la signora Dalloway di Virginia Woolf è presa da una voglia incontenibile di shopping. Il Decameron di Boccaccio si svolge attorno a un distanziamento sociale volontario nei giorni della peste. Romeo e Giulietta di Shakespeare muoiono a causa di un eccesso di polizia sanitaria. Il cardinale Borromeo di Manzoni aveva inventato la messa cantata dai balconi. La fantascienza aveva anticipato virus più perfidi del corona. È stata l'Italia a inventare nel Trecento le prime misure per fermare il contagio. Aveva i migliori medici, fu lodata e imitata nel resto d'Europa. Ma non bastò a impedire una decadenza di parecchi secoli. Quarantena, distanziamento sociale, stop ai teatri, alle taverne e alle feste sono sempre stati molto impopolari. Pesti, epidemie, contagi ce li raccontiamo da sempre. Probabilmente da millenni prima che si cominciasse a scriverne. I racconti si somigliano. E soprattutto somigliano alle cronache dei nostri giorni. Boccaccio copia Tucidide, Lucrezio e Ovidio, London aveva copiato da Poe e da Mary Shelley. Camus usa la Peste inventata per parlare dell'invasione nazista. Il male non viene chiamato allo stesso modo. Non sappiamo nemmeno se si tratti delle stesse malattie. A un secolo di distanza sappiamo poco della Spagnola. E non abbastanza del Covid. C'è qualcosa di profondamente umano che accomuna tutte le narrazioni: la paura, l'orrore, la ricerca del colpevole, le fake news e i rimedi bislacchi, ma talvolta efficaci. Per un paio di secoli dopo il Decameron i testi medici indicavano il raccontarsi storie e lo stare allegri come profilassi contro il contagio. Ci sono molte sorprese nelle strade dell'immaginario (…). Talvolta la fantasia l'azzecca più della scienza. I cronisti antichi più dei contemporanei. Tutti quanti, però, hanno in comune una strategia per convivere con l'epidemia: disinnescarla con gli strumenti potentissimi della narrazione. Di seguito, “Quanto sarà Long il Covid” di Alex Saragosa, pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 18 di febbraio 2022: Francesca, 40 anni, è bloccata da una stanchezza devastante, Luca, 55 anni, ha forti mal di testa e la mente confusa, Gianni, 32 anni, soffre di dolori articolari, Alice, 28 anni, è preda di una grave depressione, Roberta, 41 anni, è tormentata da continui disturbi gastrointestinali, Laura, 18 anni, può mangiare solo con le finestre aperte perché l'odore del cibo la disgusta, mentre Mara, 61 anni, sta sviluppando una psicosi con manie di persecuzione. Sembra impossibile, ma questo assortito campionario di sofferenze ha un'unica causa: il Covid-19 (nelle varianti precedenti alla Omicron, sulla quale ancora non si hanno dati). Parliamo di pazienti che non hanno mostrato questi sintomi durante l'infezione, ma che hanno cominciato a soffrirne settimane dopo l'essere tornati negativi, e che, in molti casi, continuano ad esserne affetti anche a più di un anno di distanza. È il Long Covid, una bomba a orologeria che sta lentamente innescandosi dietro le centinaia di milioni di contagiati, e che, secondo la ministra della Salute finlandese Krista Kiuru, si configura come la più grande minaccia alla salute pubblica dei prossimi anni. La ragione dell'allarme è che il Long Covid colpisce almeno il 10 per cento dei pazienti: il britannico Office for National Statistics ha censito a dicembre 2021 1,3 milioni di malati di Long Covid su 12 milioni di infezioni. Il che suggerisce che anche in Italia dovremmo avere circa un milione di persone con questa sindrome. Il "veleno in coda" del coronavirus è l'argomento di Il lungo Covid (Utet, pp. 240, euro 18), saggio della giornalista scientifica di formazione farmacologica Agnese Codignola. "Di Long Covid si è cominciato a parlare fin dai primi mesi della pandemia, quando ci si accorse che molti pazienti, anche dopo la scomparsa del virus, continuavano a stare male a causa di una incredibile varietà di sintomi: uno studio uscito su Nature riguardante 73 mila veterani Usa, reduci dall'infezione, ne ha contati 379 diversi" spiega Codignola. "Inizialmente, però, non erano presi sul serio: i medici pensavano si trattasse di suggestione o delle conseguenze del trauma psicologico della malattia. Tanto più che questa sindrome colpisce soprattutto le donne, il che non ha mancato di produrre vergognose allusioni al fattore 'isterismo'". Altro comune equivoco è quello di confondere il Long Covid con le conseguenze dei danni diretti della malattia grave e dei lunghi ricoveri. "Tutte le lungodegenze, soprattutto se in terapia intensiva, richiedono poi mesi per riprendersi, ma il Long Covid è un'altra cosa: chi ne soffre ha spesso avuto l'infezione in forma lieve o asintomatica, tanto che si sospetta che molti casi non siano neppure riconosciuti come tali, perché la persona non si è neanche accorta di aver incontrato il virus". Nonostante l'infezione possa essere lieve, le conseguenze di ciò che accade dopo spesso sono devastanti. Secondo il documento Oms Post Covid Condition, il sintomo più tipico è la fatigue, una spossatezza invincibile, che, soprattutto se si somma ad altri sintomi comuni, come dolori alle articolazioni e al petto, affanno e brain fog, cioè nebbia mentale, impossibilità di pensare chiaramente, trasformano improvvisamente persone giovani e attive in invalidi da accudire. In questo quadro non sorprende che anche la depressione vi sia spesso associata. "Ma attenzione, questa può certo essere dovuta alle sofferenze e alla mancanza di cure, ma il Long Covid è caratterizzato da una forte infiammazione in vari organi, fra cui il cervello. I danni al sistema nervoso causano quindi sintomi cognitivi e neurologici, fra cui la stessa depressione, ma anche manifestazioni drammatiche, come psicosi o demenze, o molto strane, come le parosmie, alterazioni dell'olfatto, che fanno percepire come gradevoli odori disgustosi e come insopportabili quelli un tempo graditi, rendendo i rapporti sociali e l'alimentazione molto complicati". Che cosa sia a provocare questa infiammazione sistemica è ancora un mistero: alcuni pensano sia un risultato della violenta risposta immunitaria a un patogeno sconosciuto come il Sars-CoV-2, altri che derivi dalla persistenza del virus, nascosto in certi organi. C'è poi chi ipotizza che sia in realtà diretta contro virus dormienti negli esseri umani, come il citomegalovirus o l'Epstein-Barr (mononucleosi), risvegliati dal Covid-19, e c'è infine chi ritiene che l'attacco contro Sars-CoV-2 degeneri in autoimmunità, cioè nella produzione di anticorpi diretti contro proteine dell'organismo, simili a certe del virus, innescando così infiammazione e danni diffusi. Il ruolo positivo del vaccino.  "Quest'ultima ipotesi è la più seguita, sia perché in chi soffre di Long Covid si registrano spesso livelli molto alti di autoanticorpi, sia perché questa sindrome colpisce soprattutto le donne, più soggette a malattie autoimmuni. Inoltre un recente studio condotto dall'epidemiologo Michael Edelstein, dell'israeliana Bar-Ilan University, segnala che la vaccinazione contro Sars-CoV-2 rende meno probabile il Long Covid in chi si infetta, mentre ci sono segnalazioni di persone che lo hanno superato dopo essersi vaccinate. Questo potrebbe voler dire che il vaccino previene o ripara la disfunzione immunitaria alla base del Long Covid. Ma è probabile che più cause si intreccino in ogni paziente, creando un insieme variabile di sintomi, di gravità e di durata della sindrome". In effetti una ricerca condotta da un gruppo di ricercatori diretti da Yapeng Su del Cancer Research Center di Seattle ha scoperto quattro fattori predisponenti: il diabete di tipo 2, la presenza di altri virus silenti, un eccesso di autoanticorpi e un'alta carica di Sars-CoV-2 al momento dell'infezione, una conferma che sono all'opera cause molto diverse. Successe anche a fine '800. "Questo non è comunque il primo caso in cui una malattia virale provoca in tanti un lungo strascico di sintomi. Per esempio successe con l'"influenza russa", causata forse da un altro coronavirus, che colpì l'Europa nel 1889-95: anche in quel caso, oltre a un milione di morti, si ebbero migliaia di "guariti" affetti da disturbi simili a quelli del Long Covid. E anche altre strane e più recenti sindromi, come quella della "fatica cronica", si sospetta derivino da precedenti infezioni virali. In questo, almeno, il Long Covid sarà utile: attraverso il suo studio, si arriverà a trovare non solo cause e cure di malattie che erano rimaste finora "orfane" perché poco comuni, ma si arriverà anche a comprendere meglio il nostro complicatissimo sistema immunitario" dice Codignola. Intanto, però, occorrerà trovare terapie per il Long Covid stesso, compito arduo, vista la sua variabilità. Ne sa qualcosa il pediatra Danilo Buonsenso, dell'Ospedale Gemelli di Roma, fra gli autori di uno studio che ha indicato come il 3-4 per cento dei 630 bambini lì ricoverati per Covid abbia poi sviluppato la sindrome. "In generale stimiamo che il Long Covid si manifesti in circa l'1 per cento dei bambini, ma è grave perché ostacola attività fisica, studio e socializzazione nel periodo critico della crescita. Purtroppo ci sono ancora medici che non lo riconoscono. Per questo molti genitori ci chiamano da tutta Europa: noi li prendiamo sul serio, e già l'ascolto e la comprensione sono l'inizio della cura. Procediamo poi con analisi sui pazienti, per escludere altre patologie, e, con un approccio multidisciplinare, costruiamo percorsi di cura personali per tenere i sintomi sotto controllo e far tornare i bambini a una vita quasi normale, in attesa che la sindrome si risolva". Il futuro: ambulatori diffusi. Il che, per fortuna, avviene spesso: solo il 6 per cento circa dei bambini con Long Covid ha ancora sintomi dopo un anno. "L'approccio multidisciplinare sarà la risposta migliore" conclude Codignola. "Applicarlo a milioni di casi è una sfida per i sistemi sanitari, e potrebbe anche portare a quella rivoluzione nelle cure mediche, da tutti invocata, che mette al centro le esigenze del paziente, facendolo interagire con più specialisti all'interno di ambulatori diffusi sul territorio, volti non tanto a curare le malattie, quanto a prevenirle". (…).

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