"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 3 febbraio 2022

Lamemoriadeigiornipassati. 27 «Nel 1959 abbiamo smesso di essere educate a diventare madri e abbiamo incominciato ad essere educate a diventare oggetti del desiderio altrui».

 

Ha scritto Michele Serra in “Una destra triste”, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 2 di febbraio 2022: Vaghi riverberi di una stagione ormai spenta, riappaiono in tivù i protagonisti, invecchiatissimi, dell'epopea di Papi e delle cene eleganti. Emilio Fede e Lele Mora, segnati dal tempo inesorabile che li separa dai loro anni di gloria, e qualche attempato onorevole che votò pro-nipote di Mubarak e oggi allarga le braccia e sorride impotente, come spetta ai comprimari. Più una intervista, tristissima, a Noemi Letizia, oggi una giovane donna che indossa più cicatrici che ori. Un ulteriore piccolo brivido coglie all'idea che l'artefice di quella commedia un paio di settimane fa era candidato al Quirinale. Ma lascia presto il posto a un sentimento di sconfinata malinconia. Maschi adulti che come principale appeal avevano il denaro e il potere, ragazzuole sgomitanti che strillavano al telefono "vogliamo più soldi!", abbozzi di carriera distrutti, a vent'anni, dalla smania di fare carriera, e i fine-carriera dei cortigiani maschi resi amari da un così modesto scandalo e dal progressivo inaridirsi della cornucopia di Arcore. Ci saranno stati pure dei rapporti umani veri, in quei paraggi, ma non è di quelli che restano le tracce visibili. Degli strascichi giudiziari sono al corrente, oramai, solo gli imputati e i loro avvocati. Ma gli strascichi umani ancora feriscono, e anche impietosiscono, chiunque ascolti, e veda, quegli ex potenti e quelle ex ragazze. Impossibile non ricordare gli anni nei quali il boom di quella destra, di quel mondo, di quell'entourage, poggiava sull'idea che la vitalità e la voglia di vivere fossero cosa loro, perché "la sinistra è triste". Senti chi parla. Scriveva Lidia Ravera il giovedì 3 di febbraio dell’anno 2011 in “Barbie e Berlusconi”, pubblicato sul quotidiano “l'Unità”: Scriveva Germaine Greer: «Ogni donna sa bene che, a prescindere da tutti i traguardi che possa aver conseguito, se non è bella è un fallimento. Sa anche che, per quanto bella possa essere, la bellezza, giorno dopo giorno, furtivamente l’abbandona». Nel 1996 la Mattel informava che, nel mondo, veniva venduta una Barbie ogni 2 secondi. Barbie, per chi se ne fosse scordato, è la bambola che ha sostituito nell’immaginario delle bambine il bambolotto con cui esercitavano il modello materno. È nata 52 anni fa, ha le gambe due volte più lunghe del tronco, un seno due volte più grande della circonferenza, un nasino minuscolo e lunghi capelli dritti come spaghi. Discende dalla pornobambola tedesca Lilli (in costume da bagno, destinata a un pubblico maschile, in vendita nelle tabaccherie). Nel 1959, dunque, abbiamo smesso di essere educate a diventare madri e abbiamo incominciato ad essere educate a diventare oggetti del desiderio altrui. Quando incominceremo a regalare alle bambine un kit per diventare persone? Essere belle per sé e non per trovare un posto nel mondo. Non essere belle senza che questo diventi una difformità punibile con dosi massicce di disprezzo sociale. Essere giudicate in base a ciò che dipende dall’impegno, dal talento e dalla disciplina, non essere giudicate in base all’adesione ad un modello, riduttivo e mai come oggi dominante (Barbie zoccola), oppure alla “freschezza” delle proprie carni (siamo mammiferi, non latticini). Essere giovani senza ansia e mature senza angoscia. Invecchiare come gli uomini: libere e brutte, potenti per accumulo di esperienza, orgogliose delle proprie ferite. Anche inseguendo questo sogno, saremo in piazza in tante. Il 5 febbraio, il 13, per rimuovere l’ostacolo-Berlusconi e andare avanti. Verso la pari dignità.

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