Ha scritto Michele Serra in “Una destra triste”, pubblicato sul
quotidiano “la Repubblica” del 2 di febbraio 2022: Vaghi riverberi di una stagione
ormai spenta, riappaiono in tivù i protagonisti, invecchiatissimi, dell'epopea
di Papi e delle cene eleganti. Emilio Fede e Lele Mora, segnati dal tempo
inesorabile che li separa dai loro anni di gloria, e qualche attempato onorevole
che votò pro-nipote di Mubarak e oggi allarga le braccia e sorride impotente,
come spetta ai comprimari. Più una intervista, tristissima, a Noemi Letizia,
oggi una giovane donna che indossa più cicatrici che ori. Un ulteriore piccolo
brivido coglie all'idea che l'artefice di quella commedia un paio di settimane
fa era candidato al Quirinale. Ma lascia presto il posto a un sentimento di
sconfinata malinconia. Maschi adulti che come principale appeal avevano il
denaro e il potere, ragazzuole sgomitanti che strillavano al telefono
"vogliamo più soldi!", abbozzi di carriera distrutti, a vent'anni,
dalla smania di fare carriera, e i fine-carriera dei cortigiani maschi resi
amari da un così modesto scandalo e dal progressivo inaridirsi della cornucopia
di Arcore. Ci saranno stati pure dei rapporti umani veri, in quei paraggi, ma
non è di quelli che restano le tracce visibili. Degli strascichi giudiziari
sono al corrente, oramai, solo gli imputati e i loro avvocati. Ma gli
strascichi umani ancora feriscono, e anche impietosiscono, chiunque ascolti, e
veda, quegli ex potenti e quelle ex ragazze. Impossibile non ricordare gli anni
nei quali il boom di quella destra, di quel mondo, di quell'entourage, poggiava
sull'idea che la vitalità e la voglia di vivere fossero cosa loro, perché
"la sinistra è triste". Senti chi parla. Scriveva Lidia
Ravera il giovedì 3 di febbraio dell’anno 2011 in “Barbie e Berlusconi”, pubblicato sul quotidiano “l'Unità”: Scriveva
Germaine Greer: «Ogni donna sa bene che, a prescindere da tutti i traguardi che
possa aver conseguito, se non è bella è un fallimento. Sa anche che, per quanto
bella possa essere, la bellezza, giorno dopo giorno, furtivamente l’abbandona».
Nel 1996 la Mattel informava che, nel mondo, veniva venduta una Barbie ogni 2
secondi. Barbie, per chi se ne fosse scordato, è la bambola che ha sostituito
nell’immaginario delle bambine il bambolotto con cui esercitavano il modello
materno. È nata 52 anni fa, ha le gambe due volte più lunghe del tronco, un
seno due volte più grande della circonferenza, un nasino minuscolo e lunghi
capelli dritti come spaghi. Discende dalla pornobambola tedesca Lilli (in
costume da bagno, destinata a un pubblico maschile, in vendita nelle
tabaccherie). Nel 1959, dunque, abbiamo smesso di essere educate a diventare
madri e abbiamo incominciato ad essere educate a diventare oggetti del
desiderio altrui. Quando incominceremo a regalare alle bambine un kit per
diventare persone? Essere belle per sé e non per trovare un posto nel mondo.
Non essere belle senza che questo diventi una difformità punibile con dosi
massicce di disprezzo sociale. Essere giudicate in base a ciò che dipende
dall’impegno, dal talento e dalla disciplina, non essere giudicate in base
all’adesione ad un modello, riduttivo e mai come oggi dominante (Barbie
zoccola), oppure alla “freschezza” delle proprie carni (siamo mammiferi, non
latticini). Essere giovani senza ansia e mature senza angoscia. Invecchiare
come gli uomini: libere e brutte, potenti per accumulo di esperienza,
orgogliose delle proprie ferite. Anche inseguendo questo sogno, saremo in
piazza in tante. Il 5 febbraio, il 13, per rimuovere l’ostacolo-Berlusconi e
andare avanti. Verso la pari dignità.
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