Ha scritto Michele Serra in “Moriremo di indigestione” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica”
del 3 di luglio dell’anno 2021: (…). Ogni essere vivente produce deiezioni,
solo che quelle delle bestie sono natura e nutrimento, la merda è oro dicono in
campagna, è il grande cerchio della vita. Le nostre deiezioni, invece,
intoppano il paesaggio e avvelenano l'aria. Rarissime sono le volte che le
bestie, per catastrofi momentanee, inciampi dell'evoluzione, producono rifiuti
non smaltibili. Morie di pesci, superfetazioni di alghe, eccessi di
proliferazione di questa o quella specie. Noi no, noi siamo un errore
permanente. A ciascuno di noi corrisponde una pazzesca montagna di danni, valutate
quanti caricatori di telefonino o di computer, pro capite, abbiamo destinato
alle discariche africane, dove bambini operosi si scorticano i piedi alla
ricerca di filamenti da rivendere, garimpeiros della (nostra) opulenza. Non si
tratta di agitare sensi di colpa - abbasso i sensi di colpa - si tratta di
ragionare sulla realtà delle cose. La catena dei consumi è demente in partenza,
perché si fonda sulla seduzione dell'inutile. L'idea di regolare meglio il
meccanismo è virtuosa, e a quell'idea siamo tutti disperatamente aggrappati.
Sogniamo discariche efficienti, smaltimenti benefici, un futuro green, che fa
anche fico. Certe volte però ci prende lo scoramento. (…). …non moriremo di
meteorite, ma di indigestione. Di seguito, “Violentando la Natura, ci estingueremo come api” di Massimo Fini
pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri venerdì 18 di febbraio 2022: Camminate
sullo stretto sentiero di un bosco. È scesa la sera, è iniziata la notte. Il
buio e il silenzio, abbastanza impressionante per chi viene dalla città,
inducono alla meditazione. Ma man mano che procedete e le vostre orecchie si
fanno più attente sentite un rumore di sottofondo un po' inquietante. Che
cos'è? Acufene? O venite da una lettura recente di un racconto di Buzzati dove
tutto, anche le più normali cose, assume un aspetto angosciante? O è forse il
ronzio delle api che, anche nottetempo, stanno organizzando, in modo militare,
il loro alveare con ordini precisi e inderogabili che riguardano le operaie, le
infermiere, i fuchi destinati alla morte, sia quelli che perderanno la partita
sia il solo che riuscirà a fecondare l'Ape Regina soccombendo subito dopo
l'amplesso, o l'Ape Regina stessa? Ordini che nessuno ha dato, ma rispondono a
quella che l'entomologo Jean-Henri Fabre ha definito "la Legge" e che
noi chiameremo più semplicemente l'istinto. No, quello che sentiamo in
sottofondo non è il classico ronzio delle industriose api. È piuttosto un cric,
crac, uno sbocconcellare di qualcuno, migliaia di qualcuno, nascosto nel tronco
degli alberi o nelle loro radici. Sono "i divoratori della foresta",
un cerambice eroe, cioè un tarlo, un cervo volante, uno scolito, una saperda,
un sirice. Questi insetti, minuscoli, sbocconcellano il legno dell'albero o la
sua cellulosa, sia per alimentarsi sia per trovare cavità più profonde dove
starsene al sicuro. Sbocconcella un giorno, sbocconcella un altro, l'albero,
dai e ridai; cadrebbe stecchito a terra. E in effetti qualche vecchio pioppo,
abitato dalla saperda, ogni tanto crolla a terra, come ben sappiamo. Ma in
linea di massima i boschi e le foreste rimangono intatti. Com'è possibile? È
possibile perché questi insetti, e mille altri che si potrebbero nominare,
hanno un antagonista, un parassita chiamato icneumone che distrugge i
"distruggitori". Se non esistesse l'icneumone, le piante, i boschi, le
foreste, rase al suolo, non potrebbero mettere in atto la loro vitale funzione
dello scambio fra anidride carbonica e ossigeno. E quindi senza il minuscolo
icneumone non perirebbero solo le foreste ma anche l'uomo cui l'ossigeno è
indispensabile. Questa favoletta, che favoletta non è, ci racconta dello straordinario equilibrio con cui la Natura, di cui
l'uomo fa parte, tiene se stessa (…). "La Natura ci parla e sa"
scrive Fabre. Ma è da quel dì che noi non ascoltiamo più la Natura. Da quando
la rivoluzione scientifica del Cinquecento-Seicento (Copernico, Keplero,
Galilei, Newton) ha innescato quella industriale di metà del XVIII secolo,
razionalizzata poi nell'Ottocento dall'Illuminismo sia in versione liberista
che marxista. Da allora l'uomo è stato preso da una ubris, da un delirio di
onnipotenza incontenibile, al cui centro c'è la domanda: che cosa dobbiamo fare
per dominare tecnicamente la Natura e la vita? Ma che senso, e quale, abbia
questo dominio la Scienza, come già notava Max Weber intorno al 1920 (…), non
ce lo dice, lo dà solo come presupposto, un "a priori"
incontestabile. E invece un senso ce l'ha, purtroppo. Ed è quello di portarci
il più rapidamente possibile, alterando costantemente i delicati meccanismi
della Natura (che in realtà è la Tecnica che sovraintende a tutte le tecniche),
verso l'autodistruzione. La biodiversità (come peraltro ogni diversità) è
fondamentale per la sopravvivenza dell'intero ecosistema. È stato calcolato, in
modo ovviamente approssimativo, che le specie vitali, non solo animali
evidentemente (perché tutto ciò che è vivo, che non è minerale, fa parte
dell'ecosistema) fossero circa 11 milioni. Negli ultimi cinquant'anni ne
abbiamo distrutto 1'83 per cento. Finora la Natura è riuscita a metterci, in
qualche modo, una pezza. Di questo ciclo vitale le industriose api sono un
elemento fondamentale e le api stanno via via scomparendo a causa delle
pratiche agricole intensive, l'uso dei fertilizzanti, l'inquinamento e le
elevate temperature dovute al cambiamento climatico. Tout se tient. Diceva
Albert Einstein che il giorno in cui non ci saranno più le api sarà anche
l'ultimo giorno della vita dell'uomo sulla Terra.
Nessun commento:
Posta un commento