Ha scritto Claudia de Lillo – in arte Elasti – in “All'inizio la vita sembra sempre una
commedia”, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica”
del 25 di luglio dell’anno 2015: Negli ultimi anni ho lavorato molto da casa,
ho frequentato luoghi e persone familiari e ho camminato su strade battute, le
cui curve nascondevano molto di rado insidie o sorprese. I binari del mio
andare, confortevoli e noti, procedevano tra volti conosciuti. Avevo perso
l'abitudine all'interazione con mondi estranei, all'aggiustamento ad ambienti
diversi dal mio, al batticuore da primo giorno di scuola. Avevo dimenticato
l'esperienza ansiogena e affascinante dell'irruzione tra sconosciuti, del
tendere la mano e dichiarare «Piacere, Elasti», della paura di non essere
accettati. Per molto tempo è stato tutto facile e piuttosto monotono. Quest'anno
ho cambiato lavoro, ho brevemente cambiato città, ho dichiarato: «Piacere,
Elasti» più di cento volte e, più di cento volte, presentandomi a uno
sconosciuto, mi sono chiesta chi fosse, come fosse e se ci saremmo stati
simpatici. E ho preso coscienza che, con il passare del tempo, il nostro
sguardo nei confronti del prossimo cambia enormemente. «Come vi sembra Teresa?»,
ho chiesto ai miei figli. «Carina». «Un po' vecchietta». «Boh». «E Michele?».
«Ha i piedi troppo lunghi». «Con tanti denti e muscoli». «Un figo pazzesco».
«Di Ivan cosa dite?». «A me sembra pazzo». «A me ha regalato una macchinina».
«A me fa ridere». I giudizi dei bambini sono lapidari, sbilenchi, spesso
bidimensionali ed egocentrici. Quelli degli adolescenti sono spietati, talvolta
sarcastici, noncuranti o distratti. Tra i venti e i trent'anni, con la voracità
di chi ha la vita davanti e il mondo in mano, la socialità è indefessa e
psichedelica, l'ignoto, uno dei mille futuri possibili. In quell'età luminosa,
in cui si plasma la forma del domani, ogni mano tesa è foriera di un'esperienza
prima che di una conoscenza. In quel decennio fecondo non si giudica e ci si
fida. Dopo, quando abbiamo percorso un po' di strada e l'esperienza ci allarga
le spalle senza ancora incurvarle, lo sguardo cambia e si fa meno limpido e più
navigato. Dieci anni fa avevo occhi spalancati e una spavalderia spaccona nel
mio incedere. Felicemente ed energicamente impantanata nei miei progetti e
nella realizzazione dei miei sogni, ero dotata di una superficialità acuta che
mi consentiva, con un'occhiata, di trasformare il prossimo in macchietta, di
identificare gli aspetti universali del particolare e farne un paradigma.
Coglievo immediatamente la caricatura che alberga in ognuno di noi, avevo un
implacabile talento nel creare categorie umane. Intrappolata nella mia
sicumera, ero troppo di fretta, troppo impegnata a costruire me stessa, troppo
sicura della mia capacità di giudizio, per concedermi l'ascolto né tantomeno
l'indulgenza. Allora mi fidavo parecchio del mio intuito e quando, spesso, non
mi era d'aiuto, coprivo il disorientamento con l'ironia o con l'incasellamento
un po' ottuso. Non c'erano grigi nella mia socialità. E oggi? Oggi che non sono
una ragazzina e nemmeno più una giovane donna ma sono una donna e basta, o
forse addirittura una signora, come vedo il prossimo? Nuotando solo nel mio
acquario, era molto tempo che non mettevo alla prova me stessa e il mio
sguardo. E ho scoperto con stupore che è cambiato ancora. Ieri notavo nasoni,
bocche rosse, affettazione, improntitudine, sussiego, piaggeria, vanità,
iperboli ed estremi. E ne sorridevo sempre, con l'approccio distaccato di chi
pensa di abitare altrove. Oggi, nelle persone, ci casco dentro come un pesce
nella rete. E vedo il languore, la tenerezza, la fragilità, lo stupore, la
tristezza e i guizzi felici. Vedo le pieghe, le crepe, le sfumature. Vedo tutti
i grigi. Vedo me stessa allo specchio. Forse il prossimo mi fa meno paura,
forse ora so che nessuna vita regala abbastanza esperienza da insegnare a
riconoscere l'alfabeto altrui, forse mi è sempre più chiaro che siamo tutti
sulla stessa barca ed è meglio tenerci stretti gli uni agli altri. Fatto sta
che oggi, rispetto a ieri e all'altro ieri, l'empatia mi sembra l'unico paio di
occhiali efficace per guardare gli altri. E domani si vedrà. La data dello scritto di Elasti e la data di questo post è una data storica. Si ricorda
con essa la destituzione del “cavaliere nero” da parte del Gran Consiglio del
Fascismo a seguito di una mozione, in quel senso orientata, presentata da uno
dei maggiorenti di quel regime, Dino Grandi. Ha scritto Michele Serra in “I conti aperti col fascismo”, pubblicato
su “il Venerdì di Repubblica” del 23 di luglio 2021: (…). …che l’Italia non abbia mai
fatto davvero i conti con il fascismo non è un argomento di discussione: è
un’evidenza. La dimensione criminale del fascismo non è minimamente percepita
da una vasta parte di italiani. Non so dire se la maggioranza, ma certamente
moltissimi. Di qui – tra l’altro – l’inesistenza di una forte destra liberal-democratica,
ovvero antifascista. Se la nostra incredibile destra oggi è composta nella
quasi totalità da un partito post-neofascista (Fratelli d’Italia) e da un
partito populista, la Lega, certamente non antifascista (e con un leader,
Salvini, fascista nei modi e spesso anche nelle parole), è perché questo Paese,
con il fascismo, non ha mai veramente chiuso. Più che di ipocrisia, penso si
sia trattato di comodità. I conti con la storia sono scomodi, perché spesso
costringono a guardare in faccia prima di tutto se stessi. Durissimi furono i
conti dei comunisti italiani con la propria storia. Si riveda La cosa di Nanni
Moretti, si rileggano i giornali di allora, per cogliere il travaglio umano, la
fatica di rinnegare il nome, la presa d’atto del fallimento tragico dei
totalitarismi nati nel nome del socialismo. Non esiste niente di lontanamente
simile, purtroppo, nella destra italiana. Ho sempre pensato che la differenza
tra fascismo e comunismo sia, prima di tutto, la differenza tra fascisti e
comunisti. Con le debite eccezioni, c’è un diverso livello di serietà umana.
Oggi ci si dichiara fascisti, o mussoliniani, in questo Paese, con grande
spensieratezza. L’imperialismo straccione e genocida, gli omicidi politici,
l’abolizione della democrazia, le infami leggi razziali, l’ecatombe della
guerra di Hitler e Mussolini? Vale il motto fondativo del fascismo: se ne
fregano.
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