"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 25 luglio 2021

Leggereperché. 96 «Nessuna vita regala abbastanza esperienza da insegnare a riconoscere l'alfabeto altrui».

Ha scritto Claudia de Lillo – in arte Elasti – in “All'inizio la vita sembra sempre una commedia”, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 25 di luglio dell’anno 2015: Negli ultimi anni ho lavorato molto da casa, ho frequentato luoghi e persone familiari e ho camminato su strade battute, le cui curve nascondevano molto di rado insidie o sorprese. I binari del mio andare, confortevoli e noti, procedevano tra volti conosciuti. Avevo perso l'abitudine all'interazione con mondi estranei, all'aggiustamento ad ambienti diversi dal mio, al batticuore da primo giorno di scuola. Avevo dimenticato l'esperienza ansiogena e affascinante dell'irruzione tra sconosciuti, del tendere la mano e dichiarare «Piacere, Elasti», della paura di non essere accettati. Per molto tempo è stato tutto facile e piuttosto monotono. Quest'anno ho cambiato lavoro, ho brevemente cambiato città, ho dichiarato: «Piacere, Elasti» più di cento volte e, più di cento volte, presentandomi a uno sconosciuto, mi sono chiesta chi fosse, come fosse e se ci saremmo stati simpatici. E ho preso coscienza che, con il passare del tempo, il nostro sguardo nei confronti del prossimo cambia enormemente. «Come vi sembra Teresa?», ho chiesto ai miei figli. «Carina». «Un po' vecchietta». «Boh». «E Michele?». «Ha i piedi troppo lunghi». «Con tanti denti e muscoli». «Un figo pazzesco». «Di Ivan cosa dite?». «A me sembra pazzo». «A me ha regalato una macchinina». «A me fa ridere». I giudizi dei bambini sono lapidari, sbilenchi, spesso bidimensionali ed egocentrici. Quelli degli adolescenti sono spietati, talvolta sarcastici, noncuranti o distratti. Tra i venti e i trent'anni, con la voracità di chi ha la vita davanti e il mondo in mano, la socialità è indefessa e psichedelica, l'ignoto, uno dei mille futuri possibili. In quell'età luminosa, in cui si plasma la forma del domani, ogni mano tesa è foriera di un'esperienza prima che di una conoscenza. In quel decennio fecondo non si giudica e ci si fida. Dopo, quando abbiamo percorso un po' di strada e l'esperienza ci allarga le spalle senza ancora incurvarle, lo sguardo cambia e si fa meno limpido e più navigato. Dieci anni fa avevo occhi spalancati e una spavalderia spaccona nel mio incedere. Felicemente ed energicamente impantanata nei miei progetti e nella realizzazione dei miei sogni, ero dotata di una superficialità acuta che mi consentiva, con un'occhiata, di trasformare il prossimo in macchietta, di identificare gli aspetti universali del particolare e farne un paradigma. Coglievo immediatamente la caricatura che alberga in ognuno di noi, avevo un implacabile talento nel creare categorie umane. Intrappolata nella mia sicumera, ero troppo di fretta, troppo impegnata a costruire me stessa, troppo sicura della mia capacità di giudizio, per concedermi l'ascolto né tantomeno l'indulgenza. Allora mi fidavo parecchio del mio intuito e quando, spesso, non mi era d'aiuto, coprivo il disorientamento con l'ironia o con l'incasellamento un po' ottuso. Non c'erano grigi nella mia socialità. E oggi? Oggi che non sono una ragazzina e nemmeno più una giovane donna ma sono una donna e basta, o forse addirittura una signora, come vedo il prossimo? Nuotando solo nel mio acquario, era molto tempo che non mettevo alla prova me stessa e il mio sguardo. E ho scoperto con stupore che è cambiato ancora. Ieri notavo nasoni, bocche rosse, affettazione, improntitudine, sussiego, piaggeria, vanità, iperboli ed estremi. E ne sorridevo sempre, con l'approccio distaccato di chi pensa di abitare altrove. Oggi, nelle persone, ci casco dentro come un pesce nella rete. E vedo il languore, la tenerezza, la fragilità, lo stupore, la tristezza e i guizzi felici. Vedo le pieghe, le crepe, le sfumature. Vedo tutti i grigi. Vedo me stessa allo specchio. Forse il prossimo mi fa meno paura, forse ora so che nessuna vita regala abbastanza esperienza da insegnare a riconoscere l'alfabeto altrui, forse mi è sempre più chiaro che siamo tutti sulla stessa barca ed è meglio tenerci stretti gli uni agli altri. Fatto sta che oggi, rispetto a ieri e all'altro ieri, l'empatia mi sembra l'unico paio di occhiali efficace per guardare gli altri. E domani si vedrà. La data dello scritto di Elasti e la data di questo post è una data storica. Si ricorda con essa la destituzione del “cavaliere nero” da parte del Gran Consiglio del Fascismo a seguito di una mozione, in quel senso orientata, presentata da uno dei maggiorenti di quel regime, Dino Grandi. Ha scritto Michele Serra in “I conti aperti col fascismo”, pubblicato su “il Venerdì di Repubblica” del 23 di luglio 2021: (…). …che l’Italia non abbia mai fatto davvero i conti con il fascismo non è un argomento di discussione: è un’evidenza. La dimensione criminale del fascismo non è minimamente percepita da una vasta parte di italiani. Non so dire se la maggioranza, ma certamente moltissimi. Di qui – tra l’altro – l’inesistenza di una forte destra liberal-democratica, ovvero antifascista. Se la nostra incredibile destra oggi è composta nella quasi totalità da un partito post-neofascista (Fratelli d’Italia) e da un partito populista, la Lega, certamente non antifascista (e con un leader, Salvini, fascista nei modi e spesso anche nelle parole), è perché questo Paese, con il fascismo, non ha mai veramente chiuso. Più che di ipocrisia, penso si sia trattato di comodità. I conti con la storia sono scomodi, perché spesso costringono a guardare in faccia prima di tutto se stessi. Durissimi furono i conti dei comunisti italiani con la propria storia. Si riveda La cosa di Nanni Moretti, si rileggano i giornali di allora, per cogliere il travaglio umano, la fatica di rinnegare il nome, la presa d’atto del fallimento tragico dei totalitarismi nati nel nome del socialismo. Non esiste niente di lontanamente simile, purtroppo, nella destra italiana. Ho sempre pensato che la differenza tra fascismo e comunismo sia, prima di tutto, la differenza tra fascisti e comunisti. Con le debite eccezioni, c’è un diverso livello di serietà umana. Oggi ci si dichiara fascisti, o mussoliniani, in questo Paese, con grande spensieratezza. L’imperialismo straccione e genocida, gli omicidi politici, l’abolizione della democrazia, le infami leggi razziali, l’ecatombe della guerra di Hitler e Mussolini? Vale il motto fondativo del fascismo: se ne fregano.

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