A lato. "Veduta toscana", acquerello (2021) di Anna Fiore.
Ha scritto oggi Michele Serra – “Rimarranno solo i gol” – sul quotidiano “la Repubblica”: La retorica a tonnellate, a vagonate, a cargo, rende greve ciò che dovrebbe essere alato: la vittoria.
Non c'è rimedio né salvezza, non c'è scampo
se non nel profondo della foresta e con lo smartphone scarico. E i tronfi festeggiamenti
che gli inglesi avevano in animo di fare, con un giorno di bagordi di Stato
(manco Elisabetta fosse Franceschiello) la dice lunga su quanto il vizio sia
sovranazionale. Non siamo soli al mondo, noi italiani, quando si tratta di
sventolare bandiere fino a slogarsi i polsi e fare cori che incrinano le
tonsille. Bisogna comunque non dargliela vinta, alla retorica, e tenere il
punto, dunque tenerci lo sport. Vincere è bellissimo e lo sport è bellissimo. È
epica allo stato puro, gesto che non ha bisogno di parlarci sopra, solo di
essere descritto, raccontato nel suo farsi. È difficile. Non per niente i
grandi giornalisti e telecronisti sportivi, da sempre, sono fuoriclasse, e i
cattivi giornalisti e telecronisti sportivi non si reggono proprio. Se ci
ricordiamo tutti di "un uomo solo è al comando, il suo nome è Fausto
Coppi", è perché è una frase epica, secca, semplice, ingigantita dalla
purezza della radio. L'alluvione di parole inutili di queste ore scomparirà,
nel tempo, come vapore. Resteranno i gol, le parate, il gioco. In pari
tempo e sullo stesso quotidiano un noto opinionista - Francesco Merlo - si
impegnava in un suo – quasi inutile - “divertissement” prendendo di mira il
tipo di “cretino intelligente (o cretino cognitivo)” che popola le
contrade del bel paese. Una “boutade” nell’intento dell’autore -
che per il vocabolario Treccani “boutade”sta per “(…).
1. Battuta di spirito, osservazione arguta, in
cui la spontaneità e l’immediatezza si uniscono a una punta di paradosso. 2.
Ghiribizzo, capriccio” – o meglio ancora un “calembour” che sempre
per il Treccani è una “freddura fondata su un gioco di parole,
risultante per lo più dalla contrapposizione o dall’accostamento di parole
omografe o polisemiche (per es.: «un professore che, anziché fare lezioni di
economia, fa economia di lezioni»; «un cretino può scrivere un saggio, ma non
viceversa»)”. Bene l’ultima che ho trascritto. Non rimane che andare a
leggere la leggiadra creazione letteraria di quell’opinionista, ahimè, doverosamente,
necessariamente “spurgata” per apprezzarne il vago contenuto e per poterne
sopportare la forma. Tratto da “Il
teorema dell’antitifoso che confonde politica e sport”: Nel
calcio, che è materia semplice e dunque difficile - è la vita combattuta con
altre armi - si acquatta il cretino intelligente (o cretino cognitivo), quello
che andrebbe multato per abuso di metafora e che sapientemente ha tifato contro
l'Italia perché lui è contro ... Mario Draghi. (…). Maneggiando (…) il
traslato, l'iperbole e le metonimie, l'antitifoso, che non se la beve mai,
crede di aver capito, contro tutti e meglio di tutti, che non si può fare sport
senza fare politica. (…), ma l'antitifoso non sopporta che gli italiani ora
confondano la Cabina di regia con la Panchina, il Premier con il Mister e il
sorriso rassicurante di Mattarella al Quirinale con la tripla A di Standard
& Poor's, Fichte e Moody's. L'antitifoso antiitaliano pensa malissimo delle
ovvie cerimonie, ieri pomeriggio, al Quirinale e a Palazzo Chigi: crede che
siano un'appropriazione indebita. Già domenica sera a Wembley non gli piaceva
quel bel palco d'onore dove, proprio mentre i giocatori in campo si stringevano
attorno a Spinazzola e alle sue stampelle che sono un classico del patriottismo
italiano, attorno al capo dello Stato si stringevano Evelina Christillin, vale
a dire i poteri forti di Torino, e la sottosegretaria allo Sport, la
pluridecorata Valentina Vezzali, vale a dire l'eccellenza della provincia sana
e vincente di Iesi, che è la città anche di Mancini, e qui si chiude il cerchio
delle complicità oltremodo sospette per il nostro cretino cognitivo, per
l'antitifoso infelice e arrabbiato contro lo sport e dunque, secondo lui,
contro il Regime. Come si vede, alla fine è davvero lo sport l'ideale spazio di
protezione del cretino intelligente e non per il lessico gergale, che molto
arricchisce la lingua italiana, e basti pensare a come si potrebbe raccontare
la vita senza il tempo scaduto, la partita, il cartellino rosso, il bagaglio
tecnico, il dischetto, il cannoniere, senza l'arbitro e l'arbitrarietà
dell'arbitrio, il dribbling, il fuori gioco, il fallo, il gol della bandiera,
l'invasione di campo, la marcatura ... E cosa avrebbe perso la lingua italiana
senza le invenzioni di Gianni Brera e Gianni Mura, i sentimenti di Candido
Cannavò e, fuori dal calcio, l'ironia elegante di Gianni Clerici più avvincente
delle partite di tennis che ci ha raccontato così come le recensioni di
Borgese, Cecchi e Montale erano migliori dei libri che recensivano. Alla fine
lo sport e soprattutto il calcio ha dato alla lingua italiana più della
politica. Ed è per questo che nel calcio, come dicevamo all'inizio, l'abuso di
metafora ancora alimenta quel che resta della filosofia del rancore e del
vaffa. (…). È attribuito a Winston Churchill l'aforisma di riferimento sulla
palla ubriaca dell'Italia, e chissà se l'ha detto davvero: "Gli italiani
perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se
fossero partite di calcio". Di sicuro, tutti noi italiani abusiamo un po'
della metafora perché così vuole la retorica nazionale e in fondo è giusto
festeggiare sognando ed esagerando. (…). Nell'aforisma di Churchill c'era
l'idea che, chi perde le guerre, grazie appunto all'abuso di metafora con le
sue sineddoche, i suoi metasememi e le sue allegorie, abbia bisogno del calcio
come luogo incantato delle gerarchie rovesciate, come alibi dello sconfitto,
per il suo riscatto finto e provinciale. In questo senso la nostra impresa
calcistica deve sempre essere "storica", e non solo un evento
gioioso. E contro gli inglesi siamo stati gli angeli continentali, "i
vendicatori dell'Europa oltraggiata dalla Brexit". E la Nazionale,
chiunque ne sia l'allenatore "misura la profondità di una nuova speranza
italiana". Il primo a capire tutto questo fu Mussolini che nel 1938,
quando l'Italia vinse per la seconda volta consecutiva il campionato del mondo
di calcio, ordinò alla squadra di Vittorio Pozzo di scendere in campo a Parigi
contro la Francia con un completo nero, lo scudo sabaudo e il fascio littorio
sul petto. "Il Popolo d'Italia" celebrò "una vittoria (3-1) in
terra straniera, anzi in territorio ostile". Ma Vittorio Pozzo scrisse
sulla Gazzetta dello Sport: "Non sapeva, quella brava gente che ci
fischiava, che noi facevamo dello sport e non della politica". Alla fine,
sotto sotto, tutti sappiamo che Vittorio Pozzo aveva e ha ancora ragione, (…).
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