A lato. "Lavender field", acquerello (2021) di Anna Fiore.
Tratto da “Condividere i giorni no rende più forti” di Claudia De Lillo – in arte Elasti – pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 9 di luglio dell’anno 2016:
Qualche tempo fa Johannes Haushofer, docente di Psicologia a Princeton,
pubblicò su Twitter il curriculum dei suoi fallimenti. Inserì i programmi di
dottorato che non lo avevano accettato, le borse di studio che non aveva vinto,
le domande di assunzione respinte, i premi e i fondi di ricerca che non aveva
ricevuto, gli articoli spediti e rifiutati dalle riviste scientifiche. Una
lista di flop, una macchia nera sbandierata come un trofeo, una sfilza di
ombre, improvvisamente illuminate. Rivelando i propri insuccessi, Haushofer ha
voluto bilanciare la storia della sua carriera, indiscutibilmente brillante;
dimostrare che ogni risultato raggiunto è il portato di
una o più sconfitte, sprone e non freno delle nostre vite. Di Haushofer e
della sua impudica e istruttiva impresa, né prima né ultima nel suo genere, si
sono occupati la Rete e molti giornali stranieri e italiani. Evidentemente, in
questi tempi di porte chiuse, di muri, di fatica, di strade in salita che
sembrano non scendere mai, di frustrazioni, la condivisione dei propri giorni
no è una pratica virtuosa e liberatoria. La consapevolezza che i vincitori sono
stati messi al tappeto prima di alzarsi e riprendere la corsa, che il nostro
insegnante, il nostro modello, il nostro capo e persino il nostro vicino di
casa che incrociamo ogni mattina azzimato e trionfante, hanno mangiato polvere e
ricevuto botte in testa, è consolatoria. La capacità altrui di imparare dai
propri errori e costruirci sopra i futuri traguardi è d'ispirazione. Il
coraggio di guardare in faccia le proprie delusioni è un'arte vitale che
andrebbe insegnata nella scuola dell'obbligo. Ognuno di noi ha un curriculum di
fallimenti. Nella mia lista nera figurano gare abbandonate prima ancora di
cominciare la corsa, rinunce, deprimenti no, inadeguatezza, fragilità,
esclusioni e autoesclusioni. La condivisione inizia da se stessi, aprendo
i propri armadi e liberando gli scheletri. Condividere è sedersi a un tavolo
con altri tre o trecento, ma anche guardarsi allo specchio, vedersi brutti e
non arrossire o deprimersi. Condividere è anche mostrare i nei e le cicatrici
che ci rendono imperfetti, macchiati e unici. In prima media il mio professore
di Educazione artistica, guardandomi disegnare un albero - forse il più
mostruoso e deprimente albero della storia dei disegni di alberi - scosse la
testa e mi disse: «Proviamo con la natura morta». Al cospetto di mele che
parevano banane e banane che somigliavano ad artigli di strega, lui mi propose
figure geometriche. Per darmi un'ultima chance, mi domandò uno schizzo a
scelta. Alla fine dichiarò: «Non importa», e da allora, per lui, smisi di
esistere. Il tentativo di imparare a suonare la chitarra s'infranse contro la
mia incapacità di distinguere i suoni, ancor prima che le note musicali. Non
sono mai stata capace di tradurre il greco antico ed è solo grazie alla
generosità e al talento di Bernasca Andrea che mi suggeriva durante le versioni
che sono uscita dal tunnel del liceo classico. Per un intero anno ho pensato
che la danza del ventre fosse la disciplina per cui ero nata, il movimento per
cui il mio corpo era venuto al mondo. Capii che non era così quando mi misero
in ultima fila, all'ombra, al saggio di fine anno. Non ho provato il test della
scuola di giornalismo perché ero convinta di non essere abbastanza brava per
passarlo, mi bocciarono due volte all'esame per la patente, fui massacrata
durante il colloquio per entrare in una gigantesca multinazionale per la
consulenza di impresa, vomitai sui piedi del mio primo fidanzato quando mi
disse: «Io ti lascio». Sottoposi all'attenzione di una casa editrice importante
orribili racconti, di cui ancora mi vergogno. Bussai alla porta di un giornale
che amavo e la caporedattrice mi congedò con due parole: «Lascia stare». Potrei
andare avanti per pagine e pagine, ben più a lungo rispetto all'esiguo
curriculum del professore di Princeton che, in barba ad anni di studi e
successi, ha avuto il suo momento di vera gloria solo con la pubblicazione dei
suoi flop.
"Il fallimento ti cambia in meglio, il successo in peggio".(Lucio Anneo Seneca). "Il fallimento a volte ingrandisce lo spirito".(Charles Horton Caoley). "È nella crisi che il meglio di ognuno di noi affiora". (Albert Einstein). "La crisi e le avversità spesso diventano occasione di crescita interiore".(Isabel Allende). "L'unico vero fallimento nella vita è non agire in coerenza con i propri valori".(Buddha). "Sono grato a tutte quelle persone che mi hanno detto no. È grazie a loro se sono quel che sono".(Albert Einstein). "Ciò che deve fare luce deve sopportare le bruciature".(Viktor Emil Frankl). Carissimo Aldo, in una società,come la nostra, ipercompetitiva ed egocentrica si tende a credere che il successo appartenga a chi vince e il fallimento vada attribuito esclusivamente a chi perde. Personalmente ritengo che da ogni fallimento si possano apprendere le lezioni più preziose,perché i fallimenti aiutano a trovare la giusta direzione da dare alla propria vita. Grazie per questo post eccezionale, il cui contenuto appartiene alla sfera dei problemi che maggiormente mi coinvolgono in questa fase della mia vita. Buona continuazione.
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