"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 4 luglio 2021

Paginedaleggere. 29 Paul Celan: «Era uno “sheerit”, un rimanente».

“Fuga della morte” di Paul Celan:

 Negro latte dell’alba noi lo beviamo la sera noi lo beviamo al meriggio come al mattino lo beviamo la notte noi beviamo e beviamo

noi scaviamo una tomba nell’aria chi vi giace non sta stretto

Nella casa vive un uomo che gioca colle serpi che scrive

che scrive in Germania quando abbuia i tuoi capelli d’oro Margarete

egli scrive egli s’erge sulla porta e le stelle lampeggiano

egli aduna i mastini con un fischio

con un fischio fa uscire i suoi ebrei fa scavare una tomba nella terra

ci comanda e adesso suonate perché si deve ballare

Negro latte dell’alba noi ti beviamo la notte

noi ti beviamo al mattino come al meriggio ti beviamo la sera

noi beviamo e beviamo

Nella casa vive un uomo che gioca colle serpi che scrive

che scrive in Germania quando abbuia i tuoi capelli d’oro Margarete

i tuoi capelli di cenere Sulamith noi scaviamo una tomba nell’aria chi vi giace non sta stretto

Egli grida puntate più a fondo nel cuor della terra e voialtri cantate e suonate

egli trae dalla cintola il ferro lo brandisce i suoi occhi sono azzurri

voi puntate più fondo le zappe e voi ancora suonate perché si deve ballare

Negro latte dell’alba noi ti beviamo la notte

noi ti beviamo al meriggio come al mattino ti beviamo la sera

noi beviamo e beviamo

nella casa vive un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete

i tuoi capelli di cenere Sulamith egli gioca colle serpi

Egli grida suonate più dolce la morte la morte è un Maestro di Germania

grida cavate ai violini suono più oscuro così andrete come fumo nell’aria

così avrete nelle nubi una tomba chi vi giace non sta stretto

Negro latte dell’alba noi ti beviamo la notte

noi ti beviamo al meriggio la morte è un Maestro di Germania

noi ti beviamo la sera come al mattino noi beviamo e beviamo

la morte è un Maestro di Germania il suo occhio è azzurro

egli ti coglie col piombo ti coglie con mira precisa

nella casa vive un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete

egli aizza i mastini su di noi fa dono di una tomba nell’aria

egli gioca colle serpi e sogna la morte è un Maestro di Germania

i tuoi capelli d’oro Margarete

i tuoi capelli di cenere Sulamith

In “Papavero e memoria” di Paul Celan, poesie, “I Meridiani”, Mondadori (1998).

Tratto da «Celan, lo “sheerit” che amava le donne» di Bernardo Valli, pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 27 di giugno 2021: «Noi scaviamo una tomba nell’aria chi vi giace non sta stretto…». È un verso di “Fuga della morte” (Todesfuge) di Paul Celan, che ha scritto le sue poesie in tedesco, la lingua dei carnefici. Lo traggo dal Meridiano paperback curato da Giuseppe Bevilacqua e dedicato al poeta nato nel 1920 nella Romania diventata poi Ucraina, e morto suicida nelle acque parigine della Senna quando aveva cinquant’anni. Si gettò dal Ponte Mirabeau, cantato da una ballata di Apollinaire, vicino all’avenue Zola, dove abitava. Il suo corpo fu ritrovato giorni dopo non lontano da dove si era tuffato. Passando mezzo secolo dopo su quel ponte uno può rivolgere un rapido pensiero al grande poeta rimasto incagliato, dimenticato, lungo il corso cittadino del fiume. Era uno “sheerit”, un rimanente. La tradizione ebraica indica così coloro che sono rimasti vivi. Nel centenario della nascita il nome di Celan ha suscitato ricordi e ha riproposto le numerose raccolte di sue poesie già pubblicate. La designazione di “sheerit” non è parsa sempre adeguata al personaggio. I campi di sterminio l’hanno risparmiato, ma poi l’hanno inseguito senza tregua nella memoria. Erano sempre presenti. Non fu veramente un sopravvissuto. Era un “rimanente” con la morte che l’accompagnava e lo tentava, come una liberazione o, meglio, come un’espiazione. Una solidarietà verso milioni di vittime. Altri sfuggiti o usciti vivi dai campi hanno deciso di mettere fine alla presenza in questo mondo. Primo Levi fu uno di loro: lucido narratore, suicidatosi diciassette anni dopo, giudicava l’opera di Paul Celan oscura e nichilista. Gli stessi versi del rumeno erano e sono invece un culto per tanti altri. Come la prosa di Primo Levi. Per noi l’emozione abbraccia senza distinzione entrambi i personaggi che hanno voltato le spalle a una vita carica di troppe tragedie per essere vissuta fino in fondo. Il grande poeta che scriveva nella lingua dei carnefici riuscì a sfuggire alla persecuzione nazista, ma non alla dannazione del senso di colpa dovuta al fatto di essere rimasto mentre parenti e amici erano finiti nelle camere a gas. Paul Celan era riuscito a evitare le retate nella città natale di Czernowitz. La compagna, Ruth Lackner, lo condusse in un rifugio sicuro, mentre i genitori rifiutarono di seguirli. Non volevano fuggire. Lo ritenevano poco dignitoso. Furono arrestati e internati. Il padre morì di tifo, la madre uccisa con un colpo alla nuca. Entrambi erano in un campo nella Transnistria. Il rimorso di essere sfuggito alla camera a gas contribuì allo squilibrio psichico che costrinse Paul Celan a ricorrere a cure e a periodici ricoveri in cliniche. Paul Celan conosceva molte lingue, il francese, l’italiano, lo spagnolo, l’inglese e altre ancora. Ma trattava quella dei carnefici con estrema delicatezza. Scriveva in tedesco le sue poesie, e pensava spesso in tedesco. Non c’era per lui una lingua con tanto spessore sentimentale. Molte parole potevano avere significati diversi. Celan se ne serve per sollecitare le emozioni nelle vicende intime, e anche in quelle estranee alla famiglia e all’amore. L’amore perduto, distrutto dal nazismo, lui lo ricerca nelle donne, che l’aiutano a trovare la fraternità. Cercava ovunque l’amore che gli mancava. Quella dei suoi poemi è una lettura spesso amorosa, a volte con sfumature erotiche. Dietro il “tu” che ricorre c’è la madre, ma anzitutto le donne che si avvicendano nella sua esistenza. Ruth Lackner era un’ebrea austriaca, un’attrice. A lei Paul Celan lasciò la sua prima collezione di poemi, poi fuggì da Bucarest per raggiungere Parigi e Vienna. Conosce Rosa Leibovici negli ultimi anni di Czernowitz. Liliana Shmueli è ancora un’adolescente quando la incontra a Parigi e a Gerusalemme. A Vienna nel ’48 si invaghisce della poetessa Ingeborg Bachmann, che ritroverà più tardi a Parigi. Dove avrà come amante l’antropologa Ariane Deluz, un tempo moglie dell’amico Isac Chiva. Il quale gli farà conoscere un’artista grafica, Gisele Lestrange, che diventerà sua moglie e dalla quale avrà due figli. Uno soltanto sopravviverà. Paul Celan non riesce a stare in una famiglia, benché ami e sia amato. Un’amica importante “clandestina” presso la quale si rifugerà nella sua continua fuga, prima di gettarsi nella Senna, dal ponte Mirabeau, è Britta Eisenreich. Le donne che sono state a lungo un conforto non bastano più.

3 commenti:

  1. Carissimo Aldo, straordinario,anche se molto triste, questo post, dal quale traspare il difficile mestiere di uno scrittore come P.Celan. Permettimi di condividere qui di seguito alcune sue citazioni particolarmente significative:"Soltanto mani vere scrivono poesie vere. Io non scorgo alcuna differenza di principio tra una stretta di mano e una poesia". "La poesia è un messaggio nella bottiglia gettato a mare nella convinzione che possa approdare su una spiaggia". "Io scrivo non per i morti, ma per i vivi - certo per quanti sanno che ci sono anche i morti". "Chi impara realmente a vedere si avvicina all'invisibile". "Poesia:una teca senza tempio". "Si negò anche questo:il piacere del dispiacere". "Nulla è più nero dell'alba luminosa del ricordo". "Soltanto l'incompreso comprende gli altri". Grazie e buona continuazione.

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  2. Amica carissima, grazie per le stupende citazioni di Paul Celan.

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  3. Mi fa veramente piacere che Tu abbia apprezzato queste citazioni... Ma sono soprattutto io che devo ringraziarti, per le numerose occasioni di crescita che il tuo prezioso blog da alcuni anni mi regala. Grazie, Aldo carissimo.

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