"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 18 luglio 2021

Paginedaleggere. 33 «Una moltitudine che “non capisce” è il bene più prezioso di cui può disporre chi ha interesse a manipolare le folle».

 

Lo scritto di Umberto Galimberti di seguito riportato – “Come si misura la capacità di pensare?” –, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” di sabato 10 di luglio, rappresenta, a buon vedere, il prosieguo al post numero 95 del 15 di luglio ultimo che ha per titolo «Chattando, si ha la possibilità di realizzare virtualmente ciò che si vorrebbe ma non si riesce a essere»: Il metro è nel numero di parole che possediamo. Siamo tornati ai geroglifici perché ci mancano le parole. Ricordo che nel 1976 un sondaggio aveva stabilito che un ginnasiale conosceva 1.600 parole. Ripetuto vent’anni dopo, il sondaggio constatava che un ginnasiale ne conosceva 640. Oggi penso che ne conosca 300 o giù di lì, e impieghi una parola, che qui non riporto, ma che tutti possono immaginare, che serve per esprimere tutta la gamma delle emozioni: dalla gioia alla delusione, dalla vittoria alla sconfitta, dall’ira alla noia, dall’entusiasmo allo sconforto e via dicendo. La povertà del linguaggio denota la povertà del pensiero, perché il linguaggio, come giustamente osserva Heidegger, non è uno strumento per esprimere i nostri pensieri, dal momento che noi non possiamo pensare qualcosa se non disponiamo della parola corrispondente. Noi possiamo pensare limitatamente alle parole che possediamo. E se ne possediamo poche, pensiamo poco. Il dire comune eleva i geroglifici al rango di simboli, perché non conosce la differenza tra un “simbolo” che, come ci ricorda Jung, rinvia a qualcosa di ignoto o di non ancora scoperto, e un “segno” che sta al posto della cosa segnalata. Il tricolore, ad esempio, non è il simbolo dell’Italia, ma il segno dell’Italia, perché è noto e senza equivoci ciò a cui rinvia. I geroglifici sono segni utilizzati o perché non c’è tempo per rispondere a un messaggio, o perché non si è in grado di comporre una frase che sia adeguata al messaggio ricevuto. Nel primo caso è un segno di maleducazione che comunica all’altro “non ho tempo per te”. Nel secondo caso il geroglifico segnala all’altro che non possediamo sufficienti parole per comporre una frase che sia come minimo decente. Non parliamo poi dei “vocali” che esonerano dal buon uso della grammatica e della sintassi, oltre a costringerci a destreggiarci col telefonino, disponendolo di fronte o all’orecchio per poterlo sentire senza perdere troppi passaggi. Ma il geroglifico ci segnala un'ulteriore perdita di cui non siamo neppure consapevoli. La scrittura alfabetica, infatti, obbliga il nostro cervello a tradurre dei segni grafici in immagini. I segni grafici “c” “a” “n” “e” nell’immagine del cane. Se invece dei segni grafici usiamo direttamente l’immagine, il nostro cervello è esonerato dal compiere questa traduzione. E con questo esonero si comincia fin dalle scuole elementari, con i libri che ai miei tempi erano pieni di parole e adesso sono strapieni di immagini corredate da poche parole. Se questo è il modo di allenare il cervello? Negli ultimi trent’anni siamo traghettati in una fase dove le cose che sappiamo, dalle più elementari alle più complesse, non le dobbiamo necessariamente al fatto di averle “lette” da qualche parte, ma semplicemente di averle “viste” in televisione, al cinema, sullo schermo di un computer o di un telefonino, oppure “sentite” dalla viva voce di qualcuno, dalla radio o da un auricolare inserito nelle nostre orecchie. A questo punto vien da chiedersi: quanto la strumentazione tecnica modifica il nostro modo di pensare? E ancora: quali forme di sapere stiamo perdendo per effetto di questo cambiamento? Naturalmente “guardare” è più facile che “leggere” (addio cari libri). L’homo sapiens, capace di decodificare segni ed elaborare concetti astratti, è sul punto di essere soppiantato dall’homo videns, che non è portatore di un pensiero, ma fruitore di immagini, con conseguente impoverimento del capire. E com’è noto, una moltitudine che “non capisce” è il bene più prezioso di cui può disporre chi ha interesse a manipolare le folle.

Nessun commento:

Posta un commento