"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 15 luglio 2021

Leggereperché. 95 «Chattando, si ha la possibilità di realizzare virtualmente ciò che si vorrebbe ma non si riesce a essere».

 

Tratto da “Le nuove tecnologie e i loro effetti” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 15 di luglio dell’anno 2017: Come incidono l'uso e l'abuso dei mezzi informatici sui processi cognitivi ed emotivi dell'uomo? (…). …Clifford Stoll, uno dei pionieri di Internet (…), dopo averlo portato in trent'anni al livello che oggi conosciamo, scrive in Confessioni di un eretico high-tech (Garzanti): «Quali problemi possono crearsi se dedichiamo sempre più tempo a strumenti elettronici? A scuola per esempio, grazie all'elettronica digitale, gli studenti sfornano risposte senza elaborare concetti: la soluzione dei problemi diventa la pressione sui tasti. Le calcolatrici sfornano risposte senza richiedere il minimo pensiero. Gli studenti pigiano sui tasti, guardano i risultati e accettano ciò che la macchina dice loro». Nella Postfazione al libro di Stoll, il linguista Raffaele Simone mette in guardia dai processi di "de-realizzazione" generati dall'uso incontrollato del computer, e in proposito scrive che: «Possiamo non accorgerci che la diffusione della conoscenza mediata dall'informatica è la più formidabile barriera che si sia mai presentata nella storia verso il contatto con la realtà. Con un software opportuno posso visitare Roma senza averci mai messo piede, navigare sotto l'oceano senza bagnarmi, e perfino fingere un gioco violento senza neppure graffiarmi. È reale questo?». Oltre ai processi di de-realizzazione si aggiungono quelli di de-socializzazione, perché se è vero che con Internet possiamo farci amici in ogni parte del mondo, quanto tempo sottraiamo ai rapporti faccia faccia con chi ci circonda, col compagno di scuola, col vicino, con chi ci sta di fronte al ristorante in un incontro tra amici, tutte persone con cui parliamo distrattamente perché preferiamo comunicare via e-mail o con inespressivi messaggi. E così perdiamo i moti emozionali e la qualità dei sentimenti che di solito traspaiono dagli atteggiamenti del corpo che accompagnano le parole, confermandole o smentendole, e creando quei rapporti di fiducia che non si scaricano da un sito web. Lo psicologo Giorgio Nardone, che ha lavorato con Paul Watzlawick della Scuola di Palo Alto, ha scritto con Federica Cagnoni Perversioni in rete. Le psicopatologie da Internet e il loro trattamento (Ponte alle Grazie), dove mette a fuoco i tratti di dipendenza dalla Rete, non dissimili dai tratti tipici della tossicodipendenza ("tolleranza" che comporta la necessità di aumentare gradatamente le dosi, "crisi di astinenza", e "smania" che comportano il bisogno irresistibile di connettersi). La dipendenza da internet soddisfa sul piano virtuale il bisogno di controllo che non si riesce a realizzare sul piano di realtà; alimenta il tratto ossessivo-compulsivo, come nel caso dello shopping online che consente di entrare in qualsiasi centro commerciale del mondo, soddisfacendo il vissuto infantile di onnipotenza e libertà che compensano le frustrazioni del mondo reale. Chattando, si ha la possibilità di realizzare virtualmente ciò che si vorrebbe ma non si riesce a essere. Da qui il bisogno di stare ore davanti al computer che, a nostro piacimento, realizza il sogno della nostra identità agognata. Se a questo si aggiunge il cybersesso, dove la solitudine della masturbazione viene compensata da una rappresentazione condivisa, e la possibilità di esprimere nell'anonimato tutte le fantasie vissute nel privato, ecco che il computer diventa l'oggetto erotico per eccellenza, dove, come davanti a una macchina magica, si esaltano le perversioni e le allucinazioni del desiderio, a scapito dei rapporti reali che, al confronto, appaiono insignificanti. (…). Chi verrà dopo di noi dirà come è cambiato l'uomo. Oppure non lo dirà, perché non saprà nulla di come l'uomo era prima dell'informatica, nel caso in cui questa ne abbia cambiato la natura.

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