Ha scritto Moni Ovadia in “Il paradiso è nell'aldiqua, basta un posto di lavoro”, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 26 di gennaio dell’anno 2015: (…). …dice il Talmud: "Un'ora nel mondo che verrà è meglio di tutta una vita in questo mondo, ma un'ora di buone azioni in questo mondo è meglio di tutta la vita nel mondo a venire". Possiamo avere un'idea del paradiso nell'aldiqua in quella che l'ebraismo auspica come era messianica. Ed è il sabato che anticipa l'era messianica, che la prefigura. Nel sabato ebraico nessuno produce e nessuno consuma. È proibito spendere soldi, ed è proibito fare lavorare l'animale e la zolla, ossia la terra. Il meccanismo produzione-consumo è bandito e questo vale anche per gli animali e per le piante. In questo modo gli uomini diventano uguali perché non ci sono più i ruoli. Si prefigura l'uguaglianza totale. Il sabato si realizza nella dimensione del tempo, ovunque ti trovi, fuori dallo spazio. Vuol dire che se io lo festeggio in Italia, magari in Giappone non lo stanno facendo. Non comanda lo spazio, ma è il tempo sabbatico che decide. E questa libertà dallo spazio costrittivo rende l'uomo libero dall'alienazione, permettendogli di ritrovare lo splendore della propria dignità universale.
Così si prefigura l'era messianica e quindi si prefigura il paradiso: gli uomini sono uguali, l'alienazione è bandita, la dignità è pienamente rispettata. Non solo: nello sabba non puoi andare al cinema, al teatro, al bowling, o a fare le compere. E cosa si fa allora? Si fa l'essere umano, pare poco? Si sta con la propria gente, si mangia il cibo che è stato preparato prima, perché nessuno deve lavorare o cucinare. Ci si siede a tavola ed è vero slow food. Si sta con i propri figli, si raccontano loro le storie, si ascoltano le loro domande, e se non si sa rispondere si studia insieme a loro. Si suona e si canta. Si fa l'amore con il proprio compagno o con la propria compagna. Non i figli, ma l'amore: è santo precetto nella dimensione sabbatica. Si accoglie il viandante, si ascoltano le storie dei vecchi, si discute. Ecco qual è quindi la prospettiva di quello che io ritengo un vero paradiso, un momento dove l'uomo celebra la creazione di se stesso. E il modo di vivere del sabato dovrebbe illuminare tutto il resto. Quando si raggiungerà il tempo messianico principi come quelli di non sfruttare il proprio prossimo, di non produrre disuguaglianze, di riconoscere a ciascuno la propria dignità e la propria alterità saranno validi per tutti i giorni. Nel mondo messianico sarà garantita la piena giustizia sociale. Allora perché non pensare che il paradiso potrebbe essere di qua invece che di là? Basterebbe che noi lo realizzassimo. Si pensi che nell'ebraismo le porte del paradiso vengono chiamate "i cancelli della giustizia", che non può che essere giustizia sociale. Ma se la società è ingiusta come la nostra si è nell'inferno, non nel paradiso. Del resto non c'è demone o satana in grado di concepire orrori come quello degli stermini prodotti dagli uomini. (…). Noi esseri umani siamo specialisti negli inferni. Per questo, forse, potremmo decidere di cominciare a specializzarci in paradisi. O almeno possiamo provarci. Anche se vedo che il discorso non piace molto, perché se bisogna rimetterci qualcosa allora tutti preferiscono l'inferno. Gli uomini del paradiso, è vero, ci sono, sono tra noi. (…). Ma questi uomini non sono mai, se non in rarissimi casi, coloro ai quali viene affidato il governo delle cose pubbliche. Insomma, dobbiamo pensare che il paradiso dev'essere nell'aldiqua e non nell'aldilà. Paradiso è alzarsi la mattina, e sapere che hai un posto di lavoro, in condizioni giuste, in una terra dove tu e tuoi diritti siete rispettati. Di seguito “Io vivo dunque desidero” del teologo Vito Mancuso, letto – su cortese segnalazione dell’amica Agnese A. – sul quotidiano “La Stampa” del 17 di giugno 2021: Un sentimento ambiguo, da maneggiare con cura che ci è necessario ma può anche avvelenare l’esistenza. Secondo le maggiori tradizioni sapienziali dell'umanità la proliferazione del desiderio caratterizza le persone instabili e immature in balia di sempre nuovi e imprevedibili desideri mentre il saggio ne ha pochi o nessuno. Socrate per esempio, mentre passava per il mercato di Atene, diceva a sé stesso: «Di quante cose che non ho bisogno!». Lo stolto ama lo shopping, il saggio invece più che volentieri lo evita. Il desiderio in questa prospettiva è una malattia dell'anima, non a caso già l'etimologia designa una mancanza. E se ci pensate, c’è del vero in questa posizione: quand’è che siamo in pace con sé stessi? Quando non ci sono desideri. Ma non appena arriva un desiderio, l’equilibrio è rotto e si produce instabilità. Qualcuno ricorda le parole della regina malvagia allo specchio per ottenere l’oracolo? «Specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?». Ecco, spesso il desiderio si dice come brame e suscita avidità, cupidigia, bramosia, ci porta ad afferrare con le mani e con gli occhi. Quanto poi al suo contenuto, è abbastanza prevedibile, indirizzato com’è quasi sempre solo a ricchezza, piacere e potere. L'instabilità però non è sempre negativa. Anzi, è solo grazie ad essa che si avviano i processi, a cominciare dalla vita, la cui dinamica consiste in una ricerca dell'equilibrio per poi romperlo di nuovo secondo una dinamica processuale attuata dal bisogno e dal desiderio. E cos'è l'amore per lo studio, per la ricerca, per l'impegno sociale, per la pratica spirituale, se non appunto un desiderio che cerca appagamento? E che cos'è lo stesso amore? Il desiderio quindi è ambiguo, la sua presenza è necessaria alla vita ma può anche avvelenarla. E da tale ambiguità di fondo sono scaturite all'interno del pensiero tre diverse posizioni in ordine al desiderio: incremento, estinzione, orientamento. L’incremento del desiderio che si espande in una miriade di desideri è quanto ci propone la società in cui viviamo detta dei consumi e che fa di noi dei consumatori, soggetti che nutrono i più svariati desideri a seconda del momento, degli incontri, dei capricci, delle voglie, delle stagioni e soprattutto delle mode, perché l’ego consumistico che ritiene di essere il padrone dei suoi desideri in realtà è in balia delle strategie del desiderio escogitate dagli altri. La seconda posizione ambisce a estinguere i diversi desideri e con loro anche il desiderio, come sosteneva lo stoico Epitteto: «Devi estinguere del tutto il desiderio». Si tratta di un insegnamento non dissimile a quello della scuola rivale epicurea visto che Epicuro sosteneva la cosiddetta atarassia o imperturbabilità, a suo avviso unica garanzia per la tranquillità interiore, mentre bandiva il proliferare dei desideri come una pericolosa malattia. Molti padri della Chiesa erano altrettanto nemici del desiderio; Origine per esempio arrivò persino a evirarsi a diciotto anni d’età avendo preso alla lettera il detto di Gesù «Vi sono eunuchi che si sono resi tali per il regno dei cieli», né Massimo il Confessore era distante quando auspicava l’estraniazione volontaria alla carne grazie alla completa circoncisione dei suoi moti naturali». La Regola di san Benedetto prescriveva, anzi prescrive: «Quanto poi alla volontà propria, sappiamo che ci è vietato di compierla; infatti la Scrittura dice: non seguire i tuoi desideri». Si può ri-chiamare anche la pratica dell'indifferenza di Ignazio di Loyola, il fondatore dei gesuiti: «È necessario renderci indifferenti rispetto a tutte le cose create in modo che, da parte nostra, non vogliamo più salute che malattia, ricchezza che povertà, onore che disonore, vita lunga che breve». Anche il Buddha si colloca in questa prospettiva, visto che individuava nella «brama» l’origine della sofferenza, e di conseguenza nell’estirpazione della brama la chiave per superare la sofferenza. Secondo la tradizione buddhista, quando raggiunse l’illuminazione egli proferì queste parole riportate dal Dhammapada: «Per vite innumerevoli ho vagato cercando invano il costruttore della casa della mia sofferenza. Ma ora ti ho trovato, costruttore di nulla da oggi in poi. Le tue assi sono state rimosse e spezzata la trave di colmo. Il desiderio è tutto spento; il mio cuore, unito all’increato». Tra i moderni che si possano richiamare Schopenhauer e Simone Weil che propose e attuò la decreazione. Vi sono infine filosofie e spiritualità che intendono orientare diversamente il desiderio, coltivando un desiderare alternativo ma non per questo meno intenso. Esse propongono non indifferenza ma cura, non adeguamento al presente ma utopia di un futuro diverso. Vanno qui ricordati anzitutto Platone e Gesù, per i quali gioca un ruolo decisivo l’amore, che per definizione è desiderio. In particolare Gesù diceva: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra e quanto vorrei che fosse già acceso!», e al contempo proclamava: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia», magnificando al massimo il desiderio. In perfetta continuità con lo spirito della profezia ebraica, Gesù fu un grande suscitatore di desiderio. Un po’ a sorpresa su questa linea si ritrova Leopardi, il quale scriveva nel suo Zibaldone: «La vita è finita quando l’amor proprio ha perduto il suo ressor», termine francese che significa «molla» e in senso traslato «energia». Qualche giorno dopo proseguiva: «La speranza è una passione, un modo di essere, così inerente e inseparabile dal sentimento della vita, cioè dalla vita propriamente detta, come il pensiero, e come l’amor di sé stesso, e il desiderio del proprio bene. Io vivo, dunque io spero, è un sillogismo giustissimo». Noi potremmo dire: io vivo, dunque io desidero, è un sillogismo giustissimo. Non si può vivere senza desiderare, ma si può, anzi si deve vivere, orientando il desiderio. Il desiderio orientato e innalzato si chiama aspirazione.
"Il desiderio è metà della vita, l'indifferenza è metà della morte". (Khalil Gibran). "Dei desideri alcuni sono naturali e necessari, altri naturali e non necessari altri né naturali né necessari, ma nati solo da vana opinione". (Epicuro)."Gli uomini sono guidati più dal cieco desiderio che dalla ragione".(Baruch Spinoza). "Prima di desiderare fortemente una cosa, bisogna verificare quanto sia felice chi la possiede".(Francois de la Rochefoucauld). "Le grandi menti hanno degli scopi, le piccole menti hanno dei desideri". (Washington Irving). "L'uomo saggio ama. Tutti gli altri desiderano".(Lucio Afranio). "Cosa desideri dagli altri? Amore? Sostegno? Lealtà? Qualunque cosa desideri, donala tu per primo".(Swami Kriyananda). "Agli uomini di cuore, a coloro che si ostinano a credere nel sentimento puro. A tutti quelli che ancora si commuovono:un omaggio ai grandi slanci, alle idee e ai sogni".(Miguel de Cervantes). "Non desistete dal desiderare di rendere la vostra vita straordinaria".(Walt Whitman). Carissimo Aldo, grazie di questo post veramente singolare ed eccezionale per l'accostamento che rende completa la trattazione di un argomento su cui riflettere profondamente e seriamente. Buona giornata e buona continuazione.
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