Ha lasciato scritto Norberto
Bobbio su “MicroMega” del 3 di maggio dell’anno 2000 : «Io
non sono un uomo di fede, sono un uomo di ragione e diffido di tutte le fedi,
però distinguo la religione dalla religiosità. Religiosità
significa per me, semplicemente, avere il senso dei propri limiti, sapere che
la ragione dell’uomo è un piccolo lumicino, che illumina uno spazio infimo
rispetto alla grandiosità, all’immensità dell’universo. L’unica cosa di cui
sono sicuro, sempre stando nei limiti della mia ragione, (…) è semmai che io
vivo il senso del mistero, che evidentemente è comune tanto all’uomo di ragione
che all’uomo di fede. (…). Resta però fondamentale questo profondo senso del mistero,
che ci circonda, e che è ciò che io chiamo senso di religiosità. La mia è una
religiosità del dubbio, anziché delle risposte certe. Io accetto solo ciò che è
nei limiti della stretta ragione, e sono limiti davvero angusti: la mia ragione
si ferma dopo pochi passi mentre, volendo percorrere la strada che penetra nel
mistero, la strada non ha fine. Più noi
sappiamo, più sappiamo di non sapere. … la mia intelligenza è umiliata.
Umiliata. E io accetto questa umiliazione. La accetto. E non cerco di sfuggire
a questa umiliazione con la fede, attraverso strade che non riesco a
percorrere. Resto uomo della mia ragione limitata e umiliata. So di non sapere.
Questo io chiamo “la mia religiosità”. … probabilmente non si riesce a
resistere a questo dubitare continuo, a questo continuo non sapere, e allora ci
si affida alle credenze … Io però, il fondo religioso della mia persona
continuo ad intenderlo come questo non sapere. Ed è un fondo religioso che mi
assilla, mi agita, mi tormenta». Letto
su www.facebook.com – su cortese
segnalazione dell’amica carissima Agnese A. - “Il coraggio della responsabilità” del teologo Vito Mancuso,
pubblicato sul quotidiano “La Stampa” del 6 di luglio 2021: In
questo tempo lattiginoso che non capiamo più, e che per questo chiamiamo
postmoderno nominando solo ciò che esso ha cessato di essere, siamo alle prese
con problemi immensi e per la gran parte inediti, che si assommano a quelli
cronici che da sempre angustiano l’umanità. Problemi di etica individuale, come
quelli di bioetica sull’inizio e la fine della vita, sull’identità di genere e
la relativa omofobia. Problemi di etica ambientale, come il cambiamento
climatico e la distruzione antropica di interi ecosistemi. Problemi di etica
sociale, come le sempre più enormi sperequazioni economiche. Problemi
educativi, dati dalla mancanza di una visione condivisa sull’essere umano che
porta le nostre scuole a dispensare solo istruzione e nessuna educazione e
formazione, le quali, invece, sono proprio ciò di cui i ragazzi hanno più
bisogno. Problemi geopolitici che si presentano in ogni strada delle nostre
città dove assistiamo all’incontro e spesso allo scontro tra le diverse
civiltà, senza minimamente intravedere quale futuro ci aspetta … La società è
governata sempre più da meccanismi che inducono molti a parlare di post-umano,
con la tecnologia che trasferisce nelle macchine la nostra intelligenza
prefigurando il passaggio da Homo Sapiens a Machina sapiens, mentre noi
diventiamo sempre più macchine e siamo trattati sempre più da macchinari. In
questo scenario l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è la vecchia
contrapposizione ideologica fede/ragione. Di che cosa invece abbiamo bisogno?
Di chiarirci le idee nel modo più onesto possibile sulla nostra più autentica
essenza di esseri umani. Chi siamo realmente? Chi è Homo sapiens? Durante la
sua esistenza Norberto Bobbio si definì sempre estraneo alla fede, talora esplicitamente
non-credente: «Io non sono un uomo di fede, sono un uomo di ragione e diffido
di tutte le fedi». (MicroMega. Almanacco di filosofia 2/2000, p.7).
All’indomani della sua morte però, il 10 gennaio 2004, su questo giornale (la
Stampa) venne pubblicato un testo, oggi noto come Ultime volontà, in cui il
filosofo scrisse: «Non mi considero né ateo né agnostico. Come uomo di ragione
non di fede, so di essere immerso nel mistero che la ragione non riesce a
penetrare fino in fondo, e le varie religioni interpretano in vari modi». Con
queste parole Bobbio descrive un rapporto ragione-fede del tutto diverso
rispetto all’impostazione dominante. Di solito infatti si ritiene che la
ragione faccia piazza pulita del mistero per introdurre la chiarezza del ragionamento,
e che al contrario la fede sia appelli al mistero per rivelare verità dette
«dogmi» e precetti detti «comandamenti». Bobbio capovolge la prospettiva: è la
ragione a comprendere che siamo «immersi nel mistero», rispetto al quale le
diverse religioni sono interpretazioni tutte imperfette. Egli supera così i due
contrapposti dogmatismi: quello razionalista, secondo cui la ragione è luce e
la fede oscurità, e quello fideista, secondo cui la ragione è oscurità e la
fede luce, e afferma invece uno statuto del tutto peculiare: la ragione e la
fede sono entrambe oscurità. È la cosiddetta «dotta ignoranza» rispetto al
senso ultimo della vita, a cui si può aderire in prospettiva sia credente sia
non-credente e che, in chi la fa propria, genera «mitezza», per riprendere una
virtù tanto amata da Bobbio, che ne fece un memorabile elogio, e di cui il
nostro tempo ha un immenso bisogno. Non abbiamo più bisogno di dividerci tra
chi crede e chi non crede; abbiamo piuttosto bisogno di unirci nell’esercizio
del pensiero, miti, cioè privi di volontà di primato, al fine di pensare e
comprendere noi stessi. A questo riguardo io sostengo che la nostra più
preziosa peculiarità consiste nell’essere capaci di percepire ciò che Bobbio
chiamava mistero, di cui la manifestazione più sublime è la coscienza morale e
la responsabilità che ne promana. Chi siamo quindi? Siamo intelligenze capaci
di meraviglia e libere volontà capaci di responsabilità. Le nostre più
specifiche caratteristiche (la statura eretta, la neocorteccia, il codice
genetico, l’intelligenza analitica, la ragione sintetica, il sentimento,
l’intelligenza emotiva) non sono tali da rinchiuderci in una definizione: noi
rimaniamo pur sempre indefiniti a causa di uno spazio vuoto al nostro interno
che possiamo chiamare caos, antica parole greca che andrebbe scritta chaos e
che significa propriamente «vuoto», «abisso». In ognuno di noi si muove una
quantità di energia indeterminata la cui azione è essenziale, nel bene e nel
male, per avere la pienezza di un essere umano. Sto parlando della libertà,
senza la quale non c’è umanità, e che forse costituisce il più grande mistero
dell’universo. Il valore di un essere umano si gioca quindi sulla sua capacità
di libertà. Il che significa che dobbiamo fare di tutto per custodire il nostro
caos e per indirizzarlo a produrre consapevolezza e creatività rimanendo però
sempre rinnovata possibilità di caos. Si compie così la sottile dialettica
della vita, che è la capacità di obbedienza e di ribellione, di resistenza e
resa, di imitazione e di libera creazione. In una parola sola, di
responsabilità. Se penso alle grandi donne e ai grandi uomini che ho
conosciuto, constato che ciò che ai miei occhi li fa grandi è ben altro della
sola ragione. L’essere umano è ragione, ma anche volontà e sentimento, e io
credo che il senso pieno della nostra esistenza sia dato dall’insieme di
ragione, volontà e sentimento. È la loro unione a creare un essere umano
autentico. L’unione di ragione, volontà e sentimento con una parola sola sia
chiama «coscienza», o, poeticamente, «cuore». Dal termine cuore viene il
termine «coraggio». E alla fine, per me, il senso della vita consiste nel
coraggio che continua a credere coscientemente e responsabilmente agli alti
ideali dell’umanità (il bene, la giustizia, la verità, la bellezza, l’amore)
anche in un mondo come questo. È questa, infatti, la vera fede.
"La principale malattia dell'uomo è la curiosità irrequieta delle cose che non può sapere".(Blaise Pascal). "L'ultimo passo della ragione è di riconoscere che ci sono un'infinità di cose che la sorpassano".(Blaise Pascal). "Chi non ammette l'insondabile mistero non può essere neanche uno scienziato".(Albert Einstein). "La massima conoscenza è sapere che siamo circondati dal mistero".(Albert Schweitzer). "La scienza mette in fuga il mistero... Falso. La scienza non fa che spostare il mistero sempre più in là, alza la soglia..." (Carlo Sgorlan). "Noi viviamo nella particella microscopica di un enorme mistero, e continueremo a non avere risposta ad alcuna delle domande che ci siamo posti fin dall'infanzia".(Paulo Coelho). "I misteri illuminano le tenebre che ci circondano, mantenendo il segreto di se stessi, come una lampada che ci dà luce, anche se non capiamo il suo funzionamento".(Paul Claudel). "L'unica scelta autentica della nostra vita è quella di immergerci nel mistero della forza superlativa dell'Amore".(Paulo Coelho). Carissimo Aldo, grazie per avermi consentito la rilettura, in questo tuo post, della conclusione a cui giunge Vito Mancuso, riprendendo e condividendo quanto affermato dal Nostro Grande Norberto Bobbio. È per me una fortunata opportunità che mi consente di estendere e approfondire le mie riflessioni su un problema che ho sentito come fondamentale in passato, ma che mi si ripresenta in modo ricorrente, anche se sotto aspetti differenti... Buona giornata e buona continuazione.
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