"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 20 luglio 2021

Paginedaleggere. 34 Bobbio: «Religiosità significa per me, semplicemente, avere il senso dei propri limiti, sapere che la ragione dell’uomo è un piccolo lumicino».

 

Ha lasciato scritto Norberto Bobbio su “MicroMega” del 3 di maggio dell’anno 2000 : «Io non sono un uomo di fede, sono un uomo di ragione e diffido di tutte le fedi, però distinguo la religione dalla religiosità. Religiosità significa per me, semplicemente, avere il senso dei propri limiti, sapere che la ragione dell’uomo è un piccolo lumicino, che illumina uno spazio infimo rispetto alla grandiosità, all’immensità dell’universo. L’unica cosa di cui sono sicuro, sempre stando nei limiti della mia ragione, (…) è semmai che io vivo il senso del mistero, che evidentemente è comune tanto all’uomo di ragione che all’uomo di fede. (…). Resta però fondamentale questo profondo senso del mistero, che ci circonda, e che è ciò che io chiamo senso di religiosità. La mia è una religiosità del dubbio, anziché delle risposte certe. Io accetto solo ciò che è nei limiti della stretta ragione, e sono limiti davvero angusti: la mia ragione si ferma dopo pochi passi mentre, volendo percorrere la strada che penetra nel mistero, la strada non ha fine.  Più noi sappiamo, più sappiamo di non sapere. … la mia intelligenza è umiliata. Umiliata. E io accetto questa umiliazione. La accetto. E non cerco di sfuggire a questa umiliazione con la fede, attraverso strade che non riesco a percorrere. Resto uomo della mia ragione limitata e umiliata. So di non sapere. Questo io chiamo “la mia religiosità”. … probabilmente non si riesce a resistere a questo dubitare continuo, a questo continuo non sapere, e allora ci si affida alle credenze … Io però, il fondo religioso della mia persona continuo ad intenderlo come questo non sapere. Ed è un fondo religioso che mi assilla, mi agita, mi tormenta». Letto su www.facebook.com – su cortese segnalazione dell’amica carissima Agnese A. - “Il coraggio della responsabilità” del teologo Vito Mancuso, pubblicato sul quotidiano “La Stampa” del 6 di luglio 2021: In questo tempo lattiginoso che non capiamo più, e che per questo chiamiamo postmoderno nominando solo ciò che esso ha cessato di essere, siamo alle prese con problemi immensi e per la gran parte inediti, che si assommano a quelli cronici che da sempre angustiano l’umanità. Problemi di etica individuale, come quelli di bioetica sull’inizio e la fine della vita, sull’identità di genere e la relativa omofobia. Problemi di etica ambientale, come il cambiamento climatico e la distruzione antropica di interi ecosistemi. Problemi di etica sociale, come le sempre più enormi sperequazioni economiche. Problemi educativi, dati dalla mancanza di una visione condivisa sull’essere umano che porta le nostre scuole a dispensare solo istruzione e nessuna educazione e formazione, le quali, invece, sono proprio ciò di cui i ragazzi hanno più bisogno. Problemi geopolitici che si presentano in ogni strada delle nostre città dove assistiamo all’incontro e spesso allo scontro tra le diverse civiltà, senza minimamente intravedere quale futuro ci aspetta … La società è governata sempre più da meccanismi che inducono molti a parlare di post-umano, con la tecnologia che trasferisce nelle macchine la nostra intelligenza prefigurando il passaggio da Homo Sapiens a Machina sapiens, mentre noi diventiamo sempre più macchine e siamo trattati sempre più da macchinari. In questo scenario l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è la vecchia contrapposizione ideologica fede/ragione. Di che cosa invece abbiamo bisogno? Di chiarirci le idee nel modo più onesto possibile sulla nostra più autentica essenza di esseri umani. Chi siamo realmente? Chi è Homo sapiens? Durante la sua esistenza Norberto Bobbio si definì sempre estraneo alla fede, talora esplicitamente non-credente: «Io non sono un uomo di fede, sono un uomo di ragione e diffido di tutte le fedi». (MicroMega. Almanacco di filosofia 2/2000, p.7). All’indomani della sua morte però, il 10 gennaio 2004, su questo giornale (la Stampa) venne pubblicato un testo, oggi noto come Ultime volontà, in cui il filosofo scrisse: «Non mi considero né ateo né agnostico. Come uomo di ragione non di fede, so di essere immerso nel mistero che la ragione non riesce a penetrare fino in fondo, e le varie religioni interpretano in vari modi». Con queste parole Bobbio descrive un rapporto ragione-fede del tutto diverso rispetto all’impostazione dominante. Di solito infatti si ritiene che la ragione faccia piazza pulita del mistero per introdurre la chiarezza del ragionamento, e che al contrario la fede sia appelli al mistero per rivelare verità dette «dogmi» e precetti detti «comandamenti». Bobbio capovolge la prospettiva: è la ragione a comprendere che siamo «immersi nel mistero», rispetto al quale le diverse religioni sono interpretazioni tutte imperfette. Egli supera così i due contrapposti dogmatismi: quello razionalista, secondo cui la ragione è luce e la fede oscurità, e quello fideista, secondo cui la ragione è oscurità e la fede luce, e afferma invece uno statuto del tutto peculiare: la ragione e la fede sono entrambe oscurità. È la cosiddetta «dotta ignoranza» rispetto al senso ultimo della vita, a cui si può aderire in prospettiva sia credente sia non-credente e che, in chi la fa propria, genera «mitezza», per riprendere una virtù tanto amata da Bobbio, che ne fece un memorabile elogio, e di cui il nostro tempo ha un immenso bisogno. Non abbiamo più bisogno di dividerci tra chi crede e chi non crede; abbiamo piuttosto bisogno di unirci nell’esercizio del pensiero, miti, cioè privi di volontà di primato, al fine di pensare e comprendere noi stessi. A questo riguardo io sostengo che la nostra più preziosa peculiarità consiste nell’essere capaci di percepire ciò che Bobbio chiamava mistero, di cui la manifestazione più sublime è la coscienza morale e la responsabilità che ne promana. Chi siamo quindi? Siamo intelligenze capaci di meraviglia e libere volontà capaci di responsabilità. Le nostre più specifiche caratteristiche (la statura eretta, la neocorteccia, il codice genetico, l’intelligenza analitica, la ragione sintetica, il sentimento, l’intelligenza emotiva) non sono tali da rinchiuderci in una definizione: noi rimaniamo pur sempre indefiniti a causa di uno spazio vuoto al nostro interno che possiamo chiamare caos, antica parole greca che andrebbe scritta chaos e che significa propriamente «vuoto», «abisso». In ognuno di noi si muove una quantità di energia indeterminata la cui azione è essenziale, nel bene e nel male, per avere la pienezza di un essere umano. Sto parlando della libertà, senza la quale non c’è umanità, e che forse costituisce il più grande mistero dell’universo. Il valore di un essere umano si gioca quindi sulla sua capacità di libertà. Il che significa che dobbiamo fare di tutto per custodire il nostro caos e per indirizzarlo a produrre consapevolezza e creatività rimanendo però sempre rinnovata possibilità di caos. Si compie così la sottile dialettica della vita, che è la capacità di obbedienza e di ribellione, di resistenza e resa, di imitazione e di libera creazione. In una parola sola, di responsabilità. Se penso alle grandi donne e ai grandi uomini che ho conosciuto, constato che ciò che ai miei occhi li fa grandi è ben altro della sola ragione. L’essere umano è ragione, ma anche volontà e sentimento, e io credo che il senso pieno della nostra esistenza sia dato dall’insieme di ragione, volontà e sentimento. È la loro unione a creare un essere umano autentico. L’unione di ragione, volontà e sentimento con una parola sola sia chiama «coscienza», o, poeticamente, «cuore». Dal termine cuore viene il termine «coraggio». E alla fine, per me, il senso della vita consiste nel coraggio che continua a credere coscientemente e responsabilmente agli alti ideali dell’umanità (il bene, la giustizia, la verità, la bellezza, l’amore) anche in un mondo come questo. È questa, infatti, la vera fede.

1 commento:

  1. "La principale malattia dell'uomo è la curiosità irrequieta delle cose che non può sapere".(Blaise Pascal). "L'ultimo passo della ragione è di riconoscere che ci sono un'infinità di cose che la sorpassano".(Blaise Pascal). "Chi non ammette l'insondabile mistero non può essere neanche uno scienziato".(Albert Einstein). "La massima conoscenza è sapere che siamo circondati dal mistero".(Albert Schweitzer). "La scienza mette in fuga il mistero... Falso. La scienza non fa che spostare il mistero sempre più in là, alza la soglia..." (Carlo Sgorlan). "Noi viviamo nella particella microscopica di un enorme mistero, e continueremo a non avere risposta ad alcuna delle domande che ci siamo posti fin dall'infanzia".(Paulo Coelho). "I misteri illuminano le tenebre che ci circondano, mantenendo il segreto di se stessi, come una lampada che ci dà luce, anche se non capiamo il suo funzionamento".(Paul Claudel). "L'unica scelta autentica della nostra vita è quella di immergerci nel mistero della forza superlativa dell'Amore".(Paulo Coelho). Carissimo Aldo, grazie per avermi consentito la rilettura, in questo tuo post, della conclusione a cui giunge Vito Mancuso, riprendendo e condividendo quanto affermato dal Nostro Grande Norberto Bobbio. È per me una fortunata opportunità che mi consente di estendere e approfondire le mie riflessioni su un problema che ho sentito come fondamentale in passato, ma che mi si ripresenta in modo ricorrente, anche se sotto aspetti differenti... Buona giornata e buona continuazione.

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