"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 10 novembre 2024

Lavitadeglialtri. 54 Tahar Ben Jelloun: «I palestinesi sono morti a migliaia. Un territorio vandalizzato. Case abbattute. Rifugiati ovunque. Le loro anime sono colpite, ferite, bruciate, l'odio che trascinano con sé presto o tardi riaccenderà una guerra senza fine».


Chi ha coltivato finora la speranza di veder nascere un giorno uno Stato palestinese accanto a quello di Israele si arrenda all'evidenza. Non ci sarà mai uno Stato palestinese. La tragedia del 7 ottobre 2023 e il successivo anno di guerra incessante hanno definitivamente ucciso ogni speranza di vedere realizzarsi quella soluzione, che avrebbe reso giustizia a un popolo oggi votato a una sopravvivenza minacciata o a un improbabile esilio. Prima della morte di Yahya Sinwar, mente del massacro del 7 ottobre, la maggior parte dei dirigenti dei movimenti palestinesi e libanesi è caduta vittima di assassini mirati: Hassan Nasrallah, Ismail Haniyeh, Mohamed Deif, Mohamed Nasser. Hamas e Hezbollah, decapitati, sono allo sbando. Non sanno più come battersi e come sopravvivere senza l'aiuto dei vicini Stati arabi, che restano in silenzio. Anche l'Iran non farà niente per i palestinesi. Si limiterà alle minacce, non andrà oltre. La posta in gioco per la sua strategia nucleare è troppo importante. Il terribile attacco del 7 ottobre non poteva avere altra conseguenza che una serie di massacri: combattenti armati, ma anche popolazione civile. Il numero di donne e di bambini uccisi a Gaza, nel sonno o mentre cercavano di fuggire, è enorme. Il numero dei morti non ha importanza. La pulizia etnica non bada a certe sottigliezze. Oggi che tutti i capi sono stati eliminati e che in particolare Hamas - che ancora detiene gli ostaggi - non ha più un vertice politico né militare, ci si domanda: se Netanyahu dovesse decidere di volere la liberazione degli ostaggi, con chi negozierà? Sembra che la sua principale preoccupazione, dalla sera del 7 ottobre 2023 in poi, sia stata liquidare il maggior numero possibile di palestinesi. Crede che così anche la questione palestinese sparirà. Poco lungimirante. Quanto agli sfortunati ostaggi, innocenti come le famiglie sterminate a Gaza, la politica di Netanyahu sembra averli sacrificati. Netanyahu ha avuto diverse occasioni per negoziare la loro liberazione, ma ha preferito sacrificarli, accusando Hamas di porre condizioni ricattatorie. Oggi, a Gaza come in Cisgiordania, i palestinesi stanno perdendo la loro terra. Gaza sarà nuovamente colonizzata. Quanto al Libano, la parte meridionale sarà di nuovo occupata. Nel frattempo, il silenzio degli Stati arabi della regione è assordante. Non una parola. Non una lacrima. Non un minuto di lutto e di silenzio. L'America fornisce quotidianamente a Israele le armi di cui ha bisogno, accompagnando la consegna con miliardi di dollari. (…).
(il) ritorno di Trump al potere è il più grande desiderio di Netanyahu. Ciò che è certo è che, se Trump dovesse tornare alla Casa Bianca, sarebbe una pessima notizia per i palestinesi ancora vivi. Come i pellerossa in America, dovranno affrontare momenti difficili e, con il tempo, saranno probabilmente sterminati. L'Arabia Saudita e altri Stati del Golfo firmeranno gli accordi di Abramo e stringeranno relazioni di buon vicinato con uno Stato forte che sarà riuscito a far dimenticare la questione palestinese. Ma non per questo Israele potrà vivere in pace. In questo terribile anno di guerra senza quartiere, i palestinesi sono morti a migliaia. Un territorio vandalizzato. Case abbattute. Rifugiati ovunque. Le loro anime sono colpite, ferite, bruciate, l'odio che trascinano con sé presto o tardi riaccenderà una guerra senza fine. (Tratto da “La pace impossibile” di Tahar Ben Jelloun pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 6 di novembre 2024).

“Israele agisce impunemente e l’Onu non fa nulla per noi”, corrispondenza di Rachida El Azzouzi pubblicata sul giornale online “Mediapart” e riportata su “il Fatto Quotidiano” del 28 di ottobre 2024: Elie Alwan ha gli occhi annebbiati dalle lacrime. Cammina nervosamente da una stanza all'altra dell'appartamento, prende il telefono, fa una chiamata dopo l'altra. Poi si accascia, stanco, sulla poltrona che sta accanto al letto dove è seduta la madre, Charlotte. La donna di 73 anni ha il corpo tumefatto e la gamba sinistra fratturata. Sul tavolino, ci sono una tazzina di caffè e la foto del padre, morto un anno fa dopo un'operazione al cuore. "Non dormo più", dice. Una settimana fa, la casa di Elie Alwan ad Aito, un villaggio sulle montagne del nord del Libano, dove vive tutta la sua famiglia, è stata abbattuta da un missile israeliano, ridotta ad un cumulo di macerie. Elie, che è imprenditore edile, aveva messo degli anni a costruirla, pazientemente, per sé e per sua moglie Nadine, insegnante. È stata la prima volta, dall'inizio dell'offensiva lanciata il 23 settembre scorso, che Israele ha colpito un villaggio a prevalenza cristiana. Aito, a un'ora e mezza d'auto da Beirut, nel distretto di Zghorta, talvolta chiamato "il maronistan", famoso per l'olio d'oliva e l'arak, il liquore locale, è molto lontana dalle roccaforti sciite di Hezbollah, del sud del Libano o della Bekaa. Nei bombardamenti del 14 ottobre, quando la casa di Elie Alwan è crollata, sono morte ventiquattro persone: dodici donne, di cui due disabili, dieci uomini e due bambini. Cinque persone sono rimaste ferite e sono ancora ricoverate in ospedale. "Erano persone meravigliose, pastori e contadini, che stavano vivendo un momento difficile per essere stati sradicati dalla loro terra a causa della guerra. Si vergognavano di dover dipendere da noi", osserva Elie Alwan. Erano dei parenti di un amico di lunga data di Elie Alwan, Hussein, emigrato in Australia, che erano stati costretti a fuggire dal loro villaggio di Aitaroun, nel sud del Libano, sotto le bombe israeliane, alla fine di settembre. Elie non ha esitato un attimo ad accoglierli: "Ahlan wa sahlan, benvenuti, c'è spazio per tutti". Da un anno a questa parte, Elie Alwan, sua moglie e i quattro figli si recavano solo di tanto in tanto, nei fine settimana e durante le vacanze, nella casa di Aito, preferendo vivere, per motivi pratici, in un appartamento in affitto a Chekka, ad una quarantina di minuti d'auto di distanza. Il 14 ottobre, Elie Alwan aveva trascorso tutta la mattina ad Aito. Era andato a trovare i suoi fratelli, Dany e Sarkis, e la madre Charlotte, ed era passato anche a salutare gli zii sfollati del suo amico Hussein. Poco prima delle 14, c'era stata la gigantesca esplosione. In quel momento Dany si trovava nella sua casa, accanto a quella di Elie. I vetri delle finestre erano andati in frantumi, parte del pavimento e delle pareti erano crollate ed era tutto coperto di polvere. Uscendo da casa si era trovato davanti ad una scena "apocalittica". I corpi senza vita di tre persone giacevano in giardino. C'erano pezzi di corpi umani ovunque. Una mano strappata era finita sul parabrezza dell'auto. Un operaio arrivato da Beddawi, vicino a Tripoli, che stava lavorando sulla terrazza della casa del fratello, era stato lanciato per aria dall'esplosione e cercava di raggiungerlo a fatica, zoppicando. Solo in quel momento si era reso conto di aver rischiato di morire. Contemporaneamente, l'altro fratello, Sarkis, si era precipitato nella casa dei genitori, dove da tempo la madre viveva da sola. La donna urlava per il dolore perché diversi oggetti le erano caduti addosso. La casa era ancora in piedi, ma era diventata inabitabile. Dalle macerie era venuto fuori il cane, Max, che era sopravvissuto. Erano rimaste intatte la statua di Charbel, il santo più amato in Libano, monaco ed eremita dell'ordine maronita, e il quadro della Madonna di Medjugorje. "È un miracolo se siamo vivi", ripete Charlotte Alwan, stringendo una croce tra le mani. Alle pareti ci sono diverse figure sacre, tra cui quella di Santa Rafka, che era originaria di Aito, canonizzata nel 2001. Poco prima dell'esplosione, era stata invitata a prendere il caffè dalla famiglia rifugiata da loro: "Avevo detto che sarei andata più tardi perché ero al telefono. Potevo morire anch'io". "Solo la fede ci aiuta ad andare avanti - osserva Nadine -. Abbiamo perso tutto, i mobili, i vestiti, i gioielli, ma soprattutto abbiamo perso i ricordi". Tra le macerie, sotto il sole cocente della "seconda estate" del Libano, Nadine ha ritrovato alcuni giocattoli, dei quaderni di scuola, delle ciabatte e alcune foto. La sua sola preoccupazione ora è di proteggere i suoi figli, che hanno tra 7 e 15 anni: "Abbiamo deciso di non portarli ad Aito". Ma ovviamente non hanno potuto nascondere loro la strage, di cui si è parlato nei media di tutto il mondo. Sui social si sono scatenati i commenti: "Non avreste dovuto accogliere gli sfollati sciiti". Le Nazioni Unite hanno chiesto un'indagine "tempestiva, indipendente e approfondita". Jeremy Laurence, portavoce per i diritti umani delle Nazioni Unite, si è detto "molto preoccupato per le violazioni al diritto umanitario internazionale di Israele". Ma Nadine Alwan non ci crede: "È solo un modo per farci credere che Israele verrà punito. Nessun investigatore dell'Onu è venuto e mai nessuno verrà. Non c'è più Stato in Libano e non c'è più comunità internazionale". "Una volta che i soccorsi sono andati via, ho visto soprattutto giornalisti qui. Siamo in Libano, quindi dobbiamo cavarcela da soli", aggiunge Dany. Tutte e quattro le auto sono state bruciate. Per ristrutturare la casa, Dany deve trovare 20 mila dollari. Non riesce ad immaginare quanto costerà a suo fratello Elie ricostruire casa sua e spera che potrà "essere risarcito". Ma sua madre Charlotte non crede nei risarcimenti. Circola un'informazione impossibile da verificare. "Un quarto d'ora prima dei bombardamenti - racconta Dany -, sono arrivate due auto. Da una è sceso un uomo che è entrato in casa di mio fratello. Pochi minuti dopo, la casa è esplosa", Si dice che l'uomo in questione fosse un responsabile di Hezbollah "che faceva il giro degli sfollati per fornire loro aiuti finanziari". "Se era lui l’obiettivo, Israele dimostra ancora una volta quanto è spietato. L'esercito ha aspettato che l'uomo fosse in mezzo a dei civili innocenti per colpirlo. Perché non lo hanno preso di mira quanto era nell'auto?", si chiede Nadine. Dopo il dramma la prima reazione della donna era stata di implorare al marito di andare via: "Lasciamo il Paese! - gli aveva detto-. Andiamo via, negli Stati Uniti, in Ca-nada, in Australia". Nadine non vuole che i loro figli conoscano "solo la guerra": "Io ho 36 anni e non ho conosciuto altro". Un po' alla volta emergono i traumi passati: la guerra civile dal 1975 al 1990, l'occupazione del Libano meridionale fino al 2000, la guerra del 2006, l'esplosione del porto di Beirut nel 2020 e ora "questa guerra che non è nostra". Il distretto di Zghorta è la roccaforte di Sleiman Frangié, ex ministro e leader maronita del movimento Marada, amico d'infanzia di Bashar al-Assad e candidato ufficiale dell'alleanza sciita Hezbollah-Amal alla presidenza del Libano. "Slimy" Frangié era cresciuto con il nonno, Soleimane Frangié, presidente del Libano dal 1970 al 1976 e amico di Hafez al-Assad, padre di Bashar, dopo che i genitori e la sorella erano stati assassinati nella loro casa di Ehden da un commando delle Falangi Libanesi durante la guerra civile del 1978. "Non dobbiamo permettere agli israeliani di dividerci. Qualunque sia la nostra religione, cristiana, sunnita, o altro, dobbiamo continuare ad accogliere gli sfollati sciiti", osserva Elie Alwan. Da quando la sua casa è stata bombardata, molti rifugiati hanno deciso di andarsene: "La paura ha preso il sopravvento su tutti. Ma continueremo a dare rifugio a chi ne ha bisogno o è in pericolo". Lontano da lì, in Australia, il suo amico Hussein, che "non è di Hezbollah", ci tiene a precisare Elie, è devastato dal dolore e dai sensi di colpa. "Pensa che sia colpa sua se i suoi zii sono morti e se la mia casa è saltata in aria. Ma il criminale non è lui, è il governo israeliano".

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