“Ai bimbi di Gaza serve speranza nel futuro ridagliela è nostro dovere”, testo della intervista di Francesca Caferri allo scrittore israeliano David Grossman pubblicata sullo stesso numero editoriale del quotidiano “la Repubblica”: (…). Signor Grossman, un libro per i bambini è quasi necessariamente un libro di speranza. Oggi però si fatica a vederla… «Eppure c’è. La Storia non si ferma mai: ai periodi di buio come quello che viviamo oggi, seguono momenti migliori. Ci vogliono anni, non parliamo del futuro prossimo, ma la speranza nel lungo periodo non muore. Nei periodi bui, come questo, bisogna tenere un’attenzione particolare ai bambini, essere consapevoli di quello a cui li esponiamo. Perché se ascoltiamo un telegiornale o stiamo con la radio accesa, noi siamo abituati a ciò che dice. Loro no e creano storie partendo da quello che hanno ascoltato, dando spazio alle loro paure: paure che possono essere più grandi della realtà che li circonda».
Non credo che i bambini di Gaza possano immaginare una realtà più spaventosa di quella che li circonda… «Ogni volta che parlo di bambini penso ai bambini di Gaza, a quello che stanno vivendo, al fatto che non hanno una casa, alle bombe che cadono su di loro senza nessuna protezione. Senza un rifugio, senza un tetto. È nostro dovere metterci nei loro panni, perché quello che accade loro in questo momento è nostra responsabilità. Il fatto che questa crisi sia iniziata a causa di ciò che Hamas ha fatto il 7 ottobre, oggi è irrilevante davanti alla sofferenza di questi bambini e dei civili innocenti».
In Israele a pensarla come lei è una minoranza. La maggior parte del Paese non vede l’altro se non come “il nemico”… «La guerra crea più persone belligeranti che pacifiche: è un circolo vizioso. Quelli che avevano bisogno di trovare una prova della brutalità dei palestinesi, di dare la colpa a tutti i palestinesi, purtroppo l’hanno trovata nel 7 di ottobre. All’inizio io stesso ho perso lucidità. Credo che nei primi due-tre giorni sia stato legittimo desiderare vendetta di fronte a tanta brutalità: ma non è legittimo che dopo tanto tempo un primo ministro sia guidato ancora dalla sete di vendetta. Che cosa stiamo facendo? Come usciamo da questa situazione? Vogliamo altri cento anni di guerra? Dopo decenni di occupazione, terrore, violenza: non ci basta? Cosa vogliamo lasciare ai nostri figli: ancora odio?».
Lei ha due nipotine di 10 e 13 anni: cosa risponde loro quando le chiedono di aiutarle a capire che succede? «Ormai non chiedono più, sono grandi. Ma nel tempo ho fatto attenzione a non esporle a realtà troppo grandi per loro. Quello che ci tengo a ricordare loro è che la realtà non è un gioco di computer, che ci sono esseri umani dietro a ciò che vedono alla tv: che anche se leggono le cose con i loro occhi da ragazzine israeliane, esiste anche un altro punto di vista, quello dei ragazzini della loro età che sono dall’altra parte».
(…). …un bambino, Itamar, aspetta la nascita di un fratellino o di una sorellina: lei cosa augurerebbe a un bimbo che si affaccia oggi al mondo? «Di essere felice. Di vivere una vita senza paura. Di avere un futuro e un futuro diverso dal presente che stiamo vivendo noi: dove ci sia gioia. So che posso suonare ingenuo, ma sarà la realtà a insegnare ai bambini le cose brutte: a noi – nonni e genitori - spetta essere messaggeri di speranza. Anche contro la realtà che ci circonda, anche contro l’odio che la guerra crea nei cuori. È nostro dovere ricordare ai bambini che guerra e odio non sono l’unica opzione, che popoli che si sono combattuti per anni ora vivono in pace e si scontrano solo sui campi di calcio. (…). È necessario coltivare l’immaginazione dei bambini. Dobbiamo fare in modo che non venga schiacciata dalla tristezza e dalla tensione di noi adulti: posso solo immaginare quanto possa essere difficile applicare questa idea ai bambini di Gaza oggi, ma non possiamo assolutamente arrenderci».
Lei suona più ottimista di quanto non fosse qualche settimana fa… «Forse è la distanza che ho preso da Israele. Non è sempre stato facile, a volte mi sono sentito responsabile perché non ero lì: ma mi serviva. Ci tengo a dire una cosa: non pensate che io sia un illuso, che viva in un’allucinazione. La speranza potrà non essere popolare adesso, ma non è impossibile nel futuro. Abbiamo il dovere di dare ai bambini strumenti per superare la paralisi che noi stiamo vivendo. L’odio ha tanti agenti: più la guerra va avanti più crescono. In una situazione così brutta, sperare è un atto di protesta. Non possiamo lasciare la realtà nelle mani dei codardi, di chi odia o di chi assiste passivamente a quello che succede».
Sta parlando di pace? «La pace è una prospettiva lontana. Sto parlando di dialogo, di tolleranza reciproca: israeliani e palestinesi non potranno camminare mano nella mano verso il tramonto, ma verrà il tempo in cui dovranno ricominciare a parlarsi. Ho sentito che a Gaza c’è gente che protesta contro Hamas, vedo la gente in Israele protestare contro il governo: sperare non è impossibile».
Nessun commento:
Posta un commento