"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 8 agosto 2020

Virusememorie. 34 «C’è bisogno di cambiamento, di una presa di posizione anti-capitalistica».


Ha scritto il filosofo Leonardo Caffo in “Dopo il Covid-19” – edizioni “nottetempo” -: “Ogni prudenza borghese che stigmatizzava come esagerate le preoccupazioni animaliste o ecologiste non può piú essere difesa con ragionevolezza; il tempo attuale, in questa specie di pausa forzata dalla vita di ogni giorno, non può che essere quello per la preparazione all’esistenza postumana che, volenti o nolenti, attende tutti”.
Tratto da “Un lockdown tutto per me”, intervista di Roberto Festa alla scrittrice britannica Zadie Smith pubblicata sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 31 di luglio 2020: (…). «È stato doloroso vedere la città svuotarsi. New York vive per la vita sociale, i teatri, la cultura. Non so quale sarà il suo futuro» (…).
Come sono stati i mesi di lockdown a New York? «Rivelatori. Il tempo di New York è psicotico. Non esiste nulla che non sia programmato, produttivo, monetizzabile. Ed è diventato il mio tempo. Anch’io vado in giro dicendo quanto sono presa, quanto non abbia un momento libero. Il virus ha fermato questo tempo e mi ha fatto comprendere con chiarezza quanto io stessa sia stata coinvolta in questo sistema».
Il virus negli Stati Uniti ha ucciso soprattutto i più poveri, i neri, quelli che non possono permettersi un’assistenza sanitaria. L’emergenza coronavirus cambia qualcosa della percezione che gli americani hanno delle loro enormi diseguaglianze sociali? «È presto per dirlo. L’America ha avuto due momenti in cui si è cercato di creare una società più giusta: l’età della Ricostruzione, dopo la Guerra Civile e l’abolizione della schiavitù, e gli anni Sessanta, con il passaggio della legislazione sui diritti civili. In entrambi i casi, strutture legali più eque furono smantellate nei successivi decenni. Oggi le scuole di New York sono segregate come negli anni Cinquanta. Il Covid-19 ha mostrato che la morte, negli Stati Uniti, ha sempre una fisionomia e un reddito molto precisi. Non so però dire quanto questa percezione si trasformerà in azione. In America si fa spesso molto rumore ma il progresso procede in modo lento».
In Questa strana e incontenibile stagione lei parla del “disprezzo come virus”. Il virus non è solo il Covid-19, è anche il pregiudizio sociale e razziale sbattuto in faccia ai più deboli. È il disprezzo, insito nel gesto del poliziotto che ha ucciso George Floyd, ad aver prodotto proteste così violente? «È difficile spiegare perché certi eventi assumano un significato particolare. Per molti in America la morte di George Floyd è qualcosa di perfettamente riconoscibile. È successo nel passato, succederà ancora, perché alcuni sono meno cittadini di altri. Per una parte del Paese, c’è però voluta la vittima sacrificale per capire quanto il sistema giudiziario sia corrotto. Probabilmente, come in tutti i momenti storici, c’è stata oggi una conflagrazione di cose diverse. L’omicidio di Floyd si è innestato sull’esasperazione per le ingiustizie passate e sulla stanchezza delle persone, chiuse in casa da mesi. E la rabbia è esplosa».
Le proteste sono state influenzate dalla disperazione creata dall’emergenza coronavirus nelle comunità afroamericane? «All’inizio il virus ha colpito in proporzione molto maggiore i neri e i più poveri. Le cose poi sono cambiate, ed è diventato un problema di tutti. Ma in quella prima fase, le tradizionali gerarchie americane hanno funzionato. Se sei povero e svantaggiato, hai più probabilità di morire; ai neri è sempre andata male, andrà male anche questa volta. La noncuranza con cui questa realtà è accolta, in America, ha questa volta generato una rabbia che si è poi incanalata nelle proteste per Floyd».
Le mobilitazioni sono un possibile vaccino contro il virus del razzismo? «Penso che per cambiare davvero le cose ci voglia un sistema di leggi. Non capisco perché il razzismo debba essere considerato una questione personale. Non mi interessa cambiare la testa e il cuore della gente. Le manifestazioni di impegno antirazzista sono cose bellissime, ma fino a quando non viene introdotta una legislazione, le cose non cambiano. La Gran Bretagna non è un Paese perfetto, ma qui le conquiste in tema di eguaglianza razziale sono il prodotto di un sistema di leggi; leggi che, per esempio, hanno creato un sistema scolastico per tutti. È questo che mi ha permesso di studiare, non l’amore e la buona volontà dei miei vicini. L’unica strada è desegregare l’America. Temo ci vorrà del tempo».
Alcuni dicono che dopo questi mesi nulla tornerà come prima. Che ne pensa? «Lo spero. Nei Paesi in cui vivo, Stati Uniti e Gran Bretagna, ci sono troppe cose malate. C’è bisogno di cambiamento, di una presa di posizione anti-capitalistica. Ci sono segnali interessanti: la monetizzazione delle nostre società, la sanità, il ruolo della polizia vengono messi in discussione. Nascono idee radicali su un diverso tempo del lavoro. Questo libro io l’ho scritto a casa e da casa hanno lavorato quelli che hanno partecipato alla sua produzione. Tutto è filato liscio. Esiste una menzogna sulla produttività, che l’emergenza di questi mesi finalmente rivela».

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