"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 24 agosto 2020

Cronachebarbare. 73 Zagrebelsky: «I numeri, nei consessi collettivi, sono direttamente proporzionali alla irrilevanza».

Prima che Vi addentriate nella lettura dello straordinario “pezzo” di Gustavo Zagrebelsky – “Se la Costituzione resta nascosta dietro una diatriba tutta politica”, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di ieri 23 di agosto – Vi invito ad osservare con grande attenzione la foto posta a lato.
Vi compare un’aula deserta del Parlamento italiano. Al banco del Governo sparuti rappresentanti dello stesso. Non è la prima volta di vedere una immagine del genere: un’aula resa vuota da coloro che dovrebbero stabilmente abitarla. In questo caso il “numero” non fa specie. Faceva specie in quello che viene abitualmente chiamato il “ventennio nero” dell’Italia – “nero” in tutti i sensi -, allorché il “numero” rappresentava potenza bellica, potenza di morte. Non è certamente il “numero” che debba fare specie in una democrazia. Per di più che la decisione di ridurre il “numero” dei parlamentari è stata una deliberazione di un libero Parlamento. Si vadano a guardare i numeri di quella deliberazione: all’ultima lettura ben 553 dei parlamentari ha votato per il Sì, 14 hanno espresso il No e solamente 2 sono stati gli astenuti. Oggigiorno sono in tanti a disconoscere ignominiosamente una propria deliberazione. Come se il “numero” e non la “qualità” facesse la differenza tra un Parlamento che lavora e delibera ed un parlamento di voltagabbana ed assenteisti. E lo si comprende bene, poiché in quel “numero” alto è sempre più facile imboscare le “mezze figure” – o meno ancora - della politica, a detrimento proprio della qualità dell’altissima Assise. Del resto la vergognosa legge elettorale sta lì proprio per questo inverecondo motivo; rendere più che funzionale ed al meglio la ragione di quel “numero” alto di parlamentari, ridottisi in grande maggioranza a semplici “yes-man” dei capi-partito e delle relative camarille. Ha scritto Gustavo Zagrebelsky che “se avessero chiesto a qualcuno che ne sa di dinamiche collettive, come fare per umiliare un organo quale un Parlamento, una delle prime cose che avrebbe suggerito, magari pensando alla massa compatta e grigia dell’Assemblea popolare cinese o del Congresso dei deputati del popolo dell’Unione sovietica (migliaia di persone), sarebbe stata di moltiplicare i numeri”. Bene. E sulla “qualità” dei soi-disant “rappresentanti del popolo” ne ha scritto Curzio Maltese sull’ultimo numero del settimanale “il Venerdì di Repubblica” – “Caricature al potere” - del 21 di agosto: “non sarà un caso che in passato anche la politica più criminale avesse menti diaboliche ma sagaci, mentre oggi la maggioranza è formata da caricature ridicole (…). Nel nostro Paese, la genialità di Berlusconi è stata anticipare i tempi creando una televisione talmente bolsa da distruggere l’Italia e le sue menti. I programmi televisivi sono diventati un’escrescenza della pubblicità, annullando ogni salutare differenza nel mare dell’audience, per cui tutto è uguale a tutto, e lasciando che la gente cresca o invecchi rimbecillendo davanti a un elettrodomestico. Come inevitabile conseguenza, la nazione gli ha restituito in cambio l’onore di essere oggi all’ultimo posto in Europa per livello di istruzione”. Oggigiorno una tale inattesa affermazione di Curzio Maltese dovrebbe rendere riconoscimento a coloro i quali in tutti questi anni avevano avvertito e visto con terrore – e denunciata -, nell’uomo venuto da Arcore, la carica di negatività della sua azione e preconizzato tutte le terribili conseguenze che ne sarebbero derivate alla democrazia del Paese. Anche quella parte politica – “Forza Italia” - si è ritrovata tra quei 553 parlamentari che hanno votato per la riduzione del cosiddetto “numero”; oggi, ne disconoscono la paternità. Solo un espediente regolamentare del Senato ha consentito ad uno sparuto gruppo di senatori la raccolta di firme per un esposto da avanzare alla Corte Costituzionale e ad innescare così il meccanismo del “referendum confermativo” del 20/21 di settembre prossimi. Io voterò per il “SI”. Ha scritto Gustavo Zagrebelsky: Mi sento come l’asino di Buridano. Mi trovo davanti a due sacchi di fieno e due secchi d’acqua uguali e a identica distanza. Su uno c’è un bel Sì e sull’altro un bel No. Pensandoci e ripensandoci mi sento un asino, ma non un asino qualunque: l’asino che occupa un posto di rilievo nelle dotte discussioni medievali sul libero arbitrio: l’asino di Buridano. Quell’asino, che sono io, si trova davanti a due sacchi di fieno e due secchi d’acqua fresca, perfettamente uguali e a identica distanza da lui. Su uno c’è un bel SÌ e sull’altro un bel NO. Come decidersi per l’uno o per l’altro? Per un momento, mi ricordo che, in tempi non sospetti, condividevo l’opinione di coloro che pensavano che il nostro Parlamento fosse pletorico. Avevo argomenti che mi sembravano buoni. Innanzitutto, nelle assemblee troppo numerose i talenti si confondono in masse senza qualità. Le masse senza qualità, non agiscono ma sono chiamate a reagire, cioè per far qualcosa devono essere eterodirette. Dipendere da altri, tutti sono capaci. Nei grandi numeri, i singoli si confondono e possono nascondersi, non si considerano responsabili di ciò che avviene, sviluppano spiriti gregari, sono numeri. I numeri, nei consessi collettivi, sono direttamente proporzionali alla irrilevanza. Mi sembrava che, se avessero chiesto a qualcuno che ne sa di dinamiche collettive, come fare per umiliare un organo quale un Parlamento, una delle prime cose che avrebbe suggerito, magari pensando alla massa compatta e grigia dell’Assemblea popolare cinese o del Congresso dei deputati del popolo dell’Unione sovietica (migliaia di persone), sarebbe stata di moltiplicare i numeri. Così, l’asino si sarebbe incamminato verso il fieno e l’acqua fresca del SÌ. Ora, però, si sostiene tutto il contrario, cioè che la diminuzione del numero dei parlamentari coincide con l’umiliazione del Parlamento. In fondo, nel non detto, ci sarebbe il perenne virus antiparlamentare del popolo italiano, che galleggia nel fondo di ogni tentazione autoritaria o, versione aggiornata, nel plebiscitarismo che si nasconde in certa democrazia diretta. Il taglio parziale dei parlamentari, così, sarebbe solo un rimedio momentaneo, in vista di un taglio ben più radicale. Se fosse così, l’asino avrebbe invertito la marcia verso il NO. Il quale NO si appoggia su quest’altra considerazione circa le numerose funzioni che il Parlamento deve adempiere: legiferare, indirizzare, controllare nei campi più diversi, corrispondenti alle sempre più numerose presenze dello Stato nella vita civile. Chi potrà esercitarle convenientemente, se non ci saranno abbastanza persone a occuparsene, a partecipare alle sedute dell’Aula, alle riunioni delle Commissioni, eccetera? Sarà il governo con suoi atti che sfuggiranno ai controlli che, in democrazia, sono necessari. In breve, diminuire il numero dei parlamentari significa aumentare i già cospicui poteri del governo: democrazia a rischio. L’asino si rafforza ancor di più nella sua convinzione per il NO. Come tutti gli asini, anche questo è testardo. Ma non lo è, però, fino al punto dal non pensare che ciò su cui deve decidersi è un taglio quantitativo, non una abolizione, e che il resto è solo un processo alle intenzioni. Non si decide su questioni costituzionali in base a processi alle intenzioni, ma considerando la realtà che sta al di là, tanto più che le intenzioni passano e le riforme restano. Questo asino ha la memoria lunga e si ricorda che il Parlamento, fino alla riforma costituzionale del 1963 era meno numeroso (la Camera dei deputati, nella I legislatura, ad esempio, era di 572) e ciò non ha mai fatto lamentare difficoltà nell’esercizio delle funzioni dei parlamentari. Ma, soprattutto, non gli è difficile prendere atto dell’assenteismo, dell’incompetenza, dell’anonimato, alla fine dell’irrilevanza di molti. Chi è fuori del Parlamento si stupisce spesso di apprendere che dentro ci stanno Tizio, Caio o Sempronio le cui opere sono totalmente assenti e sconosciute. Prende corpo l’idea di diminuire i numeri degli oziosi, valorizzando gli operosi. Questa è altra questione che si risolve non parlando di numeri, ma di qualità: una questione che bisognerà pur porre, prima o poi. In ogni caso, ciò che è chiaro è che l’argomento del carico di lavoro è specioso. E così la propensione per il SI’ si rafforza. C’è poi la questione del rapporto tra gli eletti e gli elettori, la questione della rappresentanza democratica. Qualunque asino sa che tanto più elevato è tale rapporto, tanto più evanescente è il rapporto tra i primi e i secondi. Uno a uno sarebbe l’optimum; uno a quaranta milioni (quanti siano gli elettori) sarebbe il pessimum. L’uno e l’altro sarebbe assurdo: il primo sarebbe il contrario della rappresentanza, il secondo coinciderebbe con il dispotismo elettivo. Ma la cura di questo rapporto è essenziale in democrazia e, perciò, il NO si manifesta preferibile. Tuttavia, il rapporto di rappresentanza è flessibile, non esiste un rapporto “giusto”. Può variare a seconda dell’impegno dell’eletto, degli strumenti di comunicazione che gli si mettono a disposizione e, dall’altra parte, dalla capacità degli elettori, singoli e organizzati attraverso associazioni, partiti, sindacati, di far sentire la propria voce. Il deputato che percorre in carrozza le strade polverose del suo collegio per incontrare la sua gente è l’immagine romantica d’un passato perduto. Se poi per rappresentanza s’intende il deputato che richiede, per esempio, nel question time, a cui il ministro o chi per esso risponde leggendo un foglio preparato dagli uffici, si capisce che la “rappresentanza” può essere cosa assai più seria di così. Le ragioni del no in nome del sacro principio della rappresentanza non sono allora così evidenti e avanzano di nuovo quelle del SI’. Insomma, alla fine questo asino al quale ho imprestato la mia asinità, a forza di girare di qua e di là è sconcertato, non sa dove rivolgersi e, forse, concluderà perfino di non avere né fame né sete e, così, preferirà voltarsi e andarsene altrove, mettendo fine al rovello al quale lo si è voluto sottoporre per saggiare in che consista il suo libero arbitrio. Ultima considerazione: alla fine si deciderà per ragioni che hanno poco a che fare con quelle propriamente costituzionali: fare un favore a questo o un dispetto a quello; rafforzare un partito rispetto ad altri; consolidare la maggioranza o indebolirla; mettere in difficoltà una dirigenza di partito per indurla a cambiare rotta e, magari, a cambiare governo o formula di governo. Ma, allora, quell’asino, per quanto asino sia, avrà un’ulteriore ragione per starsene costituzionalmente sulle sue.

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