Ha
scritto il filosofo Leonardo Caffo in “Dopo
il Covid-19” – edizioni “nottetempo” -: “Ogni prudenza borghese che stigmatizzava
come esagerate le preoccupazioni animaliste o ecologiste non può piú essere
difesa con ragionevolezza; il tempo attuale, in questa specie di pausa forzata
dalla vita di ogni giorno, non può che essere quello per la preparazione
all’esistenza postumana che, volenti o nolenti, attende tutti”.
Tratto da “Un lockdown tutto per me”, intervista di Roberto Festa alla scrittrice britannica Zadie Smith pubblicata sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 31 di luglio 2020: (…). «È stato doloroso vedere la città svuotarsi. New York vive per la vita sociale, i teatri, la cultura. Non so quale sarà il suo futuro» (…).
Tratto da “Un lockdown tutto per me”, intervista di Roberto Festa alla scrittrice britannica Zadie Smith pubblicata sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 31 di luglio 2020: (…). «È stato doloroso vedere la città svuotarsi. New York vive per la vita sociale, i teatri, la cultura. Non so quale sarà il suo futuro» (…).
Come sono stati i mesi di lockdown a New York? «Rivelatori.
Il tempo di New York è psicotico. Non esiste nulla che non sia programmato,
produttivo, monetizzabile. Ed è diventato il mio tempo. Anch’io vado in giro
dicendo quanto sono presa, quanto non abbia un momento libero. Il virus ha fermato
questo tempo e mi ha fatto comprendere con chiarezza quanto io stessa sia stata
coinvolta in questo sistema».
Il virus negli Stati Uniti ha ucciso soprattutto i più
poveri, i neri, quelli che non possono permettersi un’assistenza sanitaria.
L’emergenza coronavirus cambia qualcosa della percezione che gli americani
hanno delle loro enormi diseguaglianze sociali? «È presto per dirlo. L’America
ha avuto due momenti in cui si è cercato di creare una società più giusta:
l’età della Ricostruzione, dopo la Guerra Civile e l’abolizione della
schiavitù, e gli anni Sessanta, con il passaggio della legislazione sui diritti
civili. In entrambi i casi, strutture legali più eque furono smantellate nei
successivi decenni. Oggi le scuole di New York sono segregate come negli anni
Cinquanta. Il Covid-19 ha mostrato che la morte, negli Stati Uniti, ha sempre
una fisionomia e un reddito molto precisi. Non so però dire quanto questa
percezione si trasformerà in azione. In America si fa spesso molto rumore ma il
progresso procede in modo lento».
In Questa strana e incontenibile stagione lei parla
del “disprezzo come virus”. Il virus non è solo il Covid-19, è anche il
pregiudizio sociale e razziale sbattuto in faccia ai più deboli. È il
disprezzo, insito nel gesto del poliziotto che ha ucciso George Floyd, ad aver
prodotto proteste così violente? «È difficile spiegare perché certi eventi
assumano un significato particolare. Per molti in America la morte di George
Floyd è qualcosa di perfettamente riconoscibile. È successo nel passato,
succederà ancora, perché alcuni sono meno cittadini di altri. Per una parte del
Paese, c’è però voluta la vittima sacrificale per capire quanto il sistema
giudiziario sia corrotto. Probabilmente, come in tutti i momenti storici, c’è
stata oggi una conflagrazione di cose diverse. L’omicidio di Floyd si è
innestato sull’esasperazione per le ingiustizie passate e sulla stanchezza
delle persone, chiuse in casa da mesi. E la rabbia è esplosa».
Le proteste sono state influenzate dalla disperazione
creata dall’emergenza coronavirus nelle comunità afroamericane? «All’inizio il
virus ha colpito in proporzione molto maggiore i neri e i più poveri. Le cose
poi sono cambiate, ed è diventato un problema di tutti. Ma in quella prima
fase, le tradizionali gerarchie americane hanno funzionato. Se sei povero e
svantaggiato, hai più probabilità di morire; ai neri è sempre andata male,
andrà male anche questa volta. La noncuranza con cui questa realtà è accolta,
in America, ha questa volta generato una rabbia che si è poi incanalata nelle
proteste per Floyd».
Le mobilitazioni sono un possibile vaccino contro il
virus del razzismo? «Penso che per cambiare davvero le cose ci voglia un
sistema di leggi. Non capisco perché il razzismo debba essere considerato una
questione personale. Non mi interessa cambiare la testa e il cuore della gente.
Le manifestazioni di impegno antirazzista sono cose bellissime, ma fino a
quando non viene introdotta una legislazione, le cose non cambiano. La Gran
Bretagna non è un Paese perfetto, ma qui le conquiste in tema di eguaglianza
razziale sono il prodotto di un sistema di leggi; leggi che, per esempio, hanno
creato un sistema scolastico per tutti. È questo che mi ha permesso di
studiare, non l’amore e la buona volontà dei miei vicini. L’unica strada è
desegregare l’America. Temo ci vorrà del tempo».
Alcuni dicono che dopo questi mesi nulla tornerà come
prima. Che ne pensa? «Lo spero. Nei Paesi in cui vivo, Stati Uniti e Gran
Bretagna, ci sono troppe cose malate. C’è bisogno di
cambiamento, di una presa di posizione anti-capitalistica. Ci sono segnali
interessanti: la monetizzazione delle nostre società, la sanità, il ruolo della
polizia vengono messi in discussione. Nascono idee radicali su un diverso tempo
del lavoro. Questo libro io l’ho scritto a casa e da casa hanno lavorato quelli
che hanno partecipato alla sua produzione. Tutto è filato liscio. Esiste una
menzogna sulla produttività, che l’emergenza di questi mesi finalmente rivela».
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