A lato: "Villaggio portoghese", "penna ed acquarello" (2020) di Anna Fiore.
Tratto da "La nostra vita nell'era della guerra permanente", intervista di Anna Lombardi allo scrittore pachistano Mohsin Hamid pubblicata sul quotidiano “la Repubblica” del 25 di agosto dell’anno 2015: "Viviamo in una sorta di guerra permanente. Ogni giorno aprendo il giornale fronteggiamo scenari di guerra. Ci guardiamo intorno con sospetto, continuamente". (…).
Cos'è, esattamente, quel che chiama guerra permanente? "Quella che vive la gente sotto le bombe in Siria: ma anche quella di un padre che accompagna i figli a scuola a Peshawar temendo che i Taliban la prendano d'assalto. Quella di chi entra in un caffè a Sidney o in un supermercato a Parigi e si trova all'improvviso nel mirino dei terroristi. Senza dimenticare quella che in America vivono tanti ragazzi neri, che rischiano di farsi sparare addosso solo perché a un poliziotto bianco il loro comportamento appare sospetto...".
Lo considera un effetto collaterale della
globalizzazione? "Credo che più della paura il sentimento che ci accomuna
tutti è l'ansia. Intesa come paura emotiva che la nostra società, così come la
conosciamo, venga completamente ribaltata. Cioè il punto non è la globalizzazione,
che fin dai tempi dell'Impero romano, in fondo, è sempre esistita: ma la
velocità, data oggi dalla tecnologia, con cui certi cambiamenti accadono. La
tecnologia sta cambiando le nostre vite a una velocità inaudita fino a poco
tempo fa: penso a certi villaggi qui in Pakistan dove 20 anni fa nessuno sapeva
leggere e scrivere e oggi invece i bambini sono continuamente collegati a
Internet, sanno cose che i loro genitori non immaginavano nemmeno 5 anni fa. Ma
poi i cambiamenti concreti - sociali, economici,
politici - non seguono lo stesso passo. Questo crea ansia: e porta la gente
a chiudersi, a creare distinzioni. Nuove tribù".
Cosa intende per tribù? "Sistemi di
identità rigidi: cattolici o musulmani, per esempio, nel caso delle religioni.
Ma anche bianchi o neri, europei o americani e così via per sottogruppi. Questo
fa sì che stiamo perdendo ogni vocabolario comune, ogni modo articolato per
parlare in modo universale. Prendiamo la religione: da sempre dovrebbe essere
questo, un sistema universale. Ma sempre di più in questo ambito, nessuno
accetta quel che viene detto al di fuori dei propri canoni e parametri,
rifiutando, ad esempio, quello che le altre religioni dicono. Lo stesso accade
per la democrazia...".
La democrazia? Cosa cos'è che non va con la
democrazia? "Anche questo in teoria è un concetto universale. Ma non è
affatto vero che ogni essere umano è un voto. Se lo fosse dovremmo chiedere a
tutta l'umanità di votare per sapere se davvero ci devono essere restrizioni
sulle migrazioni. Se davvero abbiamo il diritto di buttare a mare chi fugge da
una guerra. Come possiamo parlare di diritti umani se non accogliamo chi è in
pericolo? Allora non siamo tutti uguali... Ecco, penso che molti dei concetti
che fin qui abbiamo usato per valutare il mondo stiano fallendo: socialismo,
religione, nazionalismo, democrazia...".
È da questo che nasce il nuovo
fondamentalismo? È per questo che un ragazzo come Jihadi John, laureato in
un'università inglese, lascia tutto per andare a tagliar gole in Siria? "Abbiamo
già visto nel corso della Storia che i giovani sono quelli che più facilmente
si lasciano sedurre da ideologie pericolose. Vale per chi ha fatto parte della
Gioventù hitleriana, per gli squadristi mussoliniani, gli anarchici che
mettevano bombe come per chi gira incappucciato con le insegne del Ku Klux
Klan. Cercare è nella natura dei giovani: e qui il discorso si fa complesso,
intervengono innumerevoli fattori. Ma sono convinto che quello più importante
oggi sia la gerontocrazia. La crisi dei giovani è un problema globale, ma lo è
a maggior ragione in Occidente dove mai come ora i vecchi hanno denaro, potere,
influenza, case, pensioni: sicurezze che ai giovani vengono negate. I
fondamentalismi nascono dalla marginalizzazione. E lo sbilanciamento del potere
è un fattore di marginalizzazione che prende, fra le tante forme, anche quella
religiosa ".
Vede una via d'uscita? "Bisogna
contrastare la narrazione degli ideologi religiosi, dei razzisti, dei demagoghi
politici. Ricordarci che anche l'Is racconta storie. E questo, oggi, è il ruolo
degli intellettuali, degli artisti, degli scrittori, della letteratura.
Dobbiamo riscoprire valori universali che ci facciano parlare la stessa lingua
e rompano i tabù delle tribù. Usare la creatività, la filosofia per avere nuove
idee che c'impediscano di piangerci addosso perché l'economia va a rotoli ma
spingano a cercare soluzioni post-capitalistiche, post- religiose,
post-nazionaliste..."
È per questo che la cultura è nel mirino dei
fondamentalisti? "Sì, è esattamente questo il motivo per cui lo Stato
Islamico distrugge opere d'arte, uccide gli intellettuali. Se vuoi imporre un
sistema unico, dove solo tu sei nel giusto, la cultura è il tuo nemico perché
ti dice che non ha senso, che non ci sono cose giuste o sbagliate, la mia gente
o la tua gente. Ma che la civiltà è qualcosa di molto più sfumato, cui tutti
apparteniamo".
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