È
come un seguito alla intervista di Roberto Festa alla scrittrice britannica
Zadie Smith, pubblicata sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 31 di
luglio 2020 e riportata nel post dell’8 di agosto, questa intervista di
Simonetta Fiori con lo storico Donald Sassoon pubblicata sul quotidiano “la Repubblica”
di oggi 12 di agosto con il titolo «Donald
Sassoon: “Marx ha finito le risposte”».
Sosteneva Zadie Smith in quella intervista quanto sia necessario un «cambiamento, di una presa di posizione anti-capitalistica» a seguito della pandemia tuttora in corso, pandemia che si rivela essere un allarmante segnale per il pianeta e per l’Uomo. Sostiene oggi Donald Sassoon: (…). "Oggi è impossibile fare previsioni", (…). "Io da storico osservo il passato, che è già un affare complicato".
Sosteneva Zadie Smith in quella intervista quanto sia necessario un «cambiamento, di una presa di posizione anti-capitalistica» a seguito della pandemia tuttora in corso, pandemia che si rivela essere un allarmante segnale per il pianeta e per l’Uomo. Sostiene oggi Donald Sassoon: (…). "Oggi è impossibile fare previsioni", (…). "Io da storico osservo il passato, che è già un affare complicato".
Però il suo libro "Sintomi morbosi" appare
quasi profetico, a cominciare dal titolo. "Sì, ma ammetto che non avevo la
minima idea che sarebbe scoppiata la pandemia. Quel riferimento al carattere
morboso del nostro tempo mi era stato ispirato da Antonio Gramsci. Nel 1930,
nel carcere fascista di Turi, scriveva che la malattia nasce sempre
nell'interregno, "quando il vecchio muore e il nuovo non può
nascere". La sua immagine mi sembrava calzante per l'oggi. È come essere
in mezzo a un guado: alle spalle c'è la vecchia sponda ma non si riesce a
scorgere la nuova perché travolti da correnti molto forti".
La pandemia è stata l'onda che ci ha sommerso? "In
parte sì, anche se le correnti a cui mi riferivo sono i nazionalismi xenofobi
che proliferano in Europa. Il virus segna una cesura netta, nel senso che nella
coscienza collettiva ci sarà un "prima" e un "dopo". Ma
sarei presuntuoso se riuscissi a leggere nitidamente questo "dopo".
Posso fare però dei raffronti con la grande pandemia novecentesca che tra il
1918 e il 1920 uccise 25 milioni di persone. Nonostante la cifra sia di gran
lunga superiore a quella delle vittime del Covid 19, la spagnola non produsse
effetti paragonabili a quelli attuali: all'epoca l'economia mondiale non era
interconnessa come lo è oggi. E possiamo ipotizzare che, se non vi fosse stata
la spagnola, nel dopoguerra ci sarebbero stati molti più disoccupati".
Sorprende che la spagnola sia stata studiata poco
dagli storici. "Ha sorpreso moltissimo anche me. Ne ho parlato a lungo con
Jay Winter, il grande storico britannico che ha dedicato la sua vita alla
Grande Guerra. Ma come è possibile che 25 milioni di morti non abbiano
interessato gli storici, i romanzieri, i registi? Forse la guerra è molto più
eccitante della malattia".
Ora gli storici saranno costretti a studiare il Covid
19, che ha già prodotto conseguenze politiche. "Ha accelerato quel
processo che avevo già individuato in Sintomi morbosi. I leader autoritari,
spesso eletti democraticamente, approfittano del virus per inasprire le leggi
liberticide. E a peggiorare il quadro interviene la fragilità dell'Europa,
favorita dalla Brexit e da una classe politica complessivamente mediocre".
In che modo cambierà il quadro economico? "Mi
colpisce che la Banca Centrale inglese faccia ogni giorno previsioni diverse:
sul calo del Pil, nel 2021, navighiamo nella totale incertezza. Ma per superare
la crisi - ed è questa l'unico dato certo - abbiamo bisogno dell'intervento
dello Stato. Quindi ci sarà ovunque un maggior peso del ruolo pubblico che
attenuerà quella spinta neoliberista che in Occidente è stata la dominante
negli ultimi decenni. L'idea centrale di questo indirizzo è che il capitalismo
possa crescere solo a condizione di diminuire l'intervento dello Stato. La
pandemia ha travolto questo impianto".
Il capitalismo potrebbe uscirne variato? "Sì. Una
sua prerogativa è la capacità di cambiare: è un sistema dinamico proteiforme
che si adatta a situazioni modificate. Ma sarebbe più corretto parlare di
capitalismi: ci sono enormi differenze da paese a paese".
Un mutamento sarà legato all'ambiente. La pandemia è
il frutto di un forte squilibrio prodotto dall'uomo. "Questo è un tema
centrale, (…). Le contraddizioni interne al capitalismo avvistate da Marx non
riguardano più la lotta di classe, ma la sostenibilità ambientale di questa
crescita. Il sistema di produzione capitalistico oggi trae la sua
legittimazione dal fatto che 150 anni fa a giovarsene era il 20 per cento della
popolazione, mentre oggi il rapporto è rovesciato: a fronte d'un 20 per cento
di perdenti, l'80 per cento della collettività sta molto meglio di nonni e
bisnonni. Quasi tutti possiamo avere un'automobile, comprare il cellulare o la
tv".
Ma il pianeta non regge più ai consumi crescenti. "Se
si va avanti di questo passo la crisi sarà gravissima. Pensi alle centinaia di
milioni di cinesi che negli ultimi decenni sono usciti dalla povertà:
giustamente vogliono lo stesso tenore di vita degli occidentali, muoversi in
automobile e avere l'aria condizionata quando fa caldo. Ma può il mondo
permettersi un miliardo e mezzo di cinesi con lo stesso standard di vita dei
californiani?".
(…).
Lei prima ha detto che sono migliorate le condizioni
di vita della popolazione nel mondo, e questo è un dato innegabile. Ma
nell'ultimo trentennio in tutto l'Occidente sono cresciute le diseguaglianze.
La pandemia ne è stato un formidabile evidenziatore. "In Inghilterra come
in Italia le diseguaglianze si ereditano dai genitori. E anche l'accesso alla
ricerca universitaria resta molto squilibrato. I salari dei giovani professori
sono più bassi di quello dei loro coetanei medici e avvocati. E con il prezzo
delle case alle stelle, può venire a insegnare a Londra solo chi è nato in una
famiglia benestante. Così avremo élite intellettuali figlie delle élite del
denaro".
Perché definisce il capitalismo il trionfo dell'ansia?
(…). "Il capitalismo non inventa l'ansia perché questo stato d'animo già
esisteva nell'era preindustriale. Nell'Italia del Settecento un contadino
guardava con preoccupazione al tempo, alle carestie o alle guerre, ma non
temeva che in America qualcuno potesse inventare il trattore e il prezzo del
grano crollasse. Con l'avvento del capitalismo, l'ansia entra a far parte del
sistema di produzione: può bastare una qualsiasi novità perché improvvisamente
precipitino le posizioni di vantaggio fin lì conquistate. Il capitalismo
seleziona continuamente vincitori e vinti".
Lei dialoga con Marx e scrive libri ispirati da
Gramsci. Cosa vuol dire per lei essere di sinistra nel XXI secolo? "È
un'attitudine che mi porta a stare da parte degli oppressi, non degli
oppressori; dalla parte di chi è discriminato, non di chi discrimina. Questo
non vuol dire necessariamente essere socialisti, ma vuol dire appartenere a un
campo più allargato nel quale mi riconosco da sempre. È difficile che (…) si
cambi pelle".
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