"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 20 agosto 2020

Cosedaleggere. 63 «La pandemia ha portato a risoluzione i processi di senescenza che si intuivano finali già negli ultimi anni».


Tratto “Dalle ceneri della vecchia Italia” di Giuseppe Genna, pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 15 di agosto 2020: L'orizzonte italiano è il litorale. Lo è da sempre.
Sono quelle certezze che fanno un’intera civiltà, il mesto caracollare di un popolo agostano, di consistenza spettrale, capace di intrattenere rapporti ambigui con il futuro e azzerati con il passato. L’agosto come il mese in cui non conosco la moglie mia, il lavoro dell’altro, la pazienza degli elementi naturali. L’invenzione delle vacanze di massa restituisce un capitolo complesso a una storia nazionale che si appassiona alla cronaca più nera e morbosa, mentre consuma le ferie e la propria stessa consistenza morale. Da adesso in poi non è e non sarà più così». Chi parla è un uomo filosofico: il proprietario di uno degli acquapark più glam della riviera tirrenica. L’estate del virus si consuma qui tra arredi tiki, palme nane, capanni in paglia finta, ombrelloni in fibra di cocco. Pare che Magnum P.I. spunti da un momento all’altro dalla staccionata in stile Maya. È un luogo importante. Per decenni si è rinvenuto in queste bolle grottesche ed esotiche lo spazio assoluto del “non-luogo”. Filosofi, sociologi e scrittori si sono presi la premura di illustrare fino a che punto funzionasse e fosse ridanciano lo stato di sospensione finzionale di chi a queste latitudini pasturava: villaggi vacanze, crociere abnormi, parchi tematici. Tutti simboli di una contemporaneità priva di simboli, di un’astrattezza tecnologica dell’oggi e del domani - di una morte in vita insomma. Nell’agosto 2020 queste furibonde location, in cui l’animazione coincideva con la rianimazione e il divertimento con il diverticolo, sono le zone estreme della civiltà sotto pandemia, che infuria in tutto il pianeta tranne che qui, in Italia, dove aveva iniziato la sua fosca profezia, autoavveratasi. In questo luogo della simulazione si comprende sin dall’entrata che la simulazione stessa non regge. Che cosa è una palma incongrua, felice di svettare male al sole, se vibrano di incertezza i sistemi nervosi che cercano ristoro alla sua ombra? Cosa stiamo spendendo davvero qui? I soldi dello Stato o quelli dei risparmi o le somme guadagnate con un lavoro cretino che definiscono “smart”? Possono i corpi toccare i corpi? E, prima del virus, i corpi stavano davvero toccandosi? E le menti? L’Età dell’Incertezza partorisce i suoi simboli, sempre meno duraturi, tra esplosioni seminucleari in Libano e venti di guerra nel cuore del Mediterraneo, elezioni presidenziali Usa in forse - e morti, a migliaia, distanti, ma non del tutto imperiture, visto ciò che causano. «Guardi come si spalmano la crema solare: hanno paura delle mani che spiaccicano, scrutan», e ha ragione, il proprietario dell’acquapark: è come se gli italiani si fossero sottoposti a un processo di svedesizzazione del fisico e delle abitudini. In piscina l’acqua clorata sembra esprimere una parentela distante ma reale con quella delle vasche di raffreddamento del reattore a Chernobyl. Nonostante l’Italia prosegua a velocità e fasce di sentimento molto diverse tra loro (i lombardi con il brivido sottocutaneo e la cautela post-traumatica, gli italiani del Nord con una prossimità già meno intensa al dramma, quelli al Centro e al Sud esposti a una virtualità del rischio contagio), si misura nell’acquapark una sospensione lieve, un’aberrazione dello sguardo, un’alterazione. Tra gli zaffi di crema coppertonica, si attraversa una popolazione spaventata senza enfasi, inquieta sulla propria collocazione materiale ed economica, in un mondo purgato dalle molecole virali, privo di guida, con la mente rarefatta. «Se si sta dietro il bancone del bar in stile tropicale, lo so che sembra assurdo ma è vero, nell’arco di una giornata si servono almeno quattro clienti che assumono gli psicofarmaci. Stamattina, prendendo il caffè, un padre ha dato del Ritalin al suo bambino», e ha ancora ragione, il proprietario: sono decuplicate al nord le prescrizioni di benzodiazepine. Bisognerebbe controllare le reazioni psicosomatiche delle fasce più giovani al lockdown... «Il lockdown non è il lockdown, non sono semplicemente due mesi di fermo delle attività, come la gente pensa. È piuttosto un meteorite che ha colpito tutti, anche chi non ha accusato morti, chi era lontano dall’epicentro», dice e poi, scuotendo la testa amareggiato e fulgido, mentre guarda al suo parco che non diverte più nessuno: «Dobbiamo non cambiare nulla, perché cambi tutto». E il punto è questo: sta cambiando tutto. Questa estate solatia e acquarellata, con i corpi sottoposti a una lieve veglia sonnambolica, è il primo atto di una mutazione, se non genetica, comunque radicale. Si sta facendo la storia, qui più che altrove. Mentre i contagiati sono milioni e le morti centinaia di migliaia, le attività di intelligence impazziscono, l’opzione bellica è incombente, si dà un esodo biblico da Beirut, a Portland una rivolta totale resiste da più di settanta giorni, il sorpasso geopolitico dei cinesi sugli americani è cosa fatta, si avanza l’ipotesi di tassi d’interesse negativi sui conti correnti, un’infinita cassa integrazione, indici di disoccupazione alle stelle e prodotti interni lordi in picchiata, tutto è in rallentamento. E in accelerazione: la pandemia ha portato a risoluzione i processi di senescenza che si intuivano finali già negli ultimi anni, affrettandone la fine, imponendo la trasformazione, dalla didattica e dal lavoro, fino alla potenza e alla prepotenza dei colossi digitali. L’Età dell’Incertezza è questo scenario, desolato o germinativo, in cui si manifesta quanto doloroso sia quel giorno in cui dalla cenere risorge l’uomo colpevole. Ma ora l’uomo sta incenerendosi o riemergendo dalla cenere? Era o è colpevole? Per l’acquapark, girando nel silenzio discreto che sconcerta e lascia rimbombare stintamente un’eterna colonna sonora a colpi di Righeira e di Gazebo, la danse macabre sembra congelare i corpi lardellati e disfatti degli avventori, statue in contemplazione attonita del tubo per tuffarsi: sembra il tubo della respirazione assistita... Chi penserà a tutto questo e a cosa c’è dopo? È davvero un pensiero il modo per uscire dal tunnel senza fine apparente, senza felicità? Vediamo all’opera la prima civiltà della storia a non disporre di una teoria sulla morte e sull’amore. All’interno dell’acquapark, come di qualunque villaggio turistico, il paese in ottavo, ridisegnato con un’urbanistica da elfi e nani, prevede l’infermeria che sostituisce l’ospedale, la security in luogo delle forze di polizia, la lounge hall come parlamento monocratico - ma non è previsto il tempio, la chiesa, lo spazio in cui lo spirito prende forma di domanda e ispirazione, fino a farci spirare. L’incertezza è un affetto spirituale, prima che materiale, politico, personale. Dove si troverà la ragione della gioia, della reinvenzione di tutte le cose? Possiamo sentire e pensare insieme? Servirebbe una chiamata a raccolta di tutte le menti e i cuori più arditi e visionari. È gioioso quel giorno in cui dalla cenere risorgerà l’uomo innocente.

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