Tratto da “Matteo
Salvini: l’analfabeta istituzionale” di Daniela Ranieri, pubblicato su “il
Fatto Quotidiano” del 21 di agosto dell’anno 2019: Forse più che politologi
servirebbero scienziati cognitivi, per spiegare quello che è successo ieri al
Senato. L’uomo che ha rovinato le ferie a tutti fuorché a sé stesso, fino
all’ultimo garrulo e minaccioso dalle spiagge, è entrato suonatore e è uscito suonato,
e nel momento solenne deputato alla spiegazione del perché abbia aperto la
crisi ha fatto cilecca, ripiegando sulla reiterazione delle sue note ossessioni
e lasciando la Nazione all’oscuro dei motivi del folle gesto. È comprensibile:
manuale dei disturbi della personalità alla mano, Salvini si è sentito stanato
da Conte nella sua pochezza non solo politica. La crisi, ha spiegato
didascalicamente Conte, è stata aperta per “ambizioni politiche” da qualcuno
che “rivendica pieni poteri” per “interessi personali e di partito”, con
“dichiarazioni sui social, invocando le piazze” e suonando “la grancassa fatua
del governo dei No”. Conte si è concesso anche due finezze, oltre alla
sottolineatura della mancanza di cultura istituzionale e senso di responsabilità
del ministro aspirante plenipotenziario: la denuncia della sua “incoscienza
religiosa”, esibita con l’ostensione kitsch di Madonne e rosarî sui palchi, e
la citazione di Federico II di Svevia, l’imperatore che annientò la Lega
Lombarda, frenando le aspirazioni di autonomia dei comuni e entrando in Cremona
nel 1237 col carroccio trainato da un elefante. (Per inciso: ieri si è avuto
conferma del perché il vero nemico dell’establishment non sia affatto Salvini,
con tutta la sua volgarità, ma proprio Conte, fatto passare, nell’arco di un
anno, per burattino, servo, prestanome e infine, illogicamente, grigio tecnico
à la Monti). Mentre incassava la pacata lista delle sue lacune, sembrava di
vedere Salvini spogliarsi man mano di tutte le insegne che l’hanno fatto
credersi latore del popolo e della sua sovranità. Sembrava uno dei suoi decreti
simbolo: forte coi deboli, debole coi forti, impotente davanti alla serietà
delle Istituzioni. L’aspirante duce del 17% deve aver capito cosa vuol dire
essere una minoranza, non solo elettorale. Non a caso Salvini ha giocato tutte
le carte che ha non durante il suo discorso, ripiegato sul vittimismo e le
solite favolette da comizio, ma mentre parlava Conte: sapendosi inquadrato, si
è fatto portare il caffè dai commessi, denunciandosi quale il drogato di
protagonismo mediatico, il lesso di selfie e il vanesio qual è; ha
gigioneggiato, sminuendo con la sua facies irridente l’autorevolezza dei ruoli
che ricopre; ha finto di frenare le sguaiate contestazioni dei suoi, da capo bullo,
salvo poi incoraggiarle con le sue emoticon somatiche beffarde quando Conte
toccava un punto debole tra quelli che lui tenta ancora di far passare per le
guasconate di un uomo troppo pieno d’energia (l’invocazione delle piazze, lo
scappare dal dovere di riferire sulla vicenda russa).
Tutto il suo linguaggio del corpo esprimeva inadeguatezza di fronte a un gioco d’azzardo che, ha compreso, potrebbe finir male per lui, oltre che, come è chiaro, per “l’Italia reale” che dice di rappresentare e difendere. Non è necessario, anche se sarebbe doveroso, leggere il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce, in cui risiede lo spirito del nostro ordinamento (sospettiamo che il giostraio del “molti nemici molto onore” no n abbia letto nemmeno quello degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile), per sapere che l’accusa più grave che Conte gli ha mosso è stata di non “rispettare le regole che implicano sostanza politica poste a presidio della piena tutela dei diritti di tutti i cittadini”. Quella del Parlamento non è “l’Italia virtuale”, accusa che mossa da un fenomeno pompato dai media, una bolla umana creata dalla ossessiva presenza sui social e in Tv, suona quanto mai paradossale. Perciò appena presa la parola, nei banchi tra i suoi senatori giubilanti, Salvini sembrava lo squalo che deve nuotare sempre avanti per non morire: “inventarsi nemici dietro ogni angolo” (Conte), ritrarsi come “uomo libero” contro un’assemblea di parassiti e servi di Bruxelles, rivendicare la protezione del Sacro cuore di Maria e altri esorcismi. Per un abbaglio mediatico e per colpa del Pd che ha lasciato che i trojan della destra introducessero frame della cosiddetta parte avversa (rimpatri, “decoro”, preminenza della governabilità sulla rappresentatività, erosione del welfare e dei diritti dei lavoratori, ecc.), Salvini è parso un liberatore del popolo; è invece uno che tratta gli elettori come cavie di un crescendo emotivo, alternando minacce e promesse per dare loro la sensazione di essere protetti. Conte si è incaricato di svelarlo qual è: non solo un politico scarso, analfabeta istituzionale, ma anche un inaffidabile “mancante di coraggio politico”. Insomma, un uomo sòla al comando che può al massimo eccitare le folle in preda ai fumi dell’alcol sulle spiagge, alienandosi il rispetto e l’affetto delle persone perbene.
Tutto il suo linguaggio del corpo esprimeva inadeguatezza di fronte a un gioco d’azzardo che, ha compreso, potrebbe finir male per lui, oltre che, come è chiaro, per “l’Italia reale” che dice di rappresentare e difendere. Non è necessario, anche se sarebbe doveroso, leggere il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce, in cui risiede lo spirito del nostro ordinamento (sospettiamo che il giostraio del “molti nemici molto onore” no n abbia letto nemmeno quello degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile), per sapere che l’accusa più grave che Conte gli ha mosso è stata di non “rispettare le regole che implicano sostanza politica poste a presidio della piena tutela dei diritti di tutti i cittadini”. Quella del Parlamento non è “l’Italia virtuale”, accusa che mossa da un fenomeno pompato dai media, una bolla umana creata dalla ossessiva presenza sui social e in Tv, suona quanto mai paradossale. Perciò appena presa la parola, nei banchi tra i suoi senatori giubilanti, Salvini sembrava lo squalo che deve nuotare sempre avanti per non morire: “inventarsi nemici dietro ogni angolo” (Conte), ritrarsi come “uomo libero” contro un’assemblea di parassiti e servi di Bruxelles, rivendicare la protezione del Sacro cuore di Maria e altri esorcismi. Per un abbaglio mediatico e per colpa del Pd che ha lasciato che i trojan della destra introducessero frame della cosiddetta parte avversa (rimpatri, “decoro”, preminenza della governabilità sulla rappresentatività, erosione del welfare e dei diritti dei lavoratori, ecc.), Salvini è parso un liberatore del popolo; è invece uno che tratta gli elettori come cavie di un crescendo emotivo, alternando minacce e promesse per dare loro la sensazione di essere protetti. Conte si è incaricato di svelarlo qual è: non solo un politico scarso, analfabeta istituzionale, ma anche un inaffidabile “mancante di coraggio politico”. Insomma, un uomo sòla al comando che può al massimo eccitare le folle in preda ai fumi dell’alcol sulle spiagge, alienandosi il rispetto e l’affetto delle persone perbene.
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