Sopra. Orazio Gentileschi: "Il riposo durante la fuga in Egitto" (1625-1626).
“Non ti affliggere, ché certo il tuo Signore
ha posto un ruscello ai tuoi piedi; scuoti il tronco della palma: lascerà
cadere su di te datteri freschi e maturi. Mangia, bevi e rinfrancati”. A
parlare è la Vergine Maria, e siamo nella diciannovesima sura del Corano. Il
ruscello e la palma non fanno parte del racconto evangelico, ma abitano tutta
l’iconografia cristiana di un episodio inconfondibile della vita di Gesù, il
‘riposo nella fuga in Egitto’, dipinto da generazioni e generazioni di pittori.
Quando, scorrendo l’elenco infinito dei bambini assassinati da Israele a Gaza,
troviamo il nome Issa, ebbene quel nome in italiano suona così: Gesù. E non è
un nome cristiano, ma islamico: perché le nostre culture, le nostre religioni,
i nostri libri sacri, si intrecciano, nei secoli dei secoli. Un’antichissima
tradizione, che affonda le sue radici nei vangeli apocrifi, identifica in
Egitto una serie di tappe della fuga della Sacra Famiglia. Ma oggi vorrei
ricordare la via attraverso la quale raggiunsero quel paese, partendo da
Betlemme: con ogni probabilità, la Via Maris, la via antichissima che si
snodava (e ancora si snoderebbe) lungo la costa. Una via che passava per la
città di Gaza, e per l’attuale Striscia: fino appunto ai confini con l’Egitto.
Più di tutti, gli artisti figurativi hanno amato il tema della fuga in Egitto,
perché permetteva loro di declinare la storia sacra in senso aneddotico:
inventando, più che rappresentando. E perché le figure si univano a un
paesaggio: anch’esso liberamente inventato, vista la scarsissima conoscenza
diretta della Terra Santa. E proprio queste invenzioni, molto più tardi, fecero
da modello alla ridefinizione coloniale di quella terra, popolata di specie
arboree europee per farla assomigliare alla sua rappresentazione artistica
appunto europea (ce lo ricorda Paola Caridi nel suo mirabile Gelso di
Gerusalemme). Ma nel Seicento, sull’onda di Caravaggio, la fuga in Egitto si
carica di ansie, contrasti, paure. Non solo il riposo in un’oasi, con le palme
che si piegano a servire Maria, ma tutta la cruda realtà di una famiglia di
profughi in fuga dalla guerra. Orazio Gentileschi replicò con varianti una sua
strepitosa invenzione almeno cinque volte. Giuseppe, vinto dalla stanchezza è
riverso sul proprio bagaglio, sprofondato in un sonno senza grazia e senza
decoro. La Vergine Maria, anch’essa stesa in terra fuor d’ogni consuetudine,
allatta un Gesù ormai grandicello, che, tutto nudo, guarda fisso in camera,
verso di noi: come se ci avesse sorpreso a turbare la sua intimità familiare. E
poi c’è il muro: il vero protagonista del quadro. Un muro cadente, che sta
perdendo il suo intonaco: un rudere senza alcuna nobiltà, non certo una rovina
classica. Un muro in cui si risolve tutto il paesaggio, giacché solo la testa
lanosa dell’asino e un bellissimo cielo pieno di soffici nuvole suggeriscono
che il mondo non finisce proprio lì. E oggi come possiamo non immaginare che
questo ‘riposo tra le macerie’ rappresenti la sosta a Gaza, lunga la strada per
l’Egitto? La Sacra Famiglia a Gaza, ecco un titolo adatto per questo quadro
vertiginoso. La Gaza di oggi, ovviamente: ridotta dal genocidio israeliano ad
un cumulo di macerie. Una Gaza in cui la Sacra Famiglia apparirebbe non come
vittima, ma come privilegiata: perché Gesù non pare uno scheletro, e Maria ha
ancora il latte. Perché hanno un bagaglio, qualcosa. Abbiamo fatto peggio di
Erode: abbiamo devastato una delle città della Bibbia. Ai sedicenti cristiani
che governano il mondo occidentale insediati nelle destre fasciste,
bisognerebbe ricordare che dove oggi Israele bombarda, uccide, affama, un
giorno hanno posto il piede Maria, Giuseppe e Gesù. Tengono in non cale la vita
umana dei palestinesi, si indignano solo quando un proiettile colpisce una
croce e una parrocchia: ma Gaza è tutta santa. Tutta terra santa. Una santità
sopraffatta dalle tenebre, come se Gesù fosse stato raggiunto e ucciso dai
soldati di Erode. E così fu, e così è: perché “tutte le volte che lo avrete
fatto ad uno di questi piccoli, lo avrete fatto a me”. La notte domina la Fuga
in Egitto dipinta nel 1609 a Roma dal tedesco Adam Elsheimer: qui il primato
della natura, caro alla tradizione artistica nordica, si sposa perfettamente
con una nuova capacità di osservarla (anche con il nuovo ‘occhiale’ galileiano)
e di leggerne la luce, qualcosa che l’artista tedesco doveva invece alla
conoscenza dell’opera di Caravaggio. Ma, proprio come per Caravaggio, questa
rinnovata attenzione per la natura non si risolve in una pittura ‘scientifica’,
bensì in una altissima meditazione pittorica sulla perdita di centralità
dell’uomo, letteralmente inghiottito in una notte esistenziale in cui è
possibile procedere solo a tentoni. Quella in cui siamo sprofondati tutti:
senza possibilità di raggiungere l’Egitto. Che per gli abitanti di Gaza
rappresenta la sopravvivenza fisica. Per noi, quella morale. (Tratto da “Muri, macerie, paura: la Sacra Famiglia
si è fermata a Gaza” di Tomaso Montanari pubblicato su “il Fatto
Quotidiano” del 4 di agosto 2025).

“Molti
israeliani sono diventati indifferenti al genocidio di Gaza”, testo della
intervista di Clothilde Mraffko al deputato israeliano Ofer Cassif - della
lista Hadash-Taal nella Knesset di Tel Aviv -, intervista pubblicata sul
giornale online “Mediapart” e riportata da “il Fatto Quotidiano” del 4 di
agosto 2025: (…). Il presidente francese Emmanuel Macron ha promesso di riconoscere
lo Stato di Palestina durante l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a
settembre. Come valuta questo annuncio e come è stato accolto in Israele?
«Ovviamente, per quanto mi riguarda, lo apprezzo. Ma basta parole, è il momento
di agire! Bisogna riconoscere lo Stato di Palestina ora, senza più rimandare!
Il governo israeliano, e purtroppo gran parte dei leader dell'opposizione,
contesta la decisione di Macron affermando che in questo modo Parigi premia il
terrorismo. Ma non c'è da stupirsi, i criminali accusano gli altri di
perseguitarli e di mentire... Per quanto riguarda l'opinione pubblica
israeliana, non ci sono state reazioni particolari perché Macron ha già tenuto
in passato dichiarazioni simili, che quindi non hanno più alcun effetto. Ora
bisogna agire!». "Gli abitanti di Gaza non sono né morti
né vivi, sono cadaveri ambulanti", ha dichiarato Philippe Lazzarini, il
commissario generale dell'agenzia delle Nazioni Unite per i profughi
palestinesi (UNRWA). Israele, che ha parzialmente levato il blocco all'ingresso
degli aiuti a Gaza, imposto dal 2 marzo scorso, ha di fatto ridotto l'enclave
palestinese alla fame. Come reagisce l'opinione pubblica israeliana? «Purtroppo
sembra che la maggioranza degli israeliani sia indifferente o neghi la realtà.
Tanti sostengono che la crisi alimentare, se c'è, è una conseguenza della
guerra e che quindi è colpa dei palestinesi o, più precisamente, di Hamas.
Alcuni addirittura se ne rallegrano. E se altri si indignano, la maggioranza è
semplicemente indifferente. A mio avviso, la responsabilità è dei politici. In
primo luogo del governo, del primo ministro Benjamin Netanyahu e della sua
coalizione, ma anche di una parte dell'opposizione che ha incitato all'odio
contro i palestinesi e giustifica le atrocità commesse da Israele. Su 120
deputati, 52 sono all'opposizione, ma solo in cinque ci siamo opposti, e sin
dall'inizio, sia ai massacri commessi da Hamas che a quelli perpetrati da
Israele dal 7 ottobre. Finalmente il partito islamista Ra'am si è unito alla
nostra condanna. Alcuni mesi fa, anche i laburisti hanno cominciato ad
esprimersi su Gaza. Ma loro non parlano né di crimini di guerra né di
genocidio. Parlano di "pregiudizi" causati a civili innocenti di
Gaza. Il resto dell'opposizione, 38 deputati, chiede la liberazione degli
ostaggi, ma in generale sostiene l'azione del governo. Quindi, in pratica, non
c'è opposizione».
Lei è stato sospeso più volte dal Parlamento
per aver denunciato il genocidio a Gaza... «La prima volta nell'ottobre 2023
per 45 giorni perché in un'intervista avevo affermato che il governo israeliano
aveva utilizzato il massacro di Hamas come pretesto per giustificare
l'attuazione del piano "decisivo" presentato nel 2017 da Bezalel
Smotrich. Un piano genocida che si basa su tre principi: Israele deve annettere
i territori palestinesi occupati senza accordare i diritti fondamentali ai palestinesi,
instaurando, per definizione, un regime di apartheid; i palestinesi che si
opporranno al piano saranno espulsi dalla loro terra natale; quelli che
resisteranno al nuovo regime di apartheid saranno uccisi. All'inizio del 2024
hanno tentato di destituirmi, perché avevo firmato una petizione a sostegno
della denuncia del Sudafrica dinanzi alla Corte internazionale di giustizia.
Servivano 90 voti, ne sono stati raccolti 86. Sono stato poi sospeso per sei
mesi dal comitato etico del Parlamento e ora sarò nuovamente sospeso per due
mesi, da ottobre a dicembre, perché ho denunciato i crimini in una lettera alla
Corte penale internazionale dell'Aia».
Ogni settimana ci sono manifestazioni per
chiedere il rilascio degli ostaggi, in particolare a Tel Aviv. Quale è la
posizione di questi oppositori? Loro dicono che è una "guerra", dal
mio punto di vista invece è un genocidio. Una guerra implica una sorta di
simmetria, che in questo caso non c'è. La maggior parte dei manifestanti chiede
la fine della guerra per portare in salvo gli ostaggi e evitare che muoiano
altri soldati. La maggiorparte non fa neanche riferimento ai palestinesi.
Eppure qualche cambiamento c'è stato. Quelli che parlano delle sofferenze dei
palestinesi sono sempre più numerosi. Non sono abbastanza ed in ogni caso è
troppo tardi. Ma sempre più persone stanno cominciando a capire che non si può
separare il destino degli ostaggi e dei soldati israeliani da quello dei
palestinesi di Gaza. La situazione è così drammatica che non si può ignorare. I
media sono in gran parte responsabili. A parte il quotidiano Haarets, in pochi
parlano di ciò che sta accadendo a Gaza e non si vedono immagini».
Alcuni sostengono che Israele sia “l'unica
democrazia del Medio Oriente”. Come descriverebbe il sistema politico del suo
Paese? Dal mio punto di vista, Israele non è mai stata una democrazia. E una
"etnocrazia", perché costruita sulla supremazia etnica degli ebrei.
Per decenni la supremazia è stata essenzialmente politica; ma negli ultimi
anni, in particolare sotto Netanyahu, si è trasformata in supremazia razziale.
D'altra parte, Israele non è mai stata neanche una vera dittatura. Ha un
sistema non democratico con alcuni elementi democratici. E questi ultimi
vengono progressivamente distrutti da questo governo. Dal 1967 Israele
controlla, domina e governa milioni di palestinesi che non hanno alcun diritto
politico, civile e sociale. Assomiglia più ad una tirannia che a una
democrazia. È un'impostura, il classico esempio di colonialismo e dominio
razziale».
In che modo il genocidio e la politica del
governo israeliano influenzano la società? Qual è il prezzo da pagare per chi,
come lei, si oppone? «Il 19 luglio io e il deputato Ayman Odeh, il nostro
capolista, siamo stati quasi linciati durante una manifestazione. Oltre al
genocidio a Gaza e alla pulizia etnica in Cisgiordania, esiste un vero e
proprio fascismo violento all'interno dello stesso Stato di Israele, che
include la legittimazione e la normalizzazione della violenza omicida contro i
dissidenti, in particolare gli arabi. Ricevo minacce quotidianamente,
soprattutto sui social. Sono stato aggredito mentre ero dal parrucchiere tre
anni fa, e un'altra volta mentre facevo la spesa. Sono disposto a pagare questo
prezzo perché la mia lotta è fondamentale. Al di là delle mie convinzioni
socialiste, delle mie credenze umanistiche e del mio impegno per la democrazia,
ho l'impressione che i miei antenati ebrei mi stiano chiamando dalle loro tombe
chiedendomi di combattere contro il razzismo e il genocidio. Nella mia famiglia,
in molti sono stati uccisi dai nazisti. Questo mi ha reso molto sensibile alle
discriminazioni razziali e alle persecuzioni. Sul breve termine sono molto
pessimista: anche quando questi crimini cesseranno - e un giorno cesseranno -
ci saranno profonde ripercussioni sulla società israeliana. Il tasso di suicidi
tra i soldati che hanno prestato servizio a Gaza per esempio è terribilmente
alto. Devono essere puniti per i crimini che hanno commesso, ma il carnefice è
a volte anche vittima. Alcuni soldati hanno visto cose atroci laggiù. Forse ne
hanno anche fatte. Ne escono come minimo psicologicamente distrutti. Tra il 14
e il 21 luglio sono stati registrati quattro casi di suicidio. Sul lungo
termine, invece, sono ottimista, perché credo che sempre più persone finiranno
per ascoltarci. Le ferite della società cominceranno a cicatrizzare, ma ci
vorrà molto tempo. La società israeliana ha bisogno di guarire. Ma per poter
guarire l'occupazione deve finire e il popolo palestinese deve essere liberato.
E questo accadrà, è inevitabile. Quando il genocidio a Gaza sarà finito, penso
che anche la comunità internazionale e i governi che hanno sostenuto Israele
dovranno fare i conti con la propria coscienza».
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