"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 12 agosto 2025

Lastoriasiamonoi. 86 Primo Levi: «Bisogna (…) che il baricentro dell'ebraismo si rovesci, torni fuori d'Israele, torni fra noi ebrei della Diaspora che abbiamo il compito di ricordare ai nostri amici israeliani il filone ebraico della tolleranza».

Sopra. "Il cibo dei morti per i vivi", autoritratto (senza data) di David Olère custodito nel Museo Statale di Auschwitz-Birkenau, Polonia. 

L’autore di questo quadro, David Olère (nato nel 1902 a Varsavia), fu rinchiuso ad Auschwitz in quanto ebreo: e qui fece parte del fondo dell'abisso, le unità speciali di deportati che collaboravano coi nazisti per cercare di salvarsi («i miserabili manovali della strage... quelli che di volta in volta preferirono qualche settimana in più di vita - quale vita! - alla morte immediata, ma che in nessun caso si indussero, o furono indotti, ad uccidere di propria mano. Ripeto: credo che nessuno sia autorizzato a giudicarli, non chi ha conosciuto l'esperienza del Lager, tanto meno chi non l'ha conosciuta»: così Primo Levi). Scenografo e pittore, Olère dopo la liberazione si mise a dipingere la Shoah: quasi come un atto di riparazione verso coloro cui era, così atrocemente, sopravvissuto. E anche come un terribile atto di autoaccusa, o meglio di continua introspezione critica verso il se stesso di quegli anni terrificanti. Il secondo movente è evidente in questo implacabile autoritratto: che lo tramanda mentre si accaparra il cibo lasciato dai morti, nell'incubo collettivo di un genocidio perpetrato (anche) per fame. Un genocidio che aveva nei bambini le sue vittime elettive, come dimostra la bambola abbandonata: per stroncare ogni idea di futuro per un popolo intero.  Solo la divisa e il tatuaggio permettono oggi, di distinguere questa figura dal ritratto di un abitante di Gaza. Non l'intenzione dei carnefici, non il genocidio (anche) per fame, non la degradazione collettiva, non lo sterminio dei bambini, non il senso di colpa di chi sopravvive chissà come. Che a compiere il genocidio dei palestinesi, con il chiaro obiettivo di rendere infine vera la frase fondante del sionismo («un popolo senza terra, per una terra senza popolo»), sia lo "Stato ebraico" è un atroce corto circuito della storia che non possiamo rimuovere, ma va guardato negli occhi, proprio come Olère guardava se stesso. Non c'entra il 7 ottobre, ma una lunga storia. Lo stesso Primo Levi (in una intervista a Gad Lerner del 1984) avvertì i segnali di pericolo: «Bisogna quindi che il baricentro dell'ebraismo si rovesci, torni fuori d'Israele, torni fra noi ebrei della Diaspora che abbiamo il compito di ricordare ai nostri amici israeliani il filone ebraico della tolleranza». Non è purtroppo successo, e oggi il museo di Auschwitz parla anche di Gaza. E della natura umana, perché questo quadro terribile è uno specchio che ci riguarda: tutti. (Tratto da “Guardarsi allo specchio” di Tomaso Montanari pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” dell’otto di agosto 2025).

“Guardarsi un po' allo specchio”. 1 “Non siamo un popolo brutale e monolitico: vogliamo cacciare Bibi”, testo di Manuela Dviri pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 7 di agosto 2025: Questo è uno dei tanti messaggi, diversi eppure simili, che ho trovato stamattina al risveglio. "Grazie di cuore alle migliaia di persone che sono scese in piazza ieri in 16 località in tutto il Paese. Ore di blocchi stradali dal nord al sud, inclusa la chiusura della autostrada Ayalon (TelAviv) per due ore. A chi mi ha chiesto ieri se tutto questo è sufficiente, rispondo che stiamo facendo tutto il possibile. Sono in gioco delle vite umane e abbiamo un solo Stato per cui vale la pena lottare, e anche se siamo tutti stanchi - questo è il nostro dovere. Gli ostaggi sono abbandonati, i soldati vengono uccisi, e l'occupazione programmata di Gaza pro-lungherà la guerra infinita (...). Onore a ognuno e ognuna di voi. Diecimila persone hanno firmato la lettera dei combattenti e delle combattenti, che verrà inviata nelle prossime ore al capo di Stato Maggiore, per chiedere l'immediata cancellazione del piano di occupazione della Striscia, che mette a rischio la vita dei soldati e degli ostaggi. Unitevi ora all'appello, inoltrandolo ad almeno tre ex o attuali soldati e soldatesse. La disperazione non è un piano d'azione, e l'ottimismo è una posizione politica". Firmato Yaya, uno dei capi della protesta. Per ragioni che non sto a descrivere, nelle ultime settimane non sono potuta scendere in piazza a protestare il mio dissenso al governo e alle sue azioni. Ieri, al tramonto, ho sentito sotto casa il coro che cantilenava la nenia simbolo della protesta. Qui, in piazza Dizengoff. Sono scesa. Mi sono trovata davanti uomini e donne silenziosi che tenevano in mano specchi e li ponevano davanti a chi era seduto ai bar della piazza. "Dimmi cosa fai tu per liberare i nostri ostaggi?': chiedevano gli specchi, "e per la fine della guerra...". Negli ultimi giorni le foto degli ostaggi trasformati da Hamas in scheletri umani sono nel cuore dell'intero Paese. E ognuno di noi si chiede come possano un governo e un primo ministro essere così crudeli da decidere l'occupazione di Gaza che ne provocherebbe la morte sicura, oltre alla morte e al ferimento di molti soldati e naturalmente, di molti civili gazawi. E la atroce beffa è che a combattere non ci andrebbero i figli dei ministri Haredi (auto esoneratisi dal servizio militare) o del primo ministro (uno a Miami, e uno, sotto falso nome, a fare affari in Inghilterra), ma i nostri figli e i nostri nipoti soldati di leva e riservisti. Il capo di stato maggiore, scelto tra l'altro dai Netanyahu, si oppone all'occupazione? Da Miami Netanyahu junior lo accusa di insubordinazione, e siamo alla follia pura. Ci si sveglia al mattino con questa angoscia nel cuore e questo senso di ingiustizia, e ci si corica la notte con la stessa angoscia e la stessa ingiustizia. Dal 2022 siamo in piazza a protestare contro la riforma giudiziaria del dispotico e corrotto governo che ci tiene in ostaggio. Poi abbiamo vissuto il 7 ottobre e la ferocia della strage, e subito dopo la guerra contro vari fronti. E perfino contro l'Iran. Gli eventi sono diventati come un'unica grande macchia di dolore morte e paura, ogni elicottero che passa è un ferito in volo per l'ospedale qui vicino. Netanyahu attribuisce a se stesso ogni vittoria, piccola o grande, e ad altri - esercito, Mossad, Shin Bet - ogni sconfitta, piccola o grande. Gli anni passano e noi continuiamo a protestare, settimana dopo settimana, inverno ed estate, senza prenderci una vacanza. È diventato un secondo lavoro. Ciò malgrado siamo giudicati all'esterno come una monolitica potenza brutale e disumana, certo non come un bel pezzo di popolo in guerra contro il governo e la guerra stessa. Non tutti qui scendono in piazza a protestare, non tutti soffrono oltre alla nostra anche la sofferenza del civile gazawi, ma quasi 1'80% degli israeliani, di destra e di sinistra, è per la fine della guerra e il ritorno degli ostaggi. Forse anche il mondo dovrebbe ogni tanto guardarsi un po' allo specchio nella sua accusa feroce contro un intero popolo.

“Guardarsiunpo'allo specchio”. 2 Con una mossa scioccante ma non sorprendente, il gabinetto di sicurezza israeliano ha approvato la proposta del primo ministro Netanyahu per assumere il pieno controllo di Gaza City. È importante chiarire alcuni punti: parliamo di un'area densamente popolata che ospita ancora oltre 900 mila persone. I residenti hanno tempo fino al 7 ottobre per evacuare la Striscia di Gaza settentrionale! E chiunque rimanga sarà considerato agente di Hamas. In un'intervista a Fox News Netanyahu ha dichiarato che il suo obiettivo è quello di stabilire il pieno controllo della Striscia di Gaza, una dichiarazione che ignora palesemente la lunga occupazione israeliana del territorio, incluso il controllo su terra, mare e aria. Mentre l’Idf ha dichiarato al Washington Post di controllare già il 75% di Gaza, sostenendo che il restante 25% ospita ancora 2,2 milioni di palestinesi, un rapporto delle Nazioni Unite contraddice questa affermazione. Secondo l'Onu, solo il 12% dell'area totale di Gaza rimane accessibile ai civili. Questa deliberata ambiguità si estende all'uso da parte di Israele del termine "controllo" al posto di "occupazione". Evitando le implicazioni legali dell'occupazione, Israele cerca di assolversi dalle responsabilità amministrative, umanitarie e legali ai sensi del diritto internazionale, il tutto insistendo sul fatto che Hamas governa la Striscia e che la comunità internazionale deve assumersi la responsabilità dei residenti. L'obiettivo di Netanyahu è conquistare l'intera Gaza, un obiettivo che non è nuovo. Israele occupa già Gaza; controlla lo spazio aereo, i confini marittimi, i valichi e le risorse. Ciò a cui stiamo assistendo non è una nuova fase di controllo, ma la continuazione e l'intensificazione di una campagna militare genocida. Dopo quasi due anni di distruzione e sfollamento sistematici, durante i quali Israele ha ripetutamente affermato di aver eliminato Hamas, salvo poi cambiare idea, la leadership di estrema destra di Tel Aviv attua un programma mirato all'espulsione di massa o all'annientamento della popolazione di Gaza, con sfollamenti forzati, fame, malattie e bombardamenti. Gli Usa hanno di fatto dato il via libera a questo piano. Chi proteggerà i civili di Gaza? Gridano al mondo e al diritto internazionale, ma nessuno risponde. (Tratto da "Gridiamo al mondo, ma nessuno risponde" di Aya Ashour pubblicato su "il Fatto Quotidiano" del 9 di agosto 2025).

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