"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 1 agosto 2025

MadeinItaly. 57 «Quelli dalle “mani pulite” 2».


(…). Esaurita la possibilità del negazionismo, adesso la difesa del Sistema Milano viene affidata a un metodo che in inglese si chiama Strawman argument, in italiano "argomento Fantoccio". È l'espediente retorico che consiste nel falsificare le argomentazioni dell'avversario semplificandole, distorcendole, sostituendole con argomenti ridicoli: a quel punto è facile confutarle e anche riderci sopra. Così i difensori del Sistema Milano, da Paolo Mieli a Diego Fusaro, da Alessandro Sallusti a Michele Serra, da Giuliano Ferrara a Stefano Boeri, ripetono, esibendo un sorrisino di compatimento: voi che criticate il modello di città messo ora in evidenza dalle indagini volete il male di Milano, siete nemici della crescita, odiate i grattacieli, sospettate che ogni affare sia un reato, colpevolizzate la ricchezza, siete nostalgici del passato, rimpiangete una Milano povera, ferma, piatta, grigia. Naturalmente sono tutte balle: Strawman arguments. Noi non critichiamo i grattacieli, ma il fatto che a Milano il Comune li abbia lasciati costruire fuori legge, con una Scia (un'autocertificazione), senza i piani attuativi che impongono servizi per i cittadini e li fanno pagare ai costruttori. Non critichiamo lo sviluppo della città, ma la deregulation che ha permesso di densificarla occupando ogni spazio libero, con palazzi tirati su perfino nei cortili. Non critichiamo la crescita, ma la follia di continuare a consumare suolo (ulteriori 190 mila metri quadrati nel 2023) e peggiorare la qualità dell'aria. Non "demonizziamo l'idea di una crescita in altezza", ma aver fatto passare come "ristrutturazioni" le "nuove costruzioni" di grattacieli, con il conseguente sconto del 60% sugli oneri d'urbanizzazione: così i milanesi hanno perso 2 miliardi di euro che dovevano diventare servizi per la città. Non ci lamentiamo della "gentrificazione che avviene in tutte le città del mondo", ma ci stupiamo che a Milano sia avvenuta in modo selvaggio, bulimico, senza i correttivi introdotti in altre metropoli, da Monaco di Baviera a Berlino, da Barcellona a Copenaghen. Non ci lamentiamo del progresso, ma del fatto che la guida della trasformazione della città sia stata privatizzata, consegnata a una cricca di costruttori, finanzieri, progettisti, alti dirigenti dell'amministrazione, che l'hanno decisa nei loro uffici, non in Consiglio comunale, badando ai loro profitti, non al bene comune. Senza visione d'insieme: i grandi progetti, da Citylife agli Scali ferroviari, sono stati realizzati fuori dal Pgt, con singoli accordi di programma con i privati. Accordi per di più non rispettati: le Fs avevano promesso di completare la circle line metropolitana in cambio dell'operazione Scali, se la sono dimenticata. Buon ultimo, Stefano Boeri, il cementificatore riluttante, dalle pagine del Foglio (del costruttore Mainetti) ci dà lezioni di futuro: Milano2050, contro quelli che hanno una "visione ridotta e ridicola della città". Adesso ci danno pure lezioni: il sindaco Sala ci dice con aria di rimprovero che da qui in avanti bisogna fare più case ad affitti controllati. Boeri al programma aggiunge "redistribuire la ricchezza" e "sprigionare intelligenza": ma perché finora hanno fatto il contrario? Sala è sindaco da un decennio. E Boeri negli ultimi 15 anni è stato tutto, candidato sindaco, assessore, progettista, spingitore via chat di affari immobiliari, inventore di progetti green (dall'Orto planetario al Fiume verde) di cui alla fine, chissà com'è, restano solo cemento e grattacieli. L'ottimismo della progettazione, il pessimismo della fatturazione. (Tratto da «Quelli che “voi odiate i grattacieli”: tranquilli, solo quelli fuorilegge» di Gianni Barbacetto pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi, venerdì primo di agosto 2025).

“Boeri, l’archistar dagli occhiali tatuati che scruta dai rami”, testo di Pino Corrias pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri, giovedì 31 di luglio 2025: Stefano Boeri si è reso memorabile per gli occhiali tridimensionali tatuati sulla fronte che perfezionano il suo incedere nerovestito, come si conviene agli architetti di moderna architettura. Nonché per il suo Bosco Verticale che doppiamente svetta sul nuovo cuore pulsante di Milano – la piazza intitolata all’incolpevole Gae Aulenti – con i suoi 360 inquilini che hanno scucito 15 mila euro al metro quadro, in cambio del privilegio di vivere nel “grattacielo più bello del mondo”, tra le zanzare, 21 specie di uccelli residenti, 800 alberi, 21 mila tra piante e arbusti. Tutti accatastati intorno agli appartamenti, purtroppo al buio. I magistrati che indagano sul Miracolo (del Mattone) a Milano – milioni di metri quadri destinati al cemento nella più classista tra le rigenerazioni edilizie di una metropoli sempre meno democratica – gli hanno perlustrato i progetti, le amicizie e il cellulare. Mettendo al centro dell’inchiesta le sue multiple relazioni con il carissimo sindaco Beppe Sala, con il dominus tra i costruttori, Manfredi Catella, con gli assessori funzionali, con i titolari della potente Commissione Paesaggio, più l’intero jet set della capitale morale, che gli hanno fruttato preziosi appalti a partire dal D Day dell’alta finanza internazionale sbarcata alla conquista di Expo 2015. Oltre che a tre avvisi di garanzia collezionati in due anni, uno per la riqualificazione del Pirellino, il secondo per turbativa d’asta e false dichiarazioni nel progetto della Beic, la Biblioteca europea di informazione e cultura; il terzo per lottizzazione abusiva e abuso edilizio nel progetto del Bosconavigli. “Ho fiducia nell’autorità giudiziaria – ha detto Boeri in tutte e tre le spiacevoli occasioni –. E confido nella verità”. Giusto. Ma anche un po’ confida nella buona stella della sua carriera, nella fama mondiale conquistata a colpi di grattacieli costruiti nel mondo, da Shenzhen a Tirana, grazie ai progetti di riqualificazione dei porti di Marsiglia, Napoli, Trieste, alle risistemazioni di stazioni ferroviarie, centri storici, nonché per la sontuosa Casa del Mare all’isola della Maddalena, l’hotel extralusso costruito per ospitare il G8 di Berlusconi in Sardegna, anno 2009, abbandonato per i lavori troppo in ritardo e con troppi guai: 629 milioni di euro buttati nel mare blu, i cristalli masticati dalla ruggine, Obama e gli altri capi di Stato trasferiti sulle macerie di L’Aquila, monito involontario alle vanità di ogni architettura. È imbottita meglio di un divano De Padova la storia di Stefano Boeri, nato nell’anno 1956, predestinato alla permanente prima classe con salottino insonorizzato. Formidabile fu la famiglia: Renato Boeri, il padre, neurologo di fama, direttore sanitario del Besta di Milano, oltre che comandante partigiano ai tempi suoi. Cini Boeri, la madre, anche lei staffetta partigiana in gioventù, mosca bianca dell’architettura al femminile, titolare di studio e carriera internazionali, allieva comunista di Portaluppi, Aldo Rossi e di Giò Ponti, signora social d’alta classe, amica di Giorgio Strehler, Aldo Aniasi, Giulio Einaudi. Una scheggia di nobiltà incorporata ai guanti bianchi dei maggiordomi che servono a tavola, anche quando vengono i ragazzi del Movimento studentesco, compagni di Stefano e dei due fratelli, Sandro, il più grande che farà il giornalista, Tito, il più piccolo, economista svezzato all’Ocse a Parigi, consulente della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale. Tutti rampolli di quella tormentata e colta e democratica borghesia milanese, con patrimonio annesso, casa su tre piani in piazza Sant’Ambrogio, davanti al Cenacolo di Leonardo, vacanze estive nella villa in Sardegna, vacanze invernali a Celerina, a due passi da St. Moritz, ma con più charme e meno gioiellerie. Archiviato l’estremismo di gioventù, un po’ meno la spocchia, Stefano decide di seguire le orme di mamma. Laurea al Politecnico. Master a Venezia. Studio a suo nome. Dice da sempre di “essere ossessionato dagli alberi” e dall’idea di “guardare il mondo dai rami”. Anche se per lavorare non disdegna nulla di mattoni e calcestruzzo. Lavora per Letizia Moratti sindaco. Per Berlusconi premier. Per Salvatore Ligresti palazzinaro. E avendo sposato la nipote di Piergaetano Marchetti, plenipotenziario di Rcs, anche per la nuova sede di Rizzoli. Tra i rami del suo futuro, intravede la carriera politica: nel 2010 si candida alle primarie del Pd contro Giuliano Pisapia, avvocato, anche lui d’alto lignaggio milanese. Perde. Non scende da cavallo e a Pisapia sindaco, chiede l’assessorato alla Cultura. Lo ottiene. Ma fare il numero 2 non gli si addice. Convoca conferenze stampa e annuncia progetti all’insaputa del sindaco, che lo sopporta per una ventina di mesi prima di convocarlo alle sette di sera del 13 marzo 2013 per licenziarlo in 15 minuti. Boeri fa il finto tonto e su Facebook scrive: “È una decisione che non mi è stata motivata”. Non conoscendo il vuoto, torna all’architettura. L’idea del Bosco Verticale racconta di averla avuta leggendo Il Barone rampante di Italo Calvino. Quasi mai aggiunge di avere studiato e ammirato i Muri vegetali, realizzati da Patrick Blanc, artista e paesaggista francese. Guai a dirgli che il suo Bosco Verticale costruito nel 2014 dalla Coima del suo amico Manfredi Catella, rappresenta un ecologismo di facciata, destinato alla falsa coscienza dei super ricchi che vanno ai meeting sui disastri climatici usando il jet personale e fingono di non sapere che l’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio. O che tra costruzione, manutenzione, irrigazione, il doppio capolavoro dell’orgoglio milanese ha costi spropositati. Compresi quelli dei flying gardeners, i “giardinieri volanti” che ogni tre mesi si calano dal tetto delle due torri con corde lunghe 300 metri per disinfestare, disboscare, lavare. Boeri sale anche lui sui tetti della carriera. Insegna Urbanistica al Politecnico di Milano e a Harvard. Dirige il Future City Lab di Shangai. Partecipa a tutti i Forum su Biodiversità e Forestazione urbana nel mondo. Nel frattempo dirige Domus e Abitare, le due più autorevoli riviste italiane di architettura, per poi trasferirsi alla presidenza della Triennale a Milano. Alla quale, nel 2020, associa la Fondation Cartier di Parigi firmando un accordo di collaborazione per otto anni, ottimo per il prestigio della Triennale, ma anche fortunata circostanza per lui, che viene scelto per arredare la nuova “Residence Cartier” di via Montenapoleone, definita “spazio flessibile tra sontuosità e minimalismo” qualunque cosa voglia dire. Gli odierni inciampi giudiziari, sono macchie d’inchiostro tra i rami. Se lavabili dai giardinieri volanti della procura, vedremo.

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