Sopra. "Capriccio N. 37" di Francisco Goya Y Lucientes (1799).
“Facezie&Politica”. 1 “La vuota cuccagna del Made in Italy” di Filippo Ceccarelli, pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del primo di agosto 2025: Per ben tre volte da quando è a Palazzo Chigi Giorgia Meloni si è scagliata contro l'immagine dell'Italia "spaghetti e mandolino". Per quanto più indulgente con gli spaghetti, cent'anni prima anche Mussolini ce l'aveva con lo stereotipo del suonatore di mandolino: «Il pittoresco ci ha fregato per tre secoli». Ma la questione dei dazi sta per produrre un avvicendamento iconografico, per cui nell'illustrare l'italianità i media mostrano regolarmente alte pile di parmigiano e parate di prosciutti, ogni tanto qualche bottiglia di vin ogni tanto qualche confezione di medicinali, scomparsa d'altra part l'alta moda, non pervenuta ulterior manifattura "d'eccellenza", come si dice invano. Crudele e beffardo è il destino di un governo sovranista che più di ogni altro aveva dato fondo alla retorica del made in Italy e se lo vede adesso mortificato proprio dal suo protettore d'oltreoceano, campione mondiale di iper sovranismo. E pensare che perfino il nome del vecchio ministero dell'Industria era stato mutato all'insegna del made in Italy! Uno speciale decreto ha poi introdotto il fondo sovrano, il liceo, la mostra permanente, il premio, il bollino, la cravatta di Marinella e naturalmente la giornata del made in Italy, 15 aprile, con le inesorabili cerimonie patriottiche - anche se fra queste, a ripensarci, strideva far sorvolare il centro di Roma da un enorme tricolore trascinato da un elicottero da guerra made in Usa. Nessuno qui può compiacersi dei dazi e il tenutario di questa irridente neurorubrichetta dichiara il suo antico anche se ormai rischioso amore per salumi e formaggi nostrani. Però da tempo non riesce a togliersi il sospetto che il peccato originale del made in Italy sia quello di metterlo al servizio di un progetto politico e, peggio, di una leadership. Cominciò Craxi, nel 1983, con un fantasmagorico viaggio a Washington e il successivo librone a cura di Palazzo Chigi dal titolo L'America scopre l'Italia, così enfatico da chiamarsi dietro l'ideale sottotitolo Prosciutto e coraggio. Poi fu la volta di Berlusconi, che nel suo narcisismo si sentiva lui stesso salvifica incarnazione del made in ltaly e, attento com'era ai segni, individuò nella statuona del Toro Farnese un ideale simbolo d'Italianità, ne commissionò dei calchi in bronzo da regalare ai potenti del mondo, salvo stufarsi. Quindi venne Renzi con il piano straordinario, i fondi, gli incentivi, la Nutella e l'Expo, che già virava il tutto verso la gastronomia. Di Meloni s'è detto, ma quando si nota un pieno, di solito si nasconde un vuoto; e dazi e non dazi, ecco che la visione di quella cuccagna di parmigiano e prosciutto sembra l'ombra fuggevole di una decadenza dove conta solo il ventre, senza più nemmeno il suono struggente del mandolino.
“Facezie&Politica”. 2 “Salvini, da che pulpito?” di Diego Bianchi pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” di ieri: «Lo dico da persona che quando è in macchina e ha dieci minuti, ovviamente per lavoro e anche per piacere, guarda, naviga, scorre e spesso c'è un letamaio che ormai non ha limiti, quindi avere anche velocità e rapidità di accesso per evitare che dietro nickname si nasconda l'odiatore di professione, ecco, anche identificare chi accede alla rete penso possa avere un senso da tanti punti di vista». (…). Salvini è un prodotto quattro stagioni, non delude mai, è uno dei pochissimi che anche d'estate, quando la quantità e la qualità delle scempiaggini dette si abbassa fisiologicamente, la prestazione te la porta sempre a casa. Insomma Salvini ci ha fatto sapere che lui, quando è in macchina (in un rigurgito di garantismo diamo qui per scontato che l'esperienza narrata non veda il ministro al volante, cosa che costituirebbe un contrappasso superiore per splendore a quello del Piantedosi rimpatriato, ma semplice passeggero), non ne può più di odiatori seriali, soprattutto se anonimi. (…). …il letamaio di cui all'improvviso si avvede Salvini, la cui macchina del fango comunicativa in rete fino a non molto tempo fa si faceva orgogliosamente chiamare "la Bestia", purtroppo non è fenomeno limitato ai social. Perché se la comunicazione sui social sembra essersi mangiata tutto, quella più tradizionale fatta di manifesti e volantini (i cui contenuti finiscono comunque sui social), continua ad impacchettare le città tutto l'anno. (…).
“Facezie&Politica”. 3 “Tutto il potere agli asini” di Tomaso Montanari, pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 25 di luglio 2025: (…) Ecco, (…), un ritratto della scuola italiana al tempo dei ministri del (de)merito, degli ex professori che elevano salmi all'identità occidentale, dei deputati che berciano contro il velo islamico nelle scuole... e cioè del ceto politico e para-politico, al servizio dell'estrema destra di radice fascista, che riscrive esami di Stato, indicazioni nazionali, codici etici e regolamenti. In cattedra non ci sono più i liberi insegnanti della scuola della Repubblica (con i loro limiti ed errori, ma anche con i loro enormi pregi), no. Al loro posto c'è una onagrocrazia che li opprime, li comanda, li condiziona: e che, ubriaca di ideologia, scambia le aule per adunanze di piazza in camicia nera. Onagrocrazia, il governo degli asini. Un neologismo di Benedetto Croce, che scrisse: "L'altro pericolo, quello degli ignoranti che teorizzano, giudicano, sentenziano, che fanno scorrere fiumi di spropositi, che mettono in giro formule senza senso, che credono di possedere nella loro ignoranza stessa una miracolosa sapienza, lo conosciamo perché lo abbiamo sperimentato bene. Si è chiamato, nella sua forma più recente, 'fascismo'. Io ho pensato denominarlo in greco: “onagrocrazia”. Che ne verrà fuori? Come farà il discepolo a superare il maestro (…) se il maestro è un asino che vuole plasmare tutte le sue classi a propria immagine e somiglianza? E qui, oggi in Italia, l'asinità sta nel non capire a cosa serve la scuola: non a sorvegliare, punire, disciplinare, omologare, sottomettere, far obbedire. Ma a far pensare, a insegnare a disobbedire, a progettare una insubordinazione: a usare cioè la conoscenza per essere liberi. I ragazzi che, nelle scuole italiane, si ribellano non con gesti violenti o male parole, ma con una pacata e serrata argomentazione, e che, sfruttando a proprio vantaggio regole idiote e rinunciando alla piuma sul cappello di un bel voto, si rifiutano di celebrare ogni passaggio della vuota liturgia dell'esame di Stato ci dicono una cosa sola: "Non vogliamo essere asini come lo sono gli adulti oggi al potere". Ecco la via d'uscita: dire di no, chiudere quel pesante abecedario e strapparsi il muso d'asino da dosso. Perché no, quando i "grandi" hanno quell'aspetto è decisamente meglio non prendere esempio da loro.
Nessun commento:
Posta un commento