Sopra. "Chaplin e il monello" (2025), matita dell'amica Anna Fiore.
“AlleFeried’Augusto”. “Ragazzo triste in terra straniera”, racconto (pubblicato il 12 di settembre dell’anno 1937 n.d.r.) di Klaus Thomas Mann (secondo figlio del celeberrimo scrittore Thomas Mann - Monaco di Baviera, 18 novembre 1906/Cannes, 21 maggio 1949 n.d.r.), riportato sul settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” del 9 di febbraio 2025: Bobby Talbot non ha ancora ventitré anni. Suo padre è un uomo d'affari di Milwaukee, benestante ma non ricco. Bobby ha due fratelli e una sorella. La sorella ha sette anni più di lui ed è sposata con un dentista, che Bobby non può sopportare. Dei ragazzi, Bobby è il più grande; gli altri due, di sedici e diciotto anni, si interessano solo di football e di collezionismo di francobolli. Bobby a volte scrive loro una cartolina dal tono spocchioso. Li guarda dall'alto in basso e pensa che siano dei barbari in miniatura. Dato che i due ragazzi più giovani non guadagnano ancora nulla, il vecchio signor Talbot può accordare al figlio maggiore - che in realtà ha già un'età in cui dovrebbe essere in grado di mantenersi da solo - soltanto un modesto assegno mensile. Bobby ha frequentato per un anno l'Università di Yale, poi è andato sei mesi a Parigi, dove si è divertito e ha conosciuto nei caffè di Montparnasse una gran quantità di scrittori e pittori inglesi, tedeschi e scandinavi. Bobby però, a lungo andare, ha trovato un po' noioso passare tanto tempo nei dehors dei caffè parigini. Inoltre, non disponeva di somme sufficienti a pagare i numerosi drink che consumava ogni sera. Adesso Bobby è a Vienna. Vuole restarvi sei mesi e poi trasferirsi in Italia. L'Italia lo attira particolarmente; da quel Paese si attende le scoperte più stimolanti. Del resto, sembra quasi un italiano anche lui. Ciò potrebbe però anche dipendere dalle camicie nere che è solito indossare, trovandole eccentriche ed eleganti. Quando gli si chiede se sia fascista, sorride con aria misteriosa e risponde: «Forse...». In realtà non si interessa affatto alla politica e non legge i giornali. Ha capelli neri, molto folti e occhi scuri e vivaci che assumono bagliori infantili quando ride e ombre minacciose quando è in collera o triste per qualcosa. La sua fronte è piuttosto alta e diritta: una fronte ostinata con due piccole gobbe. Sebbene abbia una bocca gradevole e sorrida spesso, quella fronte conferisce al suo bel viso un che di testardo, petulante e supponente che urta alcune persone. D'altra parte, a volte capita che alle donne piaccia proprio questo tratto di sfida nell'espressione di Bobby. A Vienna – a differenza di quello che faceva a Parigi - Bobby non frequenta corsi di Storia dell'Arte; nel frattempo è giunto alla determinazione di non voler più essere uno studente, ma uno scrittore indipendente. Un volume di poesie è pronto e ci sono buone probabilità che venga pubblicato il prossimo inverno da un giovane editore di New York. Di recente Bobby si interessa al Rinascimento italiano e progetta di scrivere un racconto o un dramma il cui intrigo si svolga nella cerchia dei Borgia. Va due volte alla settimana a prendere lezioni di italiano alla scuola Berlitz. Non era stato facile trovare una stanza adatta a Vienna. I piccoli alberghi economici, un po' sporchi ma confortevoli, di cui c'è una gran quantità nel Quartiere Latino e a Montparnasse, a Vienna non esistono. All'inizio era stato dunque costretto a visitare una dozzina di camere ammobiliate, ognuna più triste della precedente. Alla fine, Bobby si decise per una camera nel terzo distretto. La stanza era al piano rialzato - come si diceva lì -, aveva le pareti imbiancate e conteneva relativamente pochi di quei mostruosi "ninnoli" che conferiscono alla maggior parte degli appartamenti piccolo borghesi il loro carattere inquietante. Il proprietario, il farmacista Boschel, sembrava un brav'uomo. Il bagno che Bobby doveva condividere con tutta la famiglia Boschel non era particolarmente invitante; il giovane americano trovava soprattutto assurdo e penoso il modo in cui si lesinava sugli asciugamani. A casa era un fatto scontato avere ogni giorno asciugamani puliti; la signora Boschel, invece, talvolta si dimenticava perfino di cambiarli una volta alla settimana. Bobby ne soffriva perché aveva un'avversione quasi superstiziosa persino per gli asciugamani usati, ed era ossessionato dal timore che potessero trasmettere brutte malattie. Finì per andare a comprare in un grande magazzino una dozzina di asciugamani, che conservava gelosamente nella sua stanza e lavava con acqua calda e sapone. Dopo che l'imbarazzante problema degli asciugamani fu risolto, iniziò a sentirsi un po' più a suo agio nel nuovo alloggio. Con le poche cose che aveva portato con sé rese quanto più bella possibile la stanza spoglia e bianca: al di sopra del letto appese una riproduzione di Picasso che aveva comprato per pochi soldi a Parigi da un giovane pittore in difficoltà economiche e che raffigurava un gruppo di donne aggraziate e gigantesche, dal seno pesante, dalle cosce grosse e dai profili greci malinconicamente nobili, davanti a una desolata scena rocciosa; sulla scrivania, in una cornice d'argento, c'era la fotografia della ragazza di cui si era innamorato durante il suo anno all'Università di Yale: si chiamava Bianche, aveva il nasino all'insù, un sorriso dolce e indossava un ampio cappello di paglia ornato da fiori. I libri, che aveva in parte portato con sé dagli Stati Uniti e in parte acquistato a Parigi, erano disposti sul comò: ce n'era una trentina, tra cui l'Ulisse di Joyce, I fiori del male di Baudelaire, il Leonardo da Vinci di Merezkovskjj, i romanzi di Hemingway, due libri di Mencken, L'immoralista di Gide, una grammatica italiana, The New American Credo di George J. Nathan, un dizionario inglese-francese, le poesie di Shelley, La Madonnina degli Sleepings di Dekobra, il Girotondo di Schnitzler - che Bobby cercava di leggere in tedesco - , diversi volumi della guida Baedeker, un volume illustrato sulla ginnastica svedese e le opere complete di Walt Whitman. Un'orribile caratteristica dell'appartamento dei Boschel era che la signora cantava. Cantava in pratica tutta la giornata - o almeno così sembrava a Bobby; in realtà si esercitava dalle tre alle quattro ore al giorno, ma proprio quando Bobby si sentiva ispirato e aveva voglia di lavorare. Adirato, si chiedeva perché la signora Boschel - una voluttuosa donna sulla cinquantina - si impegnasse ancora così tanto nello studio del canto. Sperava in una carriera in sala da concerto o addirittura all'opera? Era ridicolo. Bobby, che tra l'altro non era Particolarmente dotato di orecchio musicale, trovava che la moglie del farmacista avesse una voce abominevolmente acuta e stridula. D'altra parte, all'instancabile cantante non si poteva negare un talento per la coloratura: determinati trilli venivano eseguiti con una certa perizia. Ma era proprio questo virtuosismo vuoto e senz'anima che aveva la capacità di dare sui nervi a un giovane poeta impegnato a riflettere su una rima delicata o sulle avvincenti iniquità della famiglia Borgia. Capitava spesso che Bobby, in preda alla collera, fuggisse di corsa dall'appartamento, benché non avesse nessuno cui fare visita o da incontrare al caffè. I due simpatici conoscenti newyorkesi con i quali aveva trascorso gran parte delle serate nelle prime settimane erano partiti per Budapest. Al Café Imperial, dove sedeva da solo con il suo giornale e il caffè con la panna montata, ebbe un giorno la gioia di trovare, al tavolo accanto, un ragazzo con cui aveva intrattenuto un rapporto di amicizia a Yale. Quel ragazzo era però accompagnato da una ragazza - che aveva presentato come la sua fidanzata - e non era stato molto caloroso con Bobby; non aveva nemmeno proposto di rivedersi. Probabilmente quell'imbecille aveva paura che gli si portasse via la ragazza, che peraltro non era affatto il tipo di Bobby. Peccato, quella gelosia patologica. D'altronde, il poveretto poteva aver avuto le sue ragioni - si disse Bobby, sarcastico -, «la ragazza mi ha in effetti lanciato uno sguardo piuttosto promettente». Quindi Bobby non conosceva nessuno a Vienna. Era tutto solo. Era stato qualche volta al Prater, ma quel posto l'aveva reso particolarmente triste. Poi, per qualche tempo, si mise a frequentare le pinacoteche, dove la solitudine era più sopportabile. Anche al cinema stare da solo era abbastanza tollerabile; per contro, però, non capiva granché di quello che gli attori dicevano sullo schermo. I film americani erano una rarità. A volte le donne si voltavano a guardarlo, al caffè o per strada. Ma quando una volta ne abbordò una, risultò che non capiva una parola d'inglese; quanto a lui, il suo tedesco era sempre scarso. Ciò lo scoraggiò. Del resto non era mai certo che non fossero donne in cerca di compenso. Il nostro Bobby cammina dunque per le vie di questa città straniera. Sta pensando a Milwaukee? O al periodo trascorso all'università? A una ragazza, a una casa, a una strada, o semplicemente a una parola pronunciata un giorno da una ragazza, un compagno, sua madre...? È così quando si va "in giro per il mondo": in realtà lo si immaginava un po' diverso. Soprattutto, non si credeva di dover sperimentare in prima persona quella sensazione banale chiamata nostalgia di casa... Quando rincaserai, Bobby Talbot - ma quel piano rialzato del farmacista Boschel si può chiamare "casa"?-, quando avrai aperto la porta, avrai appesi cappotto nel vestibolo, quando sentirai di nuovo l’odore un po' stantio dell'appartamento e avrai di nuovo nelle orecchie i fastidiosi trilli della padrona che canta instancabilmente: cosa farai, quando sarai seduto da solo alla scrivania, di fronte alla foto della tua ragazza, dalla quale oggi non è arrivata nessuna lettera e che può darsi ti abbia già dimenticato? Rimarrai seduto immobile per diversi minuti, la fronte ostinata poggiata sulle mani. Poi scriverai. Proverai scrivere una poesia. Forse ci riuscirai. Forse sei davvero un poeta. Ma è anche possibile che tu scriva solo idiozie. Che ricordo avrai di questo periodo, più avanti? Non dipingerlo di rosa, ammettilo e basta: è un periodo amaro! Ma non dimenticare, te ne prego, che questo sconforto dell'essere giovani e soli, che questa malinconia dell'ambizione e dell'amore insoddisfatto, contiene in segreto tutte le gioie, tutto l'orgoglio, tutto il trionfo irragionevole, e proprio per questo molto dolce, della gioventù.
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